CULTURA

Dante700. Il “Convivio” e la democrazia della conoscenza

Lo speciale Dante700 de Il Bo Live è un progetto voluto da Pietro Greco, caporedattore del magazine fino alla sua recente scomparsa. Nell’ambito della serie, Pietro aveva in programma un articolo su Dante e la democrazia della conoscenza, tema che affronta in uno dei suoi ultimi libri dal titolo Homo. Arte e scienza, pubblicato nel 2020 da Di Renzo Editore. Su gentile concessione della casa editrice, pubblichiamo alcuni estratti dal volume [pp. 377-378; 381-386].

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Dante è autore talmente ricco e complesso che davvero non si presta a un’unica chiave di lettura. I suoi interessi sono molteplici. E molteplici i modi di rappresentarli. Usa la prosa e la poesia. Talvolta parla per allegorie e metafore, talaltra in maniera diretta. La complessità del suo discorso è voluta, attentamente studiata e persino teorizzata. Tuttavia il duplice progetto, quello politico e quello culturale, sono alla base di tutte le tre grandi opere dell’esilio: il trattato sulla lingua De vulgari eloquentia, il testo filosofico Convivio, il poema Commedia.

Il Convivio è il suo trattato teorico. La summa del suo pensiero. Il testo filosofico pensato come la grande opera. Un libro che è sia un compendio dottrinale, sull’esempio del Tesoretto di Brunetto Latini – un’opera enciclopedica che si sviluppa intorno a un asse etico e insieme filosofico – sia il documento di un percorso esemplare, sull’esempio delle Confessioni di Agostino, in cui la vita dell’autore diventa un processo che passa progressivamente dal non buono al buono, dal buono al migliore e dal migliore all’ottimo. Il Convivio è un’opera che innova non tanto nella forma, quanto nel contenuto: è la prima volta infatti che in Europa un libro scritto in volgare affronta i temi della filosofia, morale e naturale.

Se il De vulgari eloquentia è scritto per un pubblico colto, quello che conosce il latino, il Convivio è scritto per tutti: le persone colte che conoscono il latino e le persone comuni che il latino non lo conoscono. Dunque, come chiarisce lo stesso Dante, per “principi, baroni, cavalieri, e molt’altra nobile gente, non solamente maschi ma femmine, che sono molti e molte in questa lingua, volgari, e non litterati”.

Dunque Dante scrive anche per le donne, in genere escluse dalle scuole e non considerate affatto come attrici della conoscenza, e per tutte le persone illetterate. Scrive, appunto, per tutti. E con ciò non solo teorizza, ma pratica la democratizzazione del sapere.

Non era quasi mai accaduto prima. E non era mai accaduto prima, in particolare, che qualcuno scrivesse per tutti di filosofia, di scienza, di morale.

L’intento principale di Dante è “inducere li uomini a scienza e a vertù”. E di farlo in maniera conviviale, allegra. “La mente di Dante” – nota acutamente Barbara Reynolds – “irradia la gioia di comunicare il vero”.

Il Convivio è, infatti, il racconto di un banchetto. Festoso, come tutti i banchetti. Ma particolare. Perché al banchetto del Convivio non viene servito un cibo qualsiasi, ma il “pane degli angeli”. Il pane cui tutti gli uomini – naturalmente, sottolinea Dante – aspirano: la conoscenza. Nel Convivio, il fiorentino parla di filosofia e di filosofia naturale, in maniera appunto conviviale. Ma non si sente un filosofo. Si sente un mediatore. Un poeta cui è concesso di accomodarsi ai piedi di coloro che, invece, siedono “a la beata mensa”, i veri filosofi, e di cibarsi delle briciole che cadono dal tavolo della conoscenza. E a cui è concesso soprattutto di dispensarle, quelle briciole. [...]

