SOCIETÀ

Il Mose, sì, ma...

Il ‘sì, ma…” sarà nel giro di poche ore il mcd su cui sembrano attestarsi i più, non appena rimessi dalla sorpresa di vedere che il vituperato Mose ha funzionato, salvando per una volta la città dall’acqua alta. Giusto correttivo e ragionevole attesa. Se il Mose è costruito per entrare in funzione solo nei casi di acqua altissima, resta irrisolto il problema dell’acqua alta ‘normale’, e infatti dopo il trionfo del giorno prima c’è stata subito la doccia fredda del giorno dopo: troppo ‘bassa’ una acqua alta di 115 cm per far entrare in funzione il possente e costoso macchinario delle dighe mobili. Ed è vero che bisognava pensarci, calcolare, accompagnare un progetto e una soluzione con progetti e soluzioni paralleli; e programmare, quindi, le conseguenti spese. Non essendo avvenuto, c’è ora questo sbilanciamento: bisogna augurarsi che la marea sia non alta, ma altissima?! Pienamente legittimo, quindi, continuare a dir male dell’operazione complessiva. Non dimenticando le discutibili condizioni monopolistiche della genesi e della gestione, gli errori di previsione, i cambiamenti climatici e marini intanto insorti, le interferenze del funzionamento del Mose con quello del porto, e via seguitando, nell’accumulo di interrogativi e di problemi, efficacemente ricordati in questi giorni da Gianfranco Bettin, che, alla “buona notizia per chiunque ami Venezia”, non “addiziona la propria gioia di trionfalismo”.

Lungi da me l’impancarmi a tecnico in questioni di tanta complicazione. Di specialisti autonominati ce n’è sin troppi. No, io vorrei intervenire su un altro piano. Non sono un tecnico, ma uno storico di Venezia sì, e del Novecento in particolare.

‘Sì, ma’, infatti, rimane a questo punto possibile e legittimo dirlo anche in un’altra chiave. Scaturii e felici, alcuni come i negozianti di San Marco – semplicemente estasiati a vedere la piazza all’asciutto (e qualche turista scornato, con cellulari e macchine fotografiche anch’essi all’asciutto): li abbiamo visti o letti nelle primissime interviste, prima che subentri il più prudente, se non già disilluso ‘sì ma’ da giorno dopo. Ma scaturii e - si può supporre - passabilmente infelici, oltre che tendenzialmente ammutolite, le agguerritissime legioni dei detrattori e critici? A parte tutti gli altri problemi che il Mose non affronta e non risolve, le paratie, semplicemente e come si era sempre detto, non dovevano funzionare, o una sì una no, qualcuna insabbiata, qualcuna arrugginita, e tutte comunque insufficienti alla bisogna e ininfluenti rispetto allo scopo. Sapevàncelo. Questo era il tacito dover essere del Mose: fallire la grande prova davanti a tutto un mondo furibondo e plaudente: non funzionare, e possibilmente crollare a catafascio.

Personalmente, mi sento toto corde parte di quelli che hanno trovato conferma alle speranze: il partito del forse sì, meno male, evviva. Fa sorridere me per primo rischiare di essere - dai più zelanti cultori del ‘NO’ - arruolato tra i ciechi uomini del ‘fare‘, solo perché non nascondo che, in generale, non mi viene facile ‘buttar via’ il Mose e neppure - diciamola tutta, facciamoci del male - ‘buttar via’ le navi vedendone solo il lato rovinoso: davvero, alla luce di come sono diventate ora le navi, l’antica repubblica del mare deve tirarsi indietro di fronte agli sviluppi delle forme e modalità dei lavori del mare? Può essere, non si può escludere: Venezia non sarebbe l’unico ex-porto ormai dismesso, e anche Pisa era in passato una repubblica marinara. Ma la rinuncia a rimanere all’altezza della propria storia marinara non può essere fatta a cuor leggero. Io forse sono un candido uomo di lettere che paradossalmente - magari più dei tecnici, regolari e volontari - ha fiducia nella scienza e nella tecnica e nella sua possibilità-obbligo di rinnovarsi ed essere sempre all’altezza dei problemi posti dalla realtà che si evolve. L’amore per Venezia si declina in vari modi ed esistono anche gli amori omicidi, anche se, naturalmente, ciascuno è convinto delle proprie buone intenzioni.

Concludo tornando a quella breve estasi subito prima del ‘sì ma…’. Il compiacimento per la grandiosità del progetto non avrebbe potuto e dovuto accompagnarlo in tutti questi anni? Troppi anni, certo: la lunghezza, la corruzione, le mangerie, i reati, gli abusi, tutto l’apparato orrorifico degli effetti collaterali. Perché però confondere gli effetti collaterali con l’opera in se stessa, la grande opera in se stessa, pienamente all’altezza della Serenissima dei murazzi? (per progettare e costruire i quali non è che gli effetti collaterali siano mancati. Idealizziamo sempre il passato, quando poi quello che rimane nel tempo è l’opera e non altrettanto le circostanze contingenti). I miserabili predoni privati e pubblici che hanno accompagnato il lentissimo processo di esecuzione del Mose - che lento era fors’anche perché agli occhi di qualcuno lavori pubblici e grandi opere sono fini a se stessi come fattori di finanziamenti indebiti - hanno sporcato tutto: se stessi, le istituzioni, ma anche la possibilità per i cittadini di rispecchiarsi in un collettivo atto di fiducia e persino di orgoglio. Che ieri, 15 ottobre, e oggi 16, sta avendo occasione di conferma con la seconda e la terza vittoriosa entrata in azione del Mose. 

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