SOCIETÀ

Il carburante che non c'è

Adesso che abbiamo riacceso tutti i motori, toccherà spegnerli per risparmiare il carburante? L’impennata dei prezzi dell’energia che sta interessando tutto il mondo e colpendo in particolare l’Europa non è solo un rischio per i bilanci familiari, con l’aumento delle bollette di gas ed elettricità e del prezzo alla pompa di benzina e gasolio. È anche il primo grande choc energetico dell’era verde (come ha titolato l’Economist del 19 ottobre). E si aggiunge allo choc del COVID-19, non concluso nei suoi effetti sanitari ed economici anche se i numeri della pandemia sono adesso un po’ più sotto controllo. Ma mentre i legami tra la crisi energetica e la transizione ecologica sono ampiamente discussi – spesso agitati strumentalmente dalla attivissima lobby fossile -, c’è meno attenzione sui nessi con lo choc pandemico, e soprattutto con il modo in cui stiamo scegliendo di uscirne.

I prezzi sono saliti tutti: quelli del petrolio, con il brent del barile di greggio quasi raddoppiato in un anno; quelli del gas naturale, fonte più “pulita” tra le fossili, con prezzi di quasi sei volte superiori al livello del 2019; quelli del carbone, la fonte più sporca tornata in auge per far fronte alle difficoltà, con la Cina che riapre miniere e ordina a tutte di estrarre a più non posso; e anche quelli dei crediti di carbonio, ossia del prezzo che le società devono pagare per le emissioni di anidride carbonica. L’effetto concreto, per guardare solo al portafoglio degli italiani, è sensibile. Per l’energia elettrica, la famiglia-tipo italiana ha visto aumenti successivi da fine 2020 a oggi, con l’ultimo balzo, il più evidente, nel quarto trimestre del 2021: più 29,8%. Per il gas naturale, nello stesso trimestre l’aumento previsto è del 14,4%. I dati rappresentati nel grafico sottostante sono quelli dell'ultimo rapporto trimestrale