SCIENZA E RICERCA

In viaggio tra le emozioni con il professor Pietro Pietrini

Le emozioni arricchiscono la nostra vita regalandole intensità e diverse sfumature di colori. Gioia e tristezza, paura e rabbia, sorpresa e disgusto sono solo alcune delle emozioni, piacevoli o sgradevoli, che caratterizzano le nostre esperienze quotidiane e possono tradursi anche in sensazioni che travolgono l’intero organismo. Fin dall’antichità filosofi e pensatori si sono interrogati sulla loro origine e negli ultimi anni lo sviluppo delle neuroscienze ci ha permesso di comprendere i meccanismi cerebrali che ne sono alla base e di indagare l’interazione tra segnali centrali e periferici.

Ma a cosa servono le emozioni? Da dove nascono? E cosa accade quando il sistema che le regola si inceppa? A questi affascinanti interrogativi è dedicata la Lectio magistralis del professor Pietro Pietrini, giovedì 29 ottobre alle ore 21 nell’ambito degli incontri in streaming del Festival della scienza di Genova. Medico psichiatra e neuroscienziato, dal 2015 è direttore della Scuola IMT Alti Studi Lucca, dove ha fondato e dirige il MoMiLab, laboratorio multidisciplinare che indaga le basi cerebrali del comportamento, il professor Pietrini ha anticipato a Il Bo Live alcuni dei temi che saranno approfonditi all’interno della conferenza e si è soffermato anche sulle conseguenze della pandemia da Covid-19 in termini di impatto sulla psiche e accentuazione delle fragilità.

Nel corso dell’intervista Pietrini ha lanciato un importante messaggio contro lo stigma che purtroppo ancora oggi accompagna i disturbi mentali. “Le malattie psichiatriche, come l’ansia o la depressione, sono come la polmonite: non sono una scelta e non dobbiamo vergognarcene. Sono condizioni che capitano e in cui c’è una combinazione di fattori genetici e fattori ambientali che in gran parte ancora non conosciamo. Per fortuna oggi però sappiamo come trattare questi disturbi e nella maggior parte dei casi si arriva a un notevole miglioramento della qualità della vita o addirittura alla risoluzione completa del problema”.

Il professor Pietro Pietrini, direttore della Scuola IMT Alti Studi Lucca, parla del ruolo delle emozioni e delle basi biologiche da cui hanno origine. Servizio e montaggio di Barbara Paknazar

"Sarà un viaggio attraverso il nostro cervello - introduce il professor Pietro Pietrini - per cercare di capire qual è il significato fisiologico delle emozioni, come si formano e cosa succede nelle patologie dove queste emozioni sono drammaticamente alterate. Andremo alla ricerca della mente emotiva e delle basi del nostro comportamento fino ad arrivare anche agli aspetti che possono essere rilevanti da un punto di vista forense e giuridico. L’indagine delle emozioni ha affascinato l’umanità fin dagli albori del pensiero filosofico: è molto interessante studiare l’evoluzione delle considerazioni sulle emozioni perché si vede anche come partissero dal fatto che le emozioni come primo aspetto hanno un linguaggio corporeo e influenzano il nostro corpo. Tutte le emozioni basilari, come felicità, tristezza o disgusto, hanno una fortissima componente somatica e nell’antichità, proprio per queste caratteristiche, le emozioni erano ricondotte a parti precise del corpo e quindi si pensava che nascessero dalle viscere. Sappiamo che l’apparato gastroenterico è molto sensibile alle emozioni, così come lo è anche il cuore che è sempre stato al centro della vita emotiva".

Il rapporto tra il cervello e le conseguenze che percepiamo a livello fisiologico è costante ed è un dialogo biunivoco. "All'inizio del secolo scorso - approfondisce Pietrini - William James, il padre della psicologia moderna, immaginò la scena di una persona che scappa inseguita da un animale feroce, per esempio un orso, e si domandò se scappiamo perché abbiamo paura o abbiamo paura perché scappiamo. Questo riassume molto bene la grande intuizione di James e l’impatto che questo meccanismo ha in termini evolutivi perché se noi davanti a un pericolo mettiamo in atto una reazione di fuga e abbiamo un’informazione che arriva dai muscoli in movimento, dalle membra del corpo che alimentano e mantengono lo stato di paura si crea un processo virtuoso di rinforzo. James e collaboratori dimostrarono questo meccanismo con un esperimento nel quale tagliando il midollo spinale in alcuni gatti e quindi inibendo il ritorno delle sensazioni dalla periferia, perché si fermavano e non arrivavano al cervello, notarono che la risposta emotivo-comportamentale dell’animale era attenuata. Pensiamo ai riflessi sulla vita quotidiana per le persone che hanno un’eccessiva risposta emotiva davanti a situazioni come il parlare in pubblico dove l’idea di affrontare una platea ed essere da soli sul podio fa venire una sensazione di paura. Sappiamo che con i betabloccanti, farmaci che inibiscono i recettori periferici, la reazione è molto attenuata e questo è perfettamente in linea con l’input della periferia che può modulare la risposta centrale".

