SOCIETÀ

Alta mobilità, intermodale integrata e sostenibile

Il quadro attuale

L’arrivo del Covid-19 ha accelerato alcune tendenze, in particolare le tematiche del riuso degli spazi costruiti e della mobilità, ovvero del nuovo assetto, che Stefano Boeri definisce “nuova sfida” che le città italiane dovranno affrontare nei prossimi anni, e per le quale Maurizio Carta richiama la necessità di avere “audacia”. La sostenibilità delle scelte politiche e individuali, e il ritorno a un’adeguata integrazione tra artificiale/tecnologia e natura (Carlo Ratti) saranno le grandi sfide che attendono i cittadini e i loro rappresentanti politici. Un recente confronto proprio tra Boeri e Ratti (Festival Green&Blue, Città futura: alla ricerca di una metropoli ecosostenibile,) evidenzia bene le prospettive anche dopo il Covid-19. La necessità di riconsiderare gli spazi costruiti e le relazioni tra città grandi, medie e piccole (fino ai borghi), relazioni che dovrebbero portarci a costituire dei veri e propri “arcipelaghi” (Boeri) per evitare le congestioni tipiche delle città. Arcipelaghi costituiti anche da quartieri dotati di tutti i servizi di base (sanità, formazione, cultura), a distanze percorribili a piedi (400-500 metri) e centri maggiori dotati di servizi primari (università, ospedali, teatri, ecc.) raggiungibili con reti infrastrutturali e servizi pubblici veloci (metropolitane/treni/bus) ed efficaci (programmi già in essere a Barcellona, Parigi e anche a Milano). Città che nella loro dimensione media abbiano una loro vocazione (Ratti) per essere attrattive per le persone che vi risiedono (come lo era Ivrea ai tempi di Adriano Olivetti). Questa prospettiva potrebbe realizzare una “rete di comunità urbane” dove si integrino naturale e artificiale, sostenibilità e intelligenza artificiale con “contratti di reciprocità” tra Comuni e tra quartieri di metropoli per lo scambio di servizi. 

Afferma Maurizio Carta che “Il super-organismo è una nuova multi-città dell’innovazione, della creatività e delle opportunità differenziate che privilegia il recupero dell’esistente e la riduzione del consumo di risorse e di suolo e li rende un’opportunità per la diversificazione delle funzioni. È una città metropolitana realmente policentrica, che redistribuisce i flussi di mobilità in un sistema più equilibrato e diversificato. Una città sensibile al paesaggio e che comprende la natura tra i suoi fattori identitari e che è protesa alla rigenerazione delle aree sottoutilizzate come potenziamento di centralità diversificate capaci di riattivare la rigenerazione sociale e di stimolare la vitalità economica attraverso il ritorno della manifattura urbana, meno fragile alle crisi globali. In maniera complementare, dovremo anche facilitare lo sviluppo degli “arcipelaghi territoriali” come sistemi insediativi che, attingendo alle storie locali che attraversano il palinsesto del tempo e alle apparenti marginalizzazioni (che le hanno protette dalla pandemia), sono oggi in grado di offrirsi come luoghi di vita, di produzione, di educazione, di fruizione culturale alternativi all’aggregazione metropolitana e alle relative congestione e diseguaglianza. Sono sistemi insediativi ancora più policentrici e reticolari – frattali potremmo dire – che superano l’antinomia tra aggregazione e dispersione, caratterizzati da cicli di vita più circolari, capaci di fungere da hub per la connessione alle necessarie reti globali (attraverso le reti tematiche, per esempio) dei piccoli reticoli urbani e rurali locali, altrimenti esclusi dalla connessione diretta alle reti di maggiori dimensioni. L’arcipelago territoriale è un sistema di insediamenti urbano/rurali collegati dalle trame produttive tradizionali e dalle infrastrutture di paesaggio, il cui sistema connettivo è spesso composto dai reticoli ecologici verdi e blu”.

