SOCIETÀ

UNICEF: la crisi climatica nega i diritti dei bambini

La crisi climatica è, prima di tutto, una questione di giustizia. E a subirne le conseguenze sono, in una percentuale sproporzionatamente maggiore, coloro che non hanno contribuito alla situazione attuale: i poveri del mondo, che non hanno mai avuto accesso ad uno stile di vita ad alto impatto energetico, e le future generazioni, che ricevono in eredità un mondo dagli equilibri profondamente alterati.

Proprio alle generazioni più giovani è dedicato l’ultimo Rapporto dell’UNICEF, redatto in collaborazione con il movimento studentesco globale Fridays for Future, il cui titolo è eloquente: “La crisi climatica è la crisi dei diritti dei bambini”. Il Rapporto presenta il primo Indice che valuta in quale misura i bambini subiscano gli effetti dei cambiamenti climatici: per la prima volta, infatti, i Paesi del mondo vengono classificati in base al livello di rischio climatico a cui i loro più piccoli cittadini sono esposti.

I risultati, seppur agghiaccianti, non colgono di sorpresa: i 33 Paesi che si sono classificati in cima alla lista di rischio – e nei quali vive un miliardo di bambini, quasi la metà dei bambini di tutto il mondo – sono tutti caratterizzati da una duplice fragilità, geografica ed economica. Non a caso, ad esempio, nelle prime tredici posizioni troviamo soltanto nazioni africane, la cui particolare vulnerabilità al cambiamento climatico è nota.

Questo, tuttavia, non è stato l’unico parametro preso in considerazione per la compilazione della classifica: la stima della vulnerabilità climatica – legata principalmente a fattori geografici e naturali – è stata combinata con il calcolo della vulnerabilità socioeconomica dei bambini, attraverso la valutazione della possibilità di accedere a diritti fondamentali come la salute, l’acqua, il cibo, l’istruzione. In molti casi, tra questi due fattori è stata individuata una forte correlazione: non è raro, cioè, che i Paesi più esposti agli stress causati dalla crisi climatica siano anche quelli che hanno meno risorse da investire sulle giovani generazioni, rendendole così poco resilienti e incapaci di far fronte a condizioni difficili.

 

A livello globale, il 99% dei bambini è esposto ad almeno un fattore di rischio legato alla crisi climatica: inquinamento dell’aria, dell’acqua e dei suoli, mancanza d’acqua, ondate di calore (il 2020 è stato, finora, l’anno più caldo di sempre), alluvioni, cicloni, esposizione a nuove malattie sono i più diffusi e i più dannosi. In molti casi, inoltre, questi rischi si sovrappongono: i bambini che, ad oggi, sono esposti ad almeno due di essi sono 2,2 miliardi, quasi il 90%; più di un terzo di loro sono esposti ad almeno tre di questi eventi simultaneamente, e 80 milioni di bambini devono affrontarne 6 o più.

La situazione è drammatica: già allo stato attuale, infatti, tali rischi si traducono nell’impossibilità per moltissimi bambini di avere un’istruzione di qualità, di accedere a risorse fondamentali come l’acqua e il cibo, di veder tutelata la propria salute – per non parlare della possibilità di essere ascoltati e di prendere parte ai processi decisionali che, spesso, influiscono sulle loro stesse vite. In molti casi, gli effetti avversi del cambiamento climatico negano a bambini e ragazzi lo stesso diritto alla vita.

L’accesso negato a simili servizi fondamentali – l’istruzione, ad esempio, è riconosciuta anche nell’Agenda 2030 come essenziale per contrastare la crisi climatica e le tante crisi ad essa correlate – fa di questi futuri adulti delle persone estremamente vulnerabili, riducendo la loro resilienza e la loro capacità di adattamento. In questo modo si crea un circolo vizioso che si autoalimenta, spingendo i più svantaggiati in una povertà sempre più nera che li espone ancor di più al rischio di subire eventi climatici avversi.

Le voci dei bambini devono essere ascoltate: non possiamo permettere che vengano privati delle risorse per il futuro a causa delle nostre decisioni presenti UNICEF, Children’s Climate Risk Index Report

«L’unica soluzione a lungo termine per la crisi climatica – si legge nel Rapporto dell’UNICEF – è una drastica riduzione delle emissioni climalteranti al di sotto dei livelli di sicurezza, azzerandole entro il 2050 così da assicurare che la temperatura non aumenti di più di 1,5°C al di sopra dei livelli preindustriali. Tuttavia, le dinamiche del sistema climatico sono talmente complesse che qualsiasi intervento di mitigazione impiegherà anni per fermare ed invertire gli effetti del cambiamento del clima, e per i bambini di oggi sarà ormai troppo tardi. A meno che non si investa in modo imponente per l’adattamento e la resilienza delle possibilità sociali per i 4,2 miliardi di bambini che nasceranno nei prossimi 30 anni, essi dovranno affrontare minacce sempre più grandi al proprio benessere e alla propria sopravvivenza».

I bambini di oggi sono il futuro dell’umanità: sono una risorsa preziosa, ma sono anche particolarmente vulnerabili. Per questo, la loro tutela è un imperativo. L’Italia è un chiaro esempio di come la tutela dei più giovani, la garanzia dei loro diritti, sia un’arma essenziale per la lotta alla crisi climatica: il nostro, infatti, è un Paese il cui rischio climatico è stato valutato come medio-alto; eppure, è al 102° posto sui 163 Paesi inseriti nella classifica, poiché, ad oggi, l’infanzia è tutelata abbastanza da non essere direttamente esposta ai rischi climatici più gravi.

E questo ci riporta alla questione iniziale: la crisi climatica è, innanzitutto, un fatto di giustizia. Il Rapporto UNICEF lo evidenzia con chiarezza: dei 33 Paesi più esposti alle conseguenze della crisi climatica, nessuno è fra i maggiori emettitori. Le loro emissioni, al contrario, pesano nel complesso solo per il 10% delle emissioni globali annue. Ancor peggio, quelle dieci nazioni africane che hanno conquistato il triste primato di luoghi meno sicuri della Terra di fronte agli sconquassi dei cambiamenti climatici contribuiscono per lo 0,5%. Praticamente, non inquinano. Al contrario, i Paesi industrializzati – quelli a cui va imputata la quasi totale responsabilità della situazione attuale, visto il loro contributo storico in termini di emissioni – sono anche i meno colpiti, soprattutto grazie alle condizioni sociali che consentono di tutelare i più fragili e che assicurano all’intero sistema una maggiore resilienza.

Tuttavia, c’è ancora spazio per la speranza. Secondo UNICEF, la speranza risiede proprio in loro, i bambini: «I giovani hanno accettato la sfida, e pretendono che il mondo riconosca come la crisi climatica è la sfida che segnerà la loro e le future generazioni. Non hanno fatto mistero della profonda frustrazione che provano per questa ingiustizia intergenerazionale, e hanno mostrato il proprio coraggio nella volontà di mettere in discussione lo status quo, rimarcando la propria centralità come protagonisti nell’affrontare la crisi climatica».

Il momento di prendere le decisioni che determineranno il futuro dei giovani e quello dei loro discendenti, però, è giunto, e rimandare non è più possibile. I decisori politici devono prendere in carico le paure e le preoccupazioni dei più giovani, ascoltare le loro proposte, e agire nel loro interesse per lasciare loro un’eredità degna di questo nome. Perché, come ha affermato Henrietta Fore, direttrice esecutiva di UNICEF, «ogni bambino ha diritto a un pianeta abitabile».

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