Oltre a regalare intensità e sfumature alle esperienze di ogni giorno le emozioni sono vitali per la nostra sopravvivenza. "Provare paura significa, per esempio, permette di addentrarsi in situazioni che possono essere di pericolo massimizzando attenzioni e cautele. Lo stesso avviene con il disgusto che ci permette di allontanare sostanze tossiche e nocive", spiega Pietrini.

Ma cosa accade quando l'equilibrio che regola il nostro sistema emotivo si blocca? E perché ancora oggi ci sono persone che pensano che i disturbi mentali possano essere superati semplicemente facendo appello ad uno sforzo di volontà? "Noi tutti sappiamo per esperienza diretta, per i racconti di qualcuno che conosciamo o per averlo studiato, che talvolta le emozioni si ammalano - continua il direttore della Scuola IMT Alti Studi Lucca - e questo meraviglioso meccanismo omeostatico che permette di aumentare le nostre probabilità di sopravvivenza si inceppa. E allora la paura diventa terrore, angoscia, fobie e subentra una dimensione che limita la nostra azione. Ho conosciuto persone anche giovani che non uscivano di casa se non dopo il tramonto a causa della fobia dei piccioni. Immaginiamo quanto questo possa essere invalidante. Lo stesso vale per la fobia delle altezze, degli spazi chiusi, degli ascensori, delle gallerie. E allora qui diventa importante mettere in atto tempestivamente dei trattamenti che possono essere psicofarmacologici o psicoterapeutici, o meglio ancora la combinazione dei due, ed è fondamentale diffondere la conoscenza di questi disturbi per i quali purtroppo esiste ancora un enorme stigma. In particolare i disturbi di ansia, che sono enormemente diffusi e colpiscono fino al 20% delle persone, possono diventare estremamente invalidanti soprattutto quando sfociano negli attacchi di panico, in cui il problema non è tanto l’attacco in sè quanto la paura che possa arrivare un attacco, e possono limitare la vita sociale, lavorativa ed affettiva. E questi disturbi, che rischiano di diventare invalidanti, sono in realtà banali in ciò che si può fare per cambiare notevolmente la qualità della vita della persone e non è complesso l’intervento che può portare a un significativo miglioramento".

"Sul versante medico e applicativo il messaggio principale vorrei che fosse questo: non bisogna provare vergogna ad andare dallo psichiatria, le malattie psichiatriche non sono una scelta, ma per fortuna sappiamo cosa fare e nella maggior parte dei casi si arriva a risultati che sono estremamente migliorativi se non addirittura risolutivi", sottolinea Pietrini.

Abbiamo chiesto al professor Pietrini anche una riflessione sull'impatto della pandemia da Covid-19 sulla nostra mente e sulle conseguenze che questa prolungata emergenza sanitaria rischia di avere sulle persone maggiormente vulnerabili. "La pandemia ha avuto effetti marcatissimi per varie ragioni: la prima è che una questione così incombente, con l’incertezza del futuro e una situazione che evolve di ora in ora e che non è nemmeno prevedibile come evolverà, è chiaramente una fonte di stress e di disagio enorme e per le persone che hanno una loro vulnerabilità, come un disturbo d’ansia o un disturbo depressivo, tutto questo è molto accentuato. Il secondo punto importante lo abbiamo sperimentato durante il lockdown e riguarda il fatto che dover concentrare così tante risorse per cercare di arginare l’effetto devastante di SARS-CoV-2, con la chiusura di altri reparti e degli ambulatori, ha fatto venir meno e ha ritardato l’assistenza in tutte le altre branche della medicina. Inoltre ci sono popolazioni di pazienti psichiatrici, pensiamo a coloro che soffrono di abuso di sostanze stupefacente e alcol, su cui gli effetti sono stati ancora più marcati perché una condizione fisicamente e psichicamente così restrittiva in molti casi ha fatto aumentare il consumo di queste sostanze e una fetta non piccola di questa popolazione è già più suscettibile alle infezioni perché ha un’immunità che molto spesso è già compromessa dall’abuso", ha spiegato il neuroscienziato.

