SCIENZA E RICERCA

Crisi climatica e transizione verde: lo stress idrico è un rischio reale

La direzione sembra ormai tracciata: la transizione ecologica sta, forse, divenendo realtà. Uno dei capitoli più importanti, e più complessi, di questa sfida sarà la conversione dei sistemi energetici, attualmente alimentati pressoché universalmente da combustibili fossili, che dovranno invece virare verso la neutralità carbonica. La realizzazione in tempi brevi della transizione energetica sarà essenziale per sperare di avvicinarsi agli obiettivi di sostenibilità individuati per i prossimi decenni.

Tra le alternative “rinnovabili” ai combustibili fossili vi è una fonte di energia promettente, ma che ha generato molte discussioni e su cui vi sono pareri discordanti: si tratta dei biocarburanti, ottenuti mediante la raffinazione di biomasse – si tratta dei biocombustibili di prima generazione – o di scarti vegetali – nel caso dei biocombustibili “avanzati”, di seconda e terza generazione. Sono diversi i vantaggi di questo tipo di fonte energetica: innanzitutto, a differenza dei combustibili fossili, le biomasse sono una risorsa rinnovabile; inoltre, rispetto ad altre fonti di energia verde – come l’eolico, l’idrico o il solare – le biomasse sono potenzialmente disponibili ovunque. Il maggior beneficio di questo genere di combustibili, tuttavia, è un altro: le emissioni prodotte dalla combustione delle biomasse, infatti, sono carbon-neutral, perché compensate dall’anidride carbonica sequestrata dalle piante coltivate nel corso del loro arco di crescita.

Eppure, non è tutto oro quel che luccica: la coltivazione di biomasse a scopi energetici ha anche dei risvolti negativi. Primo fra tutti, vi è – nel caso dei biocombustibili di prima generazione – un problema di competizione per le risorse: questa tecnologia, infatti, utilizza come materia prima risorse adatte anche ad un uso alimentare. In tal caso, dunque, i terreni destinati alla coltivazione di biomasse sono sottratti alla produzione alimentare, con conseguenti dilemmi etici di non poco conto. Ma non sono solo i terreni a venir sottratti ad altri possibili usi: questo problema si ripresenta con tutte le risorse necessarie alla coltivazione delle biomasse, tra cui l’acqua.

Proprio di questo aspetto si occupa uno studio recentemente pubblicato sulla rivista Nature Communications, condotto da un gruppo di ricerca internazionale che attraverso la simulazione, mediante modelli di simulazione numerica, di possibili scenari climatici futuri, evidenzia come la transizione energetica potrebbe portare con sé costi inaspettati.

Gli studiosi costruiscono, nei loro modelli, alcuni scenari in cui la riduzione delle emissioni climalteranti è realizzata grazie all’utilizzo delle biomasse come fonti d’energia. Ebbene, l’estensione delle coltivazioni necessaria per soddisfare il crescente fabbisogno energetico potrebbe avere un pesante impatto idrico su scala mondiale, incidendo così su uno dei più urgenti problemi che la crisi climatica pone già oggi, e che, secondo gli esperti, in futuro non potrà che acuirsi: la disponibilità d’acqua per soddisfare i bisogni essenziali di una popolazione umana ancora in forte espansione.

Servizio di Sofia Belardinelli, montaggio di Barbara Paknazar

Quello dell’accesso all’acqua è un tema scottante, già oggi, in molte parti del mondo: come riportano gli autori della ricerca, «lo stress idrico – che oggi interessa tra gli 1,4 e i 4 miliardi di persone, a seconda delle unità di misura considerate – potrebbe aumentare drasticamente nel prossimo futuro, non solo per via dell’aumento della popolazione, ma anche per via degli impatti del cambiamento climatico». Lavorare a strategie di mitigazione del cambiamento climatico è, dunque, certamente un imperativo, e in tal senso la sostituzione dei combustibili fossili con biocombustibili potrebbe essere una parte della soluzione, contribuendo a mantenere l’aumento delle temperature al di sotto dei fatidici 2°C richiamati negli Accordi di Parigi del 2015. «Tuttavia – proseguono gli studiosi – una produzione di biomasse abbastanza estesa da soddisfare le richieste del mercato aumenterà probabilmente le pressioni ambientali sotto diversi aspetti, a livello locale e globale, compresa una maggiore competizione per l’acqua dolce – risorsa scarsa – nella misura in cui le piantagioni avranno bisogno di essere costantemente irrigate, per poter raggiungere i livelli di sequestro di CO2 necessari» affinché i biocarburanti siano davvero carbon-neutral. Ponendo a confronto due scenari opposti – un modello business as usual, in cui non si prendono provvedimenti per la mitigazione del cambiamento climatico, e uno scenario in cui viene invece implementato l’uso delle biomasse come alternativa alle fonti energetiche fossili – gli autori concludono che il ricorso alla bioenergia potrebbe intaccare le risorse idriche globali addirittura in misura maggiore rispetto alle conseguenze della crisi climatica.

