CULTURA

Biblioteca al femminile? È l’idea di un uomo

Quello di Pietro Leopoldo Ferri, vissuto tra il 1787 e il 1847, è uno strano destino: figlio del conte Giovanni Giuseppe e della contessa Leopoldine di Starhemberg, intimo degli Asburgo-Lorena, accademico degli Eccitati e ammirato poeta d’epigrammi, consumò gli ultimi dodici anni di vita formando una sua singolare biblioteca.

Nel decimo volume della Storia della bibliografia di Alfredo Serrai, infatti, si legge che il collezionista e bibliografo Pietro Leopoldo non solo raccolse le opere di autrici vissute dal Duecento in avanti ma scrisse, per primo in Italia, un libro intitolato Biblioteca femminile italiana dove ordinò ed espose con dovizia di particolari i libri della sua collezione. Questo catalogo di 411 pagine è ordinato alfabeticamente per autrice e le opere, talvolta segnalate in più edizioni, vengono corredate da brevi note editoriali.

In questa sua passione da collezionista, secondo la storica Franca Cosmai che ne ha vagliato le carte d'archivio, Ferri potrebbe essere stato influenzato dall’educazione ricevuta dalla madre il cui prestigioso salotto di casa era animato dalle vivaci menti presenti in città, oppure volle dimostrare la gloria delle scrittrici italiane in un momento di risveglio nazionale, o ancora offrire uno strumento per accedere alla produzione femminile del passato.

Siamo meglio informati invece sulle fonti impiegate dal bibliofilo. Nell’introduzione ricorda l’aiuto ricevuto dall’abate Fortunato Federici, bibliotecario dell’Universitaria di Padova, autore di biografie e collaboratore del tipografo-editore Niccolò Bettoni. Ricorda anche i tre volumi dedicati a donne illustri di Ambrogio Levati, stampati dal Bettoni nel 1821 e il cui materiale era stato inizialmente preparato da tre docenti dell’Università di Padova: Luigi Mabil, Antonio Marsand e Antonio Meneghelli.

A ben vedere, la Biblioteca di Ferri non è che un’immagine parziale dell’universo femminile letterario fino ad allora, ma i libri che la compongono sono testimoni della voce delle donne nei secoli. Al di là di questo elenco di opere, infatti, si nascondono difese, polemiche e rivendicazioni di genere.

Del dibattito sorto in Europa tra il XV e il XVIII secolo sulla natura e il rapporto tra i sessi, noto anche come “querelle des femmes”, Ferri non dimentica di presentare le opere di autrici che condannarono la segregazione delle donne e la loro esclusione dagli studi e dalla vita politica. Un esempio ne sono le Epistole familiari di Laura Cereta, vissuta nella seconda metà del Quattrocento, pubblicate per la prima volta circa un secolo più tardi da Giacomo Filippo Tomasini membro dell’Accademia dei Ricovrati e storico dell’Università di Padova. Nell’epistolario, Cereta difende polemicamente le donne spronandole a emanciparsi dai propri mariti.

A cavallo tra il Quattro e il Cinquecento, di Cassandra Fedele, donna straordinariamente erudita, Ferri indica, invece, tre edizioni di quell’orazione, pronunciata nel 1487 all’Università di Padova, che ebbe grandissima eco nel mondo, tanto da generare nel tempo la leggenda che Cassandra vi avesse insegnato. Una seconda edizione, sempre curata da Tomasini, contiene anche il ricco epistolario della scrittrice in cui compaiono, oltre a duchi e regnanti, anche umanisti come Niccolò Leonico Tomeo, docente di greco nello Studio patavino, e il Poliziano che, conosciutala a Venezia, descrive la sua sapienza al Magnifico come “cosa, Lorenzo, mirabile, né meno in volgare che in latino”.

Di Lucrezia Marinelli, poetessa e trattatista attiva tra Cinque e Seicento, Ferri segnala non meno di venti opere tra le quali La nobiltà et l’eccellenza delle donne, trattato scritto in risposta ai Dei donneschi difetti di Giuseppe Passi, accademico ricovrato dal 1604 che aveva stigmatizzato i vizi delle donne con argomentazioni, a suo dire, inoppugnabili. A questi ragionamenti, Marinelli risponde con argomentazioni filosofiche, riconducendo uomini e donne allo stesso principio razionale.

Di suor Arcangela Tarabotti, che aveva denunciato la schiavitù delle donne e i raggiri maschili delle fanciulle, Ferri indica le opere nate in risposta ai trattati misogini del tempo: l’Antisatira, in replica a uno scritto contro il lusso muliebre, o la Difesa delle donne, un trattato che nega l’immortalità dell’anima alle sole esponenti del consesso femminile. La Biblioteca segnala ancora La semplicità ingannata, opera pubblicata postuma e presto messa all’Indice, in cui la religiosa denuncia la pratica di monacare forzatamente le donne escludendole dalla politica e dallo studio: “[Le donne] son private d'ingresso ne’ Senati [...] non che la libertà di riempir, come a gli huomini è dato, gli studii di Padoa, Bologna, Roma, Parigi”.

