SCIENZA E RICERCA

Come cane e gatto, anche nella ricerca

La rivalità tra cani e gatti è ormai proverbiale, e si ripercuote anche sui loro umani di riferimento, che scatenano guerre fratricide per decidere quale sia l'animale migliore. Ora il dibattito si è insinuato anche in un ambiente inaspettato, quello dei laboratori di ricerca. Leslie Lyons, specialista della genetica dei gatti e fervente sostenitrice del partito dei felini, in un articolo su Trends in Genetics ha lamentato il fatto che la ricerca genetica è fortemente sbilanciata verso il cane. Lyons, insieme ad alcuni colleghi dell'università del Missouri e della Texas A&M University ha sequenziato il genoma del gatto e ha concluso che questi animali hanno ottime carte da giocare nel duello con i cani: studiando il loro DNA, i ricercatori potrebbero ricavare delle informazioni importanti anche per la cura delle malattie umane, e per questo motivo da anni si impegna in questo settore della ricerca.

Ma è vero che i gatti sono così bistrattati a livello scientifico? E nel concreto che contributo possono dare per farci stare meglio (oltre a fare le fusa, si intende)? Per saperne di più abbiamo intervistato Luca Bargelloni, genetista animale e docente del dipartimento di Biomedicina comparata e alimentazione dell'università di Padova.

Servizio di Anna Cortelazzo e montaggio di Elisa Speronello

Per prima cosa, è necessario chiarire che cosa intendiamo quando parliamo di genoma: "È un manuale di istruzioni molto complesso - spiega il professore - che permette di ottenere da una singola cellula un essere umano, un cane, un gatto, un pesce e così via. In questo manuale di istruzioni sono anche contenute le risposte comportamentali, le risposte all'ambiente e le risposte alle infezioni. La nostra comprensione è ancora incompleta, non abbiamo ancora decodificato completamente come queste istruzioni vengono date alle diverse cellule per sviluppare questo organismo complesso e per dare delle risposte all'ambiente".

Gli studi comparativi, che analizzano le differenze e le similitudini tra i genomi delle varie specie, sono interessanti, perché possono permettere ai ricercatori di capire il motivo dei "malfunzionamenti" di una specie rispetto all'altra. Perché, per esempio, i gatti si ammalano meno di tumore rispetto ai cani e agli umani? E come mai all'interno della stessa specie le varie razze hanno problemi differenti? Tutte queste informazioni sono scritte nel genoma, e tramite il suo studio i ricercatori possono comprendere i meccanismi genetici che portano, per esempio, determinate malattie.

Ma come si scelgono queste specie da studiare? Da una parte, spiega Bargelloni, ci sono gli animali da laboratorio, come il topo, il ratto o lo zebrafish: in questi casi le malattie vengono indotte, mentre quando parliamo di altri animali, come per esempio il cane e il gatto, si manifestano spontaneamente malattie simili a quelle dell'uomo. "Il confronto tra i due genomi - spiega Bargelloni - può darci informazioni sugli errori contenuti nel manuale di istruzioni di alcuni individui in una specie o in una razza, che poi possono formare la causa genetica, o la concausa, di una malattia anche importante come per esempio il cancro". Contrariamente a ciò che si potrebbe pensare, il sequenziamento del genoma, di per sé, non implica particolari difficoltà burocratiche o etiche, visto che il DNA si può ottenere anche da un semplice tampone salivare, ovviamente previo consenso informato. Altre volte ci sono delle complicazioni, come nel caso del drago di Komodo (di cui abbiamo parlato nel 2019 perché allo studio hanno partecipato anche dei ricercatori dell'università di Padova): "Un animale poco rassicurante secondo i colleghi di Firenze che si sono trovati faccia a faccia con lui" scherza Bargelloni. "In quel caso ottenere un campione di un animale così vulnerabile e trasportarlo in laboratorio dall'Indonesia non è stato altrettanto facile a livello burocratico".

I veri problemi sorgono invece quando si rende necessario indurre la malattia. Questo è possibile solo con gli animali da laboratorio e anche in questo caso sono stati fissati dei limiti, per esempio sul numero degli animali coinvolti e le motivazioni della ricerca. Diverso è il caso degli animali d'affezione come cane e gatto. Con loro, ovviamente, la malattia non può essere indotta, ma insorge spontaneamente: in questi casi, previo consenso informato del proprietario dell'animale e previo consenso di un comitato etico, si può procedere agli studi.

Tornando al discorso dell'appeal genetico dei gatti, è vero che, fino ad ora, i cani hanno viaggiato su una corsia preferenziale. Ma non è per razzismo (se non in senso prettamente etimologico, visto che la disponibilità di più razze facilita gli studi comparativi). Bargelloni ci spiega che, inizialmente, c'era un grande ostacolo economico: agli albori di questi studi, sequenziare un genoma aveva un costo dell'ordine di milioni di euro, mentre ora che i costi si sono notevolmente ridotti (parliamo di qualche centinaio di euro) anche gruppi di ricerca più piccoli potrebbero cimentarsi, mentre prima lo scoglio dei costi era proibitivo. Naturale, quindi, che all'epoca venisse data la precedenza ai genomi di quelle specie più vicine all'uomo che potevano dare più informazioni: i cani battevano i gatti a zampe basse, sia in termini numerici sia relativamente alle cifre investite dagli umani nella loro salute, quindi, anche prima di parlare di sequenziamento, erano disponibili molti più dati epidemiologici e clinici da cui si poteva partire nelle ricerche.

Poi, come accennavamo, c'è il discorso della disponibilità di più razze rispetto a quelle feline: "Il processo di selezione delle razze - spiega Bargelloni - porta ad avere pochi individui con le stesse caratteristiche che vengono fatti riprodurre tra di loro. In quel manuale di istruzioni che è il genoma possono essere presenti alcuni errori di codificazione, dei difetti che possono portare a malattie più o meno gravi. Normalmente questi errori sono rari, ma se prendiamo pochi individui e cominciamo a imparentarli tra di loro questi errori casuali possono diventare più frequenti e quelle razze saranno quindi più predisposte a determinate malattie, come i tumori e le malattie metaboliche, quindi certe razze diventano eccellenti modelli genetici per lo studio di quelle malattie".

Ora però è venuto il momento, anche per i gatti, di salire alla ribalta degli studi genetici perché, come spiega Lyons nell'articolo, possono aiutare i ricercatori a comprendere i meccanismi di molte malattie umane. "Anche il gatto - conferma Bargelloni - ha un numero significativo di razze spesso affette da malattie genetiche o predisposte a svilupparle, e alcune volte il gatto può rappresentare un miglior modello per le malattie umane, il che significa che la malattia nel gatto assomiglia a quella umana molto di più di quella del cane. Quindi, adesso che i costi del sequenziamento si sono ridotti e non siamo più costretti a fare quelle scelte drastiche che prima ci consentivano di analizzare solo poche specie, anche il gatto è rientrato nell'interesse ricercatori e potrà portare molte informazioni su alcune patologie di cui è un eccellente modello, come ad esempio il diabete di tipo 2, che è considerata quasi una pandemia".

Per una volta, quindi, non parliamo di lotta tra cani e gatti: le due specie giocano per la stessa squadra, quella che tramite la ricerca punta a farci stare meglio.

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