SOCIETÀ

Chi si oppone alla transizione ecologica? L’inchiesta di Greenpeace e le pressioni sugli scienziati IPCC

Più di 32.000 documenti, contenenti commenti e suggerimenti da parte di Stati, industrie e associazioni: questa la mole di informazioni resa pubblica da un’inchiesta di Unearthed, il gruppo di giornalismo investigativo di Greenpeace UK. Commenti, suggerimenti e velate pressioni indirizzate agli scienziati membri del Working Group III dell’IPCC, l’Intergovernmental Panel on Climate Change delle Nazioni Unite, il quale sta stilando il prossimo Rapporto di Valutazione (il Sesto), che verrà rilasciato a marzo 2022.

Come spiegano i giornalisti che hanno lavorato all’inchiesta, e come riporta anche la BBC, i documenti mostrano una nutrita attività di lobbying da parte di diverse nazioni per stemperare alcune delle affermazioni contenute nel Rapporto, minimizzando così la portata della crisi climatica e l’importanza di prendere seri provvedimenti nel più breve tempo possibile.

Tra le nazioni coinvolte vi sono Australia, Giappone e Arabia Saudita, nonché l’Organizzazione Internazionale degli Esportatori di Petrolio (OPEC), che fanno pressione perché si eliminino i passaggi in cui si sostiene l’urgenza di abbandonare i combustibili fossili. A questi si aggiungono Cina e Norvegia (Paese, quest’ultimo, che vive un forte conflitto di interessi nella transizione energetica) nel chiedere un maggiore sostegno alle tecnologie di Carbon Capture and Storage (CCS), strumenti essenziali per contribuire, soprattutto nel breve periodo, a ridurre il più possibile le emissioni climalteranti, ma la cui implementazione non può certo costituire una giustificazione per il ritardo nella realizzazione dei piani di decarbonizzazione. Le tecnologie di CCS devono dunque essere tenute in debita considerazione, come affermano anche gli autori dell’IPCC, ma non possono in alcun modo sostituire l’impegno ad abbandonare i combustibili fossili – nodo che diverse nazioni non sembrano del tutto disposte ad accettare.

E non mancano le pressioni per quanto riguarda le affermazioni degli scienziati sulla necessità di modificare le abitudini alimentari: il Brasile e l’Argentina, tra i principali produttori di carne rossa – e quindi tra i primi responsabili della deforestazione in un’area chiave come l’Amazzonia – suggeriscono che vengano eliminati i passaggi in cui si sottolinea l’impatto ambientale della carne rossa, e la necessità di adottare diete largamente vegetali per ridurre l’impatto umano sulla biosfera.

Non ultimo, diversi paesi sostengono che siano errate le parti del Report in cui si afferma che sostenere finanziariamente i Paesi a basso reddito sia centrale per la transizione ecologica (particolarmente contraria è la Svizzera), e chiedono che gli scienziati si esprimano favorevolmente rispetto al ricorso alle tecnologie nucleari per la produzione di energia elettrica (in questo caso, sono protagoniste l’India e diverse nazioni dell’Europa orientale).

Insomma, l’inchiesta di Greenpeace non restituisce un’immagine entusiasmante della posizione di molti governi del mondo sulle questioni climatiche. E questo preoccupa soprattutto in vista della prossima COP26, che si aprirà nel Regno Unito il prossimo 31 ottobre 2021, che dovrà essere un momento topico per la definizione delle politiche di mitigazione e adattamento da mettere in atto nei prossimi anni su scala globale.

Come interpretare, dunque, le informazioni rese pubbliche da questa inchiesta? È legittimo questo scambio di pareri tra IPCC e governi? Come funziona il processo di revisione dei Rapporti redatti dal Panel di scienziati? Possiamo fidarci di quel che viene pubblicato?

Intervista ad Antonello Pasini, fisico climatologo CNR e docente università Roma Tre. Servizio di Sofia Belardinelli, montaggio di Elisa Speronello

Antonello Pasini, fisico climatologo del CNR e docente di Fisica del clima all’università Roma Tre, spiega che tutti i documenti IPCC sono frutto di una stringente e approfondita fase di revisione, che coinvolge non solo la comunità scientifica internazionale, ma anche esponenti di governi e altri portatori di interessi. «La prima versione dei documenti tecnici stilati dai Gruppi di Lavoro dell’IPCC è sempre sottoposta a un processo di revisione tra pari, la cui obiettività è garantita: infatti, in mancanza di evidenze scientifiche a sostegno delle proposte di revisione e modifica, queste ultime non vengono nemmeno prese in considerazione. Questo vale anche per ipotetiche attività di lobbying, che, se prive di fondamento scientifico, non hanno alcun effetto sulla versione finale del Report. Leggermente diverso è il processo di stesura del Summary for Policymakers, al quale collaborano anche esponenti dei governi e altri soggetti interessati, i quali hanno – in una certa misura – una maggiore libertà di manovra.

Per di più, come è stato ampiamente dimostrato in passato, i tentativi di pressione da parte di governi e associazioni per non divulgare o modificare le evidenze scientifiche circa questioni di particolare importanza economica sono ben noti, e non si tratta di una novità». Pensiamo alle lobby che, per lungo tempo, hanno pagato scienziati per insabbiare le conoscenze circa gli effetti nocivi del tabacco sulla salute o circa l’impatto dei combustibili fossili sul clima terrestre.

«Tutto questo, però, non intacca l’obiettività di imprese scientifiche come quella dell’IPCC, che – proprio essendo a conoscenza di questo rischio – ha da sempre meccanismi di protezione da questo genere di pressioni», prosegue Pasini.

Guardando proprio al lavoro della comunità scientifica e di molta parte della società civile, possiamo dunque guardare all’imminente COP26 con un certo ottimismo. «Si tratta di un appuntamento importantissimo – afferma Pasini –, poiché è ormai giunto il momento di concretizzare le tante affermazioni di principio che abbiamo ascoltato in questi anni. Nonostante quanto rivelato dall’inchiesta di Greenpeace, sono molti i Paesi che sembrano realmente intenzionati ad impegnarsi per realizzare la transizione. L’Europa, gli Stati Uniti guidati dal presidente Biden, addirittura la Cina stanno prendendo provvedimenti per completare, nei prossimi anni, la transizione energetica verso fonti rinnovabili. È chiaro che, nel corso dei negoziati, emergeranno interessi contrastanti, e spesso sarà difficile arrivare a una mediazione. Tuttavia, qualora un numero crescente di Paesi virasse verso un’economia sostenibile e “verde”, la strada sarebbe tracciata, e anche i più restii al cambiamento dovrebbero prima o poi adeguarsi: è questa la forza (e la debolezza) di un’economia globalizzata, in cui ogni parte è collegata a tutte le altre».

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