La Biblioteca, poi, cita opere che segnano il termine della “segregazione” femminile: anche in Veneto, infatti, dalla seconda metà del XVII secolo, su influenza francese, si aprirono per le donne nobili e borghesi, cólte e letterate, nuovi spazi sia in famiglia che nella sfera pubblica. A questo passaggio sono legate le vicende di due docenti dello Studio di Padova: Charles Patin e Antonio Vallisneri senior.

Nel Seicento Charles Patin promosse l’ingresso in accademia di dieci dames illustres de France (tra cui Mademoiselle de Scudéry e Madame Salvan de Saliez), delle sue figlie Gabrielle Charlotte e Charlotte Catherine, onorò la memoria di Elena Cornaro Piscopia con una pubblicazione di scritti di diversi accademici e cercò, invano, di ottenere la laurea a Padova per la figlia maggiore. Di Gabrielle Charlotte Patin, Ferri segnala, oltre a un epigramma latino pronunciato pubblicamente in occasione della morte di Elena Lucrezia Cornaro, l’opera di interesse numismatico De phoenice. Della sorella minore, Charlotte Chaterine, Ferri indica un’“opera riputatissima” stampata in italiano e latino dove descrive circa quaranta dipinti presenti principalmente a Padova, alcuni dei quali appartenuti al padre che condivideva con le figlie la passione per l’arte, le monete antiche e i libri. Di grande interesse anche la traduzione in francese di una novella intitolata Mitra, ou la démone mariée dove emergono temi a difesa delle donne ispirate al preziosismo, un movimento letterario, ma anche un fenomeno di costume, che si sviluppò in Francia verso la metà del Seicento collegato a un uso ricercato, manierista ed elegante della lingua.

Il nuovo modello femminile delle dame di casa Patin trionferà nella Padova del Settecento nella disputa orchestrata in accademia da Antonio Vallisneri quando pose il quesito “se le donne si dovessero ammettere allo studio delle scienze e delle arti nobili”. La disputa padovana durò cinque anni e coinvolse uomini e donne provenienti da tutta la nazione. I migliori interventi vennero raccolti e pubblicati da Vallisneri in un volume che si chiudeva con la traduzione in latino di un testo a favore degli studi delle donne di una giovanissima Maria Gaetana Agnesi, futura matematica e docente universitaria, e si apriva con un chiaro messaggio del professore rivolto agli uomini che condannano le fanciulle “all'ago, al fuso, all'arcolajo, e alle domestiche penose cure” anziché spingerle all’apprendimento delle scienze per renderle “un giorno abili, e pronte a penetrare ogni più occulto, e più spinoso arcano della terra, e del cielo”.

Ferri sembra accogliere sistematicamente nella sua biblioteca tutte le donne iscritte all’Accademia dei Ricovrati: nel Settecento, Cristina Roccati, Giulia Baitelli e Luisa Bergalli, allieva quest’ultima della pittrice Rosalba Carriera e moglie di Gasparo Gozzi, traduttrice di Molière e Racine, che nel 1726 curò la raccolta dei Componimenti poetici delle più illustri rimatrici, una delle antologie in assoluto più utilizzata da Ferri. Non manca infine di segnalare autrici a lui contemporanee come Bianca Laura Saibante Vannetti, cofondatrice dell’Accademia degli Agiati di Rovereto, di cui Ferri aveva curato la pubblicazione delle Rime o Isabella Teotochi Albrizzi che aveva scritto la biografia di Vittoria Colonna poi inserita nelle Vite e ritratti di donne illustri pubblicata da Nicolò Bettoni.

Alla morte, Pietro Leopoldo lasciò la biblioteca in eredità ai figli e ne affidò alla moglie la custodia. Nel 1852 Giampaolo Tolomei, futuro rettore dell’Università di Padova, donò pure un autografo della metà del XVII secolo: la biblioteca era finalmente diventata una collezione a cui aggiungere altri libri. Nel 1870 la raccolta, che allora contava 1.121 opere, 785 autrici e 229 rarissime edizioni, venne donata dai figli al Comune di Padova e presto vennero ad aggiungersi libri lasciati anche dalle scrittrici stesse o intere collezioni, come il periodico La donna fondato nel 1868 da Gualberta Alaide Beccari. Nel 1936 fu deciso di non incrementarla più, ma nel 2008 con l’apertura della nuova biblioteca civica venne inaugurata una nuova sezione femminile con l’intento di raccogliere libri intorno alle tematiche di genere.

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