SOCIETÀ

Le emigrazioni forzate non diminuiscono, nemmeno con la pandemia

Le emigrazioni forzate non sono diminuite nemmeno nel 2020, l’anno della pandemia globale da Covid-19, anzi sono addirittura aumentate. Contro discutibili accreditate previsioni, restrizioni e lockdown non hanno potuto bloccare le fughe per la vita. Come è noto la libertà di movimento e di migrazione (prevista dall’articolo 13 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani) si è fortemente ridotta sia fra gli Stati che all’interno dei vari Stati. Ragioni sanitarie hanno imposto un po’ ovunque, seppur diacronicamente nei vari mesi e stagioni dello scorso anno, limitazioni a uscire di casa, a raggiungere anche comuni o province vicine, a spostarsi fra regioni limitrofe o distanti, a uscire dal proprio paese o rientrarvi se si era all’estero. Per poco tempo o per molto tempo.

Vi sono stati e permangono, tuttavia, anche continui inarrestabili incomprimibili movimenti e migrazioni forzati, fughe dal luogo ecosistema domicilio residenza nei quali ci si trova e dai quali necessariamente si sfolla, per salvarsi la vita, per sopravvivere. Le cause non sono ovunque le stesse e forse nemmeno assolutamente univoche. Comunque nella lunga storia della presenza umana del pianeta due sono le ragioni principali delle emigrazioni forzate, il clima esterno e le violenze interne alla specie, quelle non sono state intaccate dalla pandemia, rapide o lente persistono. Da centinaia di migliaia di anni, l’anno passato e anche ora.

Ogni secondo di ogni minuto di ogni ora di ogni giorno del 2020 almeno un sapiens certificato è stato costretto ad abbondonare la propria casa e a “trasferirsi”, a causa di guerre o di altri disastri. Nemmeno l’emergenza sanitaria ha frenato l’esodo. Anzi, in piena pandemia planetaria, il numero dei profughi durante il solo 2020, ovvero degli sfollati interni, internally displaced people (IDP) ha raggiunto il massimo annuale dell’intero decennio, 40,5 milioni di individui in 149 differenti Stati. Più di tre quarti, circa 30,7 milioni sono fuggiti da catastrofi, eventi estremi climatici e geomorfologici: tempeste, uragani, tifoni, inondazioni, incendi, terremoti, eruzioni. Alcuni non sono sopravvissuti, quelli che si sono salvati sono divenuti ecoprofughi. La gran parte dei movimenti e delle migrazioni forzate si sono concentrate nel Sud-Est asiatico e nel Pacifico: tre paesi, Cina, Bangladesh Filippine, hanno avuto ciascuno oltre quattro milioni di profughi interni. Poco ci tocca in Europa e in Italia, possiamo pensare, nell’immediato è così, aldilà della scossa emotiva e della solidarietà morale che qualcuno di noi possa provare.

Ai singoli eventi estremi drammatici e contingenti vanno aggiunti i flussi costanti per i fenomeni di lungo periodo, drammatici e lenti, come le siccità prolungate o il progressivo innalzamento del mare, effetti collaterali dei cambiamenti climatici antropici globali, dinamiche alcune più vicine a noi, ma anch’esse ancora prive di immediate conseguenze interne all’Europa e all’Italia. Non a caso, il 95% degli sfollati risiede in paesi vulnerabili rispetto al climate change. Fuggono, emigrano, si arrangiano, non sono destinati a tornare né subito né tutti. Fra qualche tempo qualcuno di loro, in fuga precipitosa o lenta, sarà costretto o riuscirà a immigrare dalle nostre parti, meglio esserne consapevoli subito. Abbiamo già descritto, comparato e approfondito molti di questi aspetti.

