CULTURA

I “Due gemelli” goldoniani, teatro risorto in streaming

Nell’epoca dello streaming, come si può trasferire il teatro sugli schermi domestici? Come si fa a ricreare su tv, computer, tablet la forma di spettacolo che, più di ogni altra, si fonda sull’imprescindibile rapporto dal vivo tra attore e pubblico? Il dibattito non nasce oggi, per le restrizioni dettate dal Covid, ma con l’arrivo della televisione. Da decenni si discute sulle tecniche per “esportare” il dramma sul piccolo schermo e, tra messinscene storiche (una per tutte l’Orlando furioso di Luca Ronconi) e successi meno datati (Il racconto del Vajont di Paolini – Vacis), la risposta è ancora sospesa. Eppure, con l’azzeramento dello spettacolo in presenza, alcuni tentativi vanno proposti, perché nessuno sa se, quanto e come cambierà, dopo il Covid, il modo di concepire il nostro rapporto con film, opere, balletto, prosa, concerti e ogni forma di intrattenimento culturale che comporti il recarsi in gruppo in un luogo per fruirne.

Anche il mondo del teatro tenta, in questi giorni cupi, alcuni esperimenti, in genere con timidezza e scarso coraggio. La celebratissima “prima virtuale” del Teatro alla Scala, non vero allestimento ma parata di nomi e rassegna di arie, dal punto di vista teatrale si è tradotta in una giustapposizione di quadri, in cui regia e scene erano in gran parte risolte con effetti cinematografici (costume ormai frequente anche in era pre-Covid): difficile scorgere un reale sforzo innovativo nel senso di una nuova teatralità pensata apposta per gli schermi.

Nel generale deserto dell’offerta teatrale, va dato atto al Teatro Stabile del Veneto di un tentativo serio e articolato di offrire al proprio pubblico, grazie alla piattaforma Backstage, una scelta di spettacoli ricca e interessante. L’esperimento di punta è forse la decisione di presentare in streaming, in anteprima nazionale, una pièce goldoniana, I due gemelli veneziani, destinata inizialmente al pubblico in sala. Anziché far mucchio con le spoglie dei tanti spettacoli rinviati sine die, la produzione (che vede lo Stabile insieme a Teatro Piemonte Europa e Metastasio di Prato) è stata profondamente ripensata. La regia di Valter Malosti, che ha adattato il testo con Angela Demattè, punta sulla radicale spoliazione da ogni elemento coreografico e coloristico.

Ma non è solo una scelta dettata dall’emergenza. Malosti intende evidenziare come i Gemelli, al di là di una lettura facile da commedia degli equivoci scaturiti dalla compresenza di due fratelli sosia, sia un’opera impregnata di morte, sofferenza, libidine e falsità come elementi connaturati alla vicenda umana. Così domina la cupezza della messinscena, in cui gli attori si muovono soli in mezzo a uno spazio fosco, che Nicolas Bovey (scenografia e luci) lascia totalmente spoglio tranne che per una tavola imbandita, entro una scenografia ridotta a veli di tulle e pannelli neri dagli effetti riflettenti, con luci isolate e taglienti che esaltano la dimensione notturna e funerea.

Unico contrasto, i costumi (Gianluca Sbicca), cui la foggia ottocentesca e i cromatismi a forte contrasto, eleganti e stranianti allo stesso tempo, alimentano il distacco da una lettura piattamente giocosa del testo. Così stilizzato e dematerializzato, l’allestimento dei Gemelli acquista una sorprendente attitudine ad essere trasmesso in video: se si accettano le regole del gioco, rinunciando a pizzi e lazzi, lo spettatore in streaming è costretto a concentrare ogni sguardo sugli attori. Accompagnati da una regia televisiva che ne sottolinea il gesto e le dinamiche, con frequenti primi piani e lenti movimenti di macchina, i protagonisti creano uno spazio sospeso e metaforico. Elemento decisivo, per la suggestione degli spettatori, sono le musiche di G.U.P. Alcaro: effetti, accenni, singulti sonori nel segno della dissoluzione della corporeità del suono (echi di Salvatore Sciarrino), che sottolineano l’azione e gli stati d’animo con metafisica discrezione (rotta solo da qualche sussulto “sinfonico” superfluo).

Solo elemento da rifinire, per una messinscena riveduta per lo streaming, è forse l’impostazione attoriale. Al di là dei pregi individuali, quasi tutti gli interpreti optano per una vocalità tradizionale: volume esasperato, toni carichi ed iperespressivi, movenze molto accentuate. Ma ciò cui stiamo assistendo non è uno spettacolo dal vivo, in cui la resa scenica è vincolata a distanze fisiche e acustica di sala. Sul piccolo schermo ogni sospiro è esaltato, ogni mimica moltiplicata. Se l’allestimento è vincente per il suo esito minimale e stilizzato, occorre che anche l’interpretazione ritrovi la misura e il volume adatti al video. Espressa questa riserva, non si può non lodare la maestria di Marco Foschi, impegnato in un estenuante doppio ruolo (ma attenzione alla dizione veneziana, imperfetta non solo per il protagonista). Tra gli altri, da segnalare il Pancrazio di Danilo Nigrelli, forse il più raffinato nei toni chiaroscuri del suo ambiguo personaggio; il Pulcinella-Arlecchino di Marco Manchisi, reinventato da Malosti, e soprattutto la Colombina di Camilla Nigro, che riesce conferire con naturalezza grinta e rilievo drammatico a un carattere a forte rischio di banalizzazione, senza bisogno di indulgere a toni o movenze artefatti.

I Gemelli di Malosti sono un primo, ottimo esempio di come il teatro possa sopravvivere allo streaming reinventandosi. Auguriamoci che lo spettacolo, visibile su Backstage solo per poche ore, possa essere riproposto a breve.

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