«Un rammendo – sostiene Renzo Piano in un’intervista durante la pandemia (La Lettura, n. 449, 8 luglio 2020, “Europa città aperta”, a cura di Stefano Bucci, pp. 2-5) – tra città e periferie [...] che passa necessariamente dal potenziamento della rete di trasporti, a cominciare da quelli pubblici su rotaia e elettrici. Penso a un sistema capillare con una rete tramviaria di superficie con fermate ogni 150 metri; una metropolitana con fermate ogni 300-400 metri; una metropolitana extraurbana con fermate ogni chilometro; un treno territoriale ad alta velocità con fermate ogni 100-150 chilometri.» Una rigenerazione di tutte quelle parti di città non città, mescolando le funzioni anche con i “luoghi per la gente” (biblioteche, teatri, stazioni, edifici pubblici, ospedali). Su questo ovviamente inciderà l’avvio della riorganizzazione delle aziende e della pubblica amministrazione, nonché delle scuole e delle università, che comporterà una complessiva e impattante ridefinizione dei processi produttivi, in particolare in tutte le attività di servizi, mentre in quelle di logistica e produzione di beni tempi e modalità saranno certamente meno immediati. 

Scontata, in questi scenari, la presenza quali-quantitativa delle tecnologie moderne e delle reti di connessione adeguate (banda larga, 5G, sensori IA, droni, ecc.), senza le quali non potrà trovarsi quella nuova integrazione con la natura e per la sostenibilità integrata, oramai fattore imprescindibile per un futuro possibile. 

Se riportiamo a Roma, per esempio, le prime previsioni sull’effetto smart working, significa che tra il 20% e il 30%, ovvero tra 400.000 e 600.000, potrebbero essere i lavoratori che lavoreranno per la maggior parte del loro tempo a distanza, da casa o da altri luoghi che non siano gli uffici occupati sino ad ora, corrispondenti a una superficie tra i 6 e i 9 milioni di metri quadrati. A questo è da aggiungere l’impatto economico, ma anche, se non soprattutto, sociale, derivante dalla ridistribuzione del commercio con il salto fatto da quello elettronico rispetto a quello di prossimità, con le relative conseguenze sulla logistica urbana di distribuzione delle merci. 

Quindi maggiori spazi non utilizzati da rigenerare (oltre quelli già abbandonati esistenti), maggiori spazi d’incontro, servizi di prossimità, mobilità sostenibile di quartiere (pedonale, ciclabili e bus elettrici) e veloce tra città e quartieri di metropoli (tram, metropolitane, ferrovie metropolitane e regionali) con molto meno, se non più nessun, consumo di suolo agricolo e verde.

Una mobilità locale che deve essere efficace e integrata per essere sostenibile

Le conseguenze di questa tendenza, peraltro già consolidata in molte città europee e comunque in forte accelerazione (vedi la città dei 15 minuti di Parigi o Barcellona) portano urgentemente a ottimizzare perlomeno il patrimonio infrastrutturale esistente specie sul lato ferroviario ancora non sfruttato adeguatamente. Sono cinque in particolare i temi che nella situazione attuale risultano critici per ottenere in tempi relativamente brevi risultati apprezzabili nel campo della mobilità pubblica locale.