Conoscere è un bisogno naturale dell’uomo. Come il cibo. E come l’amore

La scienza domina tanto il Convivio quanto la Commedia, integrandosi in maniera organica con gli altri discorsi e innervando le sue narrazioni, in prosa e in poesia. Dante ha una visione unitaria della letteratura, della filosofia (inclusa la teologia) e delle scienze. E manifesta questa sua visione della conoscenza con tale chiarezza e raggiungendo livelli letterari così elevati da meritarsi, con Lucrezio, il titolo di “poeta della scienza”.

La prima dimostrazione sistematica del suo interesse per la filosofia naturale la troviamo proprio nel Convivio. Alternando poesia e prosa, il libro propone la novità di “una verità filosofica fatta scaturire dalla letteratura”. E, dunque, è la prima espressione compiuta nella storia della cultura italiana di quel ménage a trois tra letteratura, filosofia e scienza che inizia con Dante e che, secondo Italo Calvino, costituisce il tratto distintivo – la “vocazione profonda” – della letteratura italiana. Perché con il Convivio, incompiuto, in prosa e in poesia, scritto in volgare illustre e progettato in 15 libri, di cui il primo è un proemio e gli altri 14 commenti ad altrettante liriche, Dante cerca di raggiungere diversi obiettivi: il primo dei quali, come rileva Roberto Mercuri, è la divulgazione della scienza, la diffusione democratica del sapere. “L’intento di Dante con il Convivio, manifestato nel libro premiale, è quello di costituirsi come divulgatore, dall’alto dell’esperienza dell’esilio, della scienza e del sapere – che costituiscono i fondamenti di una più vera nobilità non basata sul censo e sulla ricchezza – nei confronti di un pubblico il più esteso possibile, un pubblico che coincide nelle intenzioni di Dante con l’umanità, cui va indicata la via della vera realizzazione dell’uomo”.

Se dunque nel De vulgari eloquentia ha indicato lo strumento migliore per divulgare il sapere, il volgare illustre, nel Convivio Dante indica i migliori contenuti da disseminare, le conoscenze scientifiche più aggiornate del suo tempo. Ma perché proprio la scienza?

La domanda non è banale, in un tempo in cui la gran parte degli intellettuali – fuori e dentro la Chiesa, fuori e dentro i monasteri, fuori e dentro le ancora rare università – si occupa di altro. E in un tempo in cui l’attualità politica impone i suoi temi in modo così forte e radicale, tanto più a un uomo politico, qual è Dante, costretto all’esilio per le sue idee. Perché dunque la scienza? Perché per Dante la priorità è divulgare le conoscenze più aggiornate intorno al mondo naturale? Conviene lasciare a lui la parola. Perché ha, ancora una volta, una risposta articolata a questa domanda. Dante apre il Convivio con un richiamo esplicito ad Aristotele e alla sua Metaphisica: “Si come dice lo Filosofo nel principio de la Prima Filosofia, tutti li uomini naturalmente desiderano di sapere”. [...]

Conoscere è un bisogno naturale dell’uomo. Come il cibo. E come l’amore.

Dante conosce bene Aristotele. Non gli è ignota nessuna delle traduzioni latine che hanno consentito il ritorno in Europa del filosofo greco tra XI, XII e XIII secolo. E indica anche i motivi che spingono lo stagirita a proporre la centralità della conoscenza nell’uomo: la tensione verso la perfezione che hanno tutte le cose. “La ragione di che puote essere [ed] è che ciascuna cosa, da providenza di propria natura impinta, è inclinabile a la sua propria perfezione”.

E per l’uomo la perfezione è la conoscenza del mondo, la scienza. La scienza dunque come causa finale della ragione. Non solo: l’uomo che raggiunge la verità attraverso la scienza, raggiunge anche la felicità: “Onde, acciò che la scienza è ultima perfezione de la nostra anima, ne la quale sta la nostra ultima felicitade, tutti naturalmente al suo desiderio semo subietti”.

Purtroppo, continua Dante, non tutti riescono a raggiungere la perfezione ultima dell’uomo, la scienza e, quindi, la felicità: “Da questa nobilissima perfezione molti sono privati per diverse cagioni, che dentro all’uomo e di fuori da esso lui rimovono dall’abito di scienza”.