E tornando più nello specifico al tema delle emozioni qualche mese fa il team del professor Pietrini, guidato dalla dottoranda Giada Lettieri, ha scoperto come il nostro cervello – in particolare una sua regione chiamata giunzione temporo-parietale destra - sia in grado di rappresentare topograficamente la complessità di quanto proviamo. Una vera e propria mappa di tutte le nostre emozioni, racchiusa in appena tre centimetri di diametro. 

"Ormai venti anni fa ho fondato il Molecular Mind Laboratory che oggi dirigo, un laboratorio che studia come percepiamo il mondo esterno, come ce lo rappresentiamo e come dialoghiamo con esso. Recentemente i miei collaboratori - entra nel dettaglio Pietro Pietrini - hanno condotto uno studio, pubblicato qualche mese fa su Nature Communications, che ha cercato di comprendere come le emozioni vengono percepite e processate nel cervello, in quale area e con quale rete. E’ un paradigma sperimentale interessante perché abbiamo preso i dati di persone che hanno guardato il film Forrest Gump e poi un gruppo indipendente di persone ha fatto un rating, fotogramma per fotogramma, della risposta emotiva". In questo modo è stato possibile "vedere che c’è un’area del cervello, che è la corteccia temporo-parietale dell’emisfero di destra, che è l’unica dove vengono processate tutte le caratteristiche delle emozioni. E’ un po’ come avere la tavolozza dei colori fondamentali da cui passa tutto quello che colora la nostra esistenza. Questo è interessante perché ci aiuta a comprendere come si formano e come vengono processate le emozioni, come interiorizziamo la risposta emotiva che vediamo negli altri e cominciare a comprendere cosa può accadere quando le emozioni si ammalano. Quello che adesso vogliamo fare è studiare le stesse cose in pazienti depressi dove le emozioni è come se fossero sempre tinte di nero, come se guardassimo il mondo con degli occhiali scuri molto spessi, fino ad arrivare al paziente gravemente depresso, al paziente psicotico che ha dei devastanti sensi di colpa, di indegnità e di rovina con una percezione emotiva che è spesso gravemente alterata".

Quando si riflette sulla formazione della personalità e sulla modulazione del comportamento uno degli interrogativi più frequenti riguarda l'interazione tra genetica e ambiente e ci si chiede quali fattori siano prevalenti. "Noi stiamo studiando da tempo il rapporto tra fattori genetici e impulsi, aggressività, discontrollo del comportamento e il messaggio che vorrei dare è che biologia e ambiente non sono due entità separate. Nella storia abbiamo assistito a dei momenti in cui tutta la responsabilità veniva ricondotta alla biologia, con un positivismo estremo, ad altri più recenti in cui l’attenzione veniva spostata sulla società e sui messaggi che essa ci manda. In realtà la scienza ci dice che il dialogo tra biologia e ambiente è strettissimo: la premessa è che tutti noi come esseri umani abbiamo lo stesso genoma ma il motivo per cui siamo tutti diversi l’uno dall’altro, a meno che non abbiamo un gemello monozigote, è che su questo genoma fatto di circa 22 mila geni insistono almeno 30 milioni di varianti che possono essere anche solo una singola lettera di Dna. E, oltre a spiegare la diversità fisica, sappiamo che piccole variazioni di questo tipo possono anche influenzare tratti della nostra personalità e il modo in cui noi rispondiamo all’ambiente. Al tempo stesso sappiamo che l’ambiente, da una carezza alle situazioni che viviamo, non cambia il genoma ma modula l’espressione dei geni. Persono con lo stesso background genetico che vengono allevate in una famiglia caratterizzata da un contesto positivo, stimolante ed affettuoso, rispetto a persone che vengono trascurate se non additittura abusate da bambini, hanno una risposta completamente diversa. Geni e ambiente sono inscindibili tanto che oggi esiste una nuova disciplina, una nuova branca della scienza, l’epigenetica, che studia proprio come l’ambiente modifica l’espressione dei geni e il reciproco dialogo", conclude il professor Pietrini.

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