  1. Il primo riguarda la sua estensione a livello metropolitano con diramazioni regionali per poter rispondere alla realtà del fenomeno del pendolarismo nella maggioranza delle aree metropolitane.
  2. Il secondo aspetto concerne la necessità che venga svolta una pianificazione integrata dei servizi di trasporto collettivo, frutto della capacità di articolare un ragionamento unitario tra ferrovie urbane e regionali, metropolitane, trasporto su bus extraurbano, trasporto di superficie urbana pubblico e privato e aree di sosta. 
  3. Questo obiettivo – il terzo tema – va accompagnato da una forte politica tariffaria e infrastrutturale tendente a facilitare al massimo l’uso del trasporto pubblico, condizionato da adeguati interventi per facilitare la sosta e l’interscambio modale, nonché di sistemi di trasporto alternativi (bicicletta, car sharing ecc.). 
  4. Inoltre, come quarto punto, può e deve essere programmata anche una rigenerazione, o meglio una generazione, urbana più sostenibile. Studi, infatti, hanno dimostrato come il costo generale di un metro cubo per uffici e attività commerciali possa arrivare a diminuire intorno al 20% per la comunità, se realizzato in prossimità̀ (1 km) di stazioni di metropolitana o ferrovia urbana, grazie alla minore incidenza di inquinamento e di incidentalità̀ dovuta alla diminuzione di traffico su gomma causato dalle persone attratte dalle funzioni (Camera di Commercio di Roma – Asset Camera, La città che vive. Trasformazioni urbane e mobilità sostenibile, a cura di Claudio Cipollini, Retecamere s.c.r.l.).
  5. Il quinto tema, infine, attiene alla fascia di popolazione fragile e anziana, che tende sempre più ad aumentare (oggi gli ultrasessantacinquenni sono il 22,8% della popolazione nazionale, pari a circa 13,8 milioni, e potrebbero arrivare a superare il 30%, pari a circa 16-18 milioni nel 2040), per la quale vivere nelle città è sempre più faticoso, in particolare a causa del sistema della mobilità sia pubblica che privata, la prima inadeguata e faticosa, la seconda stressante e dispendiosa, e a causa dei servizi sociali, sanitari e amministrativi, dislocati in modo irrazionale, nonché per la qualità ambientale, in particolare dell’aria. Tale problema è risolvibile con una massiccia cura di servizi di trasporto pubblico, il più possibile su ferro. 

Un approccio integrato generale e uno specifico per le linee su ferro 

In tutte le città metropolitane, così come nella maggioranza delle città italiane e nelle regioni, esiste da tempo e viene utilizzata ancora parzialmente e settorialmente la rete dei binari realizzata e gestita da Rete Ferroviaria Italiana: Società del gruppo Ferrovie dello Stato Italiane. Tale mancata ottimizzazione deriva anche da motivazioni culturali radicate e storiche, che vedono solo nel trasporto a distanza e nella velocità l’obiettivo e il sogno del mondo ferroviario, il quale, al contrario, nutre una sostanziale diffidenza in tutto quello che “costringe” ad avere un approccio completamente opposto di focalizzazione sul particolare, sul lento e sul sistemico e integrato. 

Oggi, sia a causa dell’impatto derivante dalla pandemia sulle future, e non ancora acclarate, modalità lavorative, le quali comunque incideranno sul mondo dei servizi e del commercio prima ancora che sul mondo industriale della produzione di beni, sia per le aspettative oramai urgenti di raggiungere quanto prima livelli sufficienti di sostenibilità in primis ambientale, ma anche sociale e economica, si presenta l’opportunità di integrare l’approccio alla concezione e gestione dei sistemi di trasporto intermodale a livello locale. Questo obiettivo è raggiungibile approcciando e facilitando politiche di integrazione basate su:

  1. le reti di trasporto su ferro (nella grande maggioranza peraltro già esistenti) come base dell’innervatura territoriale di accessibilità da e per i luoghi di residenza-lavoro-servizi-divertimento, accompagnate dalla
  2. valorizzazione delle stazioni non solo come centri di interscambio modale, ma, meglio, come centri di servizi territoriali (sanitari, pubblici, scolastici, culturali, divertimento, ecc.), in particolare nelle aree periferiche delle città metropolitane (che forse sarebbe più onesto denominare città nuove, in contrapposizione alle città antiche composte dai centri storici oramai ultrasecolari).

Una politica da integrare tra le varie istituzioni deputate, quali Comuni (trasporto locale e urbanistica), Regioni (trasporto locale e la stessa urbanistica) e Ministero delle infrastrutture e mobilità sostenibile per il contratto con il gruppo F.S., nella parte infrastrutturale gestita da RFI, e per i finanziamenti ai sistemi locali di trasporto pubblico locale (TPL).