Suggerisco di prestare un attimo di attenzione ulteriore ai numeri citati. Oltre 40 milioni sono i nuovi profughi interni del 2020, solo i nuovi (!), non il totale degli attuali profughi interni. Il totale è un’entità nota: lo scorso anno eravamo a 55 milioni e quasi 15 milioni, dunque, lo erano anche nel 2019 (alcuni anche nel 2018) e lo sono restati. Ogni anni se ne aggiungono decine di milioni, questo è il punto: dal 2008 la media è di circa 25 milioni nuovi profughi ogni nuovo anno solo per ragioni “ambientali”, climatiche e geomorfologiche, non politiche e conflittuali. Il 2020 è stato un massimo, speriamo che la tendenza sia reversibile (è improbabile, comunque sperar non nuoce), la media 2008-2020 è di 24,5 milioni di nuovi ecoprofughi in più ogni anno. Individui sapiens in carne e ossa, con nome e cognome, nazionalità e cittadinanza, capacità e qualità, affetti e passioni. E, talora, interi gruppi: famiglie condomini villaggi quartieri comunità popoli. In fuga. Spesso con l’assistenza dell’Onu e, comunque, sempre con la propria identità collettiva e le proprie differenze individuali.

Tutti gli anni recenti, tra il 20 maggio e il 20 giugno escono i dati aggiornati all’anno precedente, raccolti e resi noti da organizzazioni internazionali specializzate. Il 20 maggio 2021 è stato diffuso il Global Report on Internal Displacementdell’IDMC (Internal Displacement Monitoring Centre) ovvero il GRID2021, il rapporto accreditato dall’Onu sugli IDP. Riassumendo:

Major climate-related disasters have almost doubled in the last twenty years as greenhouse gas emissions continue to climb. Combined with weak risk governance and environmental degradation, persistent inequality and marginalisation are creating new risks and aggravating the impacts of local crises to global scales. The COVID pandemic has been a wake-up call and this Report is another reminder: today, sound evidence and global partnership are more important than ever. Millions of people on the move in a changing climate need us to act in solidarity".

Gli esperti hanno sottolineato subito come gli stessi enormi numeri sopra riportati possano essere sottostimati: la pandemia ha reso difficile la raccolta dei dati e potrebbe aver spinto più persone a evitare i rifugi “certificati” per paura di infettarsi. Oppure la pandemia potrebbe aver creato nuovi profughi sanitari, precari per sé e per gli altri. Facciamo un esempio per capirci, anche se non rientra nelle statistiche sugli sfollati: in Italia, pochi giorni fa vi erano oltre 700.000 migranti sprovvisti di codice fiscale e di tessera sanitaria che non avevano potuto accedere alle piattaforme regionali per prenotare la vaccinazione, pur se forse si è poi talora iniziato ad adottare una maggiore flessibilità burocratica. Vale anche per altri paesi, vale inevitabilmente in alcuni campi-profughi, accanto a molte altre ingiustizie e sofferenze.

I dati del GRID2021 costituiscono la base anche del prossimo rapporto dell’Unchr che, in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato il prossimo 20 giugno 2021, aggiornerà i dati sui Refugees dello scorso anno ovvero che integrerà il numero del profughi interni (IDP) con il numero dei profughi internazionali, gli individui sapiens con lo status internazionale riconosciuto dall’Onu e affidato a due diverse grandi strutture, appunto l’Alto Commissariato Unhcr e l’apposita agenzia per i profughi palestinesi (dal 1948!). Le dinamiche dell’ultimo ventennio sono ormai stabili: gli sfollati interni sono ogni anno più dei rifugiati internazionali; i nuovi profughi interni sono ogni anno molti molti di più dei nuovi rifugiati internazionali; i numeri sia dei profughi interni che dei rifugiati internazionali sono purtroppo in crescita; la ragione principale di delocalizzazione interna e, tendenzialmente, internazionale riguarda gli effetti dei cambiamenti climatici antropici globali. Serve un’immediata “neutralità” climatica e , nel contempo, dare piena attuazione ovunque ai due Global Compact dell’ONU su migranti e rifugiati, patti di cui in Italia nessuno parla mai.

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