Per scienza Dante intende naturalmente tutta la conoscenza. Anzi, la filosofia, che è morale (conoscenza della morale) e naturale (conoscenza del mondo fisico). Il poeta fiorentino, dunque, si pone il problema degli uomini che non riescono a raggiungere la conoscenza in tutte le sue dimensioni e, con essa, la felicità. […]

 

Dante comprende che, nella nuova era che si sta aprendo in Europa, la conoscenza è un bene che ha effetti sociali, di inclusione e di esclusione. Che tutti hanno diritto alla conoscenza e che, tuttavia, esiste quello che noi chiameremmo oggi un knowledge divide, una disuguaglianza di accesso alla medesima conoscenza, che genera esclusione sociale. Il poeta toscano si pone da buon filosofo il problema di analizzare le difficoltà di accesso al bisogno primario della conoscenza, ma da buon politico si pone anche il problema di come rimuovere quelle difficoltà. La conoscenza è un diritto universale dell’uomo, sembra dire, e il knowledge divide va rimosso, soprattutto per coloro che sono impediti da ragioni che prescindono dalla loro volontà e non per coloro che scelgono di spendere la loro esistenza in “viziose dilettazioni”. È un modo – il modo – di risolvere questo problema sociale, decisivo addirittura per la felicità degli uomini, e di rendere possibile l’accesso alla conoscenza attraverso la divulgazione. Gli intellettuali hanno dunque una missione sociale da compiere. O, detta con le parole di Dante, la misericordia è “madre di beneficio”: occorre che chi siede direttamente alla mensa degli angeli – gli uomini di scienza e più in generale i produttori di nuova conoscenza – o anche chi come lui è capace di raccogliere le briciole ai margini – i divulgatori e, quindi, anche i poeti – spezzino il pane della conoscenza. La diffondano, rendendola disponibile per tutti. […]

Dante comprende che, nella nuova era che si sta aprendo in Europa, la conoscenza è un bene che ha effetti sociali, di inclusione e di esclusione

Chi può donare conoscenza? Beh, è chiaro: solo l’artefice può essere un buon divulgatore, sia per ragioni tecniche – solo lui conosce e intende la materia che vuole divulgare – sia per ragioni morali, perché solo chi ha la scienza può raggiungere le vette massime del disinteresse e la consapevolezza del valore del dono. Tuttavia anche chi ha il privilegio di potersi accomodare ai piedi di coloro che siedono “a la beata mensa” può fare da mediatore. Può comunicare scienza.

Qual è lo strumento migliore per divulgare? Beh, anche questo per Dante è chiaro: è l’uso della lingua volgare, perché consente di donare a molti, tendenzialmente a tutti. Il “volgare illustre” funziona ancora meglio, perché consente di donare a tutti senza perdere l’habitus scientifico e di “manifestare concepita sentenza”. Tra coloro che possono dispensare la conoscenza scientifica, sia pure di seconda mano, non essendo produttore di nuova conoscenza, c’è il poeta. Una figura che per molti secoli è stata di congiunzione tra gli intellettuali che producono conoscenza e le masse, più o meno grandi, ovvero i cittadini poco esperti. Dante pensa che la poesia (in volgare) sia lo strumento migliore per portare la scienza a chi non può sedersi alla “mensa dove lo pane delli angeli si manuca”. In questo riprende Lucrezio. Il poeta latino che, come abbiamo detto, era convinto che “la poesia può aiutare la diffusione di dottrine salutari per l’umanità”.

Per tutte queste ragioni, è possibile considerare il Convivio una sorta di manifesto sia della società democratica della conoscenza, sia della comunicazione della scienza. Ed è possibile considerare Dante non solo come il “poeta della scienza”, ma anche come il padre della “cittadinanza scientifica” e dei comunicatori della scienza. [...]

 

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