«Lo stress idrico si realizza quando, mediante un prelievo eccessivo, si incide in profondità sulla disponibilità della risorsa, sia essa superficiale o sotterranea, al punto da scatenare una forte competizione tra i diversi utilizzi: tra questi vi sono l’agricoltura, che da sola consuma, a livello globale il 60-70% di tutta l’acqua dolce disponibile, la generazione di energia idroelettrica – settore in rapida crescita e con notevoli investimenti, a fronte di una sempre più diffusa richiesta di energia pulita –, ma anche l’uso industriale e domestico, particolarmente d’impatto nelle grandi città». È quanto afferma Monia Santini, Direttrice della Divisione per gli Impatti su Agricoltura, Foreste e Servizi ecosistemici (IAFES) della Fondazione Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici. «Non bisogna poi dimenticare – prosegue Monia Santini – la necessità di garantire che una parte dell’acqua disponibile sia destinata ad un utilizzo ecologico: è necessario, cioè, che una certa quantità d’acqua sia lasciata circolare negli ecosistemi, affinché questi continuino a funzionare e a fornire all'uomo i fondamentali servizi ecosistemici, e non solo quelli legati direttamente al ciclo idrologico.

Quando le diverse destinazioni d’uso della risorsa scarsa in questione creano un disequilibrio, allora si verifica lo stress idrico: semplicemente, il prelievo è eccessivo e la risorsa a disposizione diminuisce, o la sua qualità peggiora».

Questa situazione non è destinata a migliorare nei prossimi anni: come spiega la ricercatrice, «l’incremento della popolazione umana determinerà un crescente fabbisogno di risorse, e l’acqua, bene primario, sarà fondamentale per soddisfare la richiesta di più cibo, più energia e per far fronte all’aumento degli usi in ambito domestico. Specularmente, dal punto di vista della disponibilità idrica, si verificherà un trend opposto: la crisi climatica già in atto determinerà, in alcune parti del mondo, una drastica riduzione delle piogge; inoltre, anche laddove – come nelle aree tropicali – le piogge subiranno un generale aumento, vi sarà una maggiore variabilità stagionale, con maggiore aridità nei mesi già secchi e fenomeni più violenti e frequenti nei mesi solitamente più umidi. Questo incrinerà l’affidabilità dei principali bacini, che potrebbero non essere in grado di garantire un’adeguata e continua disponibilità d’acqua lungo l’intero corso dell’anno. Il cambiamento climatico determinerà, per di più, un generale aumento delle temperature, e questo inciderà direttamente sul ciclo dell’acqua, modificando, su scala globale, i tassi di evaporazione».

Rispondere tempestivamente a questi molteplici rischi non è impossibile: una delle più efficaci soluzioni, ricordano gli autori dello studio di Nature Communications, è l’implementazione di politiche per la gestione sostenibile dell’acqua, risorsa tanto essenziale quanto scarsa, in ogni suo ambito d’utilizzo. Fra gli scenari ipotizzati dagli studiosi, infatti, solo quello in cui si simula una gestione sostenibile dell’acqua presenta, per il futuro, una tendenza non troppo rapida relativamente all’aumento del numero di persone sottoposte a stress idrico. In conclusione dell’articolo, i ricercatori sostengono che «l’implementazione di una gestione più efficiente dell’acqua potrebbe offrire una via d’uscita sinergica al problema dell’impatto idrico. Raggiungere un simile obiettivo richiederebbe l’adozione rigorosa di metodi stringenti in tutti i Paesi del mondo, e d’altro canto i sostanziosi investimenti economici [...] potrebbero contribuire anche a raggiungere molti degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals, SDGs)».

Un altro tema di grande rilevanza, nel valutare l’impatto idrico delle nostre attività, è la disomogeneità geografica della distribuzione del problema: le mappe riportate nello studio confermano che ad essere maggiormente colpite, nel prossimo futuro, da una cronica scarsità d’acqua a causa del cambiamento climatico saranno regioni come il Medio Oriente, l’India, la Cina nord-occidentale, il Sud-est e il Sud-ovest dell’Africa e il Mediterraneo.

«Proprio in relazione al Mediterraneo, che è (e sarà sempre più) un vero e proprio “punto caldo” riguardo alla questione dello stress idrico, risulta evidente la centralità di un approccio che ponga al centro la gestione sostenibile delle risorse idriche, che consiste nel ridurre gli sprechi e nel tenere in debito conto le necessità ecologiche degli ecosistemi. I modelli elaborati nello studio sono molto importanti, poiché mostrano in che modo, sotto l'azione di determinati stress – di origine antropica o naturale – già in atto, sarà possibile individuare le migliori soluzioni per una corretta gestione delle risorse, anche in relazione alla competizione tra i diversi utilizzi. La tecnologia in questo potrà essere un grande aiuto. Guardando al settore agricolo, ad esempio, sarà essenziale ridurre significativamente gli sprechi d’acqua, e razionalizzare l’utilizzo delle risorse: va in questa direzione la climate smart agriculture, che distribuisce acqua e nutrienti in base alle condizioni climatiche, con monitoraggi e previsioni ad hoc della disponibilità e delle esigenze contingenti che garantiscono una maggiore efficienza e sostenibilità ambientale ed economica.

Ipotizzare scenari futuri, anche se estremizzati, è auspicabile e necessario», conclude Santini. «Questo genere di esercizio, infatti, ci consente di comprendere con maggior precisione quali traiettorie future hanno più probabilità di realizzarsi, così da prepararci e agire di conseguenza, cercando di rispondere nel modo migliore, secondo un sistema decisionale che tiene conto dell’incertezza ed è pertanto definito “robusto”, a tutte le esigenze e dinamiche in gioco: disponibilità d’acqua, energia pulita, dinamiche socio-economiche, servizi ecosistemici, tutela dell’ambiente».

POTREBBE INTERESSARTI

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012