In particolare a livello intermodale e di servizi (e delle relative infrastrutture necessarie) da mettere a disposizione dei cittadini, questi devono essere focalizzati su politiche sistemiche e integrate che abbiano l’obiettivo, e consentano attraverso finanziamenti mirati, di avere:

a) un intervento integrato e sistemico sulla rete ferroviaria di RFI, e delle eventuali ferrovie concesse, per renderla sistemica e integrata con la rete delle metropolitane e dei bus a livello di area metropolitana, che veda l’attuazione congiunta di:

  1. interventi tecnologici per consentire frequenze di passaggi di treni fino a 3-4 minuti/treno. La conseguenza di questa innovazione tecnologica, in linea con lo European Rail Traffic Management System (ERTMS) – peraltro già programmata da RFI e previsti anche nella bozza di Recovery Plan, anche se parzialmente – consentirebbe di arrivare a triplicare l’offerta di posti-passeggeri; 
  2. nuove stazioni e riqualificazione funzionale delle stazioni/fermate esistenti, sia per adeguarle al maggior flusso passeggeri e all’interscambio modale, consentendo il trasbordo dei passeggeri da treno a treno-metropolitano, con parcheggi per bus e per biciclette e auto (in tale contesto, sono da valutare le potenzialità di collaborazione pubblico-privato per integrare le politiche con le innovazioni in campo privato dell’auto, come ad esempio i prodotti pensati per il collegamento dei nodi intermodali di una città o di una regione – tariffe orarie, giornaliere, settimanali –, dedicati ai cittadini che, non avendo o non volendo un’auto di proprietà, necessitano di uno spostamento tra centro città, nodi ferroviari e aeroportuali con mezzi di tipologia differente), sia per l’insediamento di servizi di zona (quest’ultimo da concordare con i Comuni a livello urbanistico, oltre che trasportistico per i punti precedenti);

b) il rinnovamento, frutto di politiche e accordi integrati tra Comuni-Città metropolitane e Regioni, del materiale rotabile per le linee urbane-metropolitane: da una parte, per consentire, con peso, velocità e sistemi frenanti adeguati, di raggiungere le frequenze massime nelle ore di punta, dall’altra parte, con vagoni a un piano del tipo di quelli della metropolitana (i convogli Vivalto e i futuri Rock previsti da Trenitalia non lo sono né lo saranno), per consentire un adeguato afflusso/deflusso dei passeggeri;

  1. il potenziamento dei parcheggi di interscambio presso le stazioni metro, ferroviarie e bus in particolare nelle aree periferiche (città nuova). In questo, è di particolare valenza la collocazione delle cosiddette “porte” in luoghi appositamente selezionati nel territorio e nelle zone periferiche, per filtrare meglio il traffico in entrata nel cuore delle città consolidate e storiche;
  2. la riconnessione e il potenziamento dei collegamenti infrastrutturali nei quartieri della periferia e nei comuni dell’area metropolitana, insieme alla valorizzazione di modalità slow e sostenibili, per consentire alla popolazione spostamenti rapidi da e per la rete su ferro. 

È da sottolineare come l’efficacia e i benefici di questa proposta risiedano principalmente e fondamentalmente in un approccio integrato e sistemico tra i vari interventi, pena la perdita di effetti consolidati e duraturi.

Alta Mobilità Locale: una misura ad hoc 

Quanto sopra esposto è riconducibile e traducibile in una misura ad hoc a livello di normativa nazionale. In particolare è da prevedere:

  1. la priorità a finanziamenti pubblici nazionali che mirino a integrare le modalità di trasporto, con particolare focalizzazione sull’adeguamento delle reti ferroviarie, previo accordo tra Comuni, Regioni e RFI per l’adeguamento tecnologico e la riqualificazione delle stazioni;
  2. il finanziamento prioritario per l’acquisto di materiale rotabile adatto al trasporto locale veloce a seguito di accordi di cui al punto 1.
  3. il finanziamento specifico per la riqualificazione di stazioni in ottica intermodale per l’ampliamento e la realizzazione di aree di sosta in aree periferiche e territoriali.

Un’apposita assistenza tecnica da parte del MIMS per accompagnare gli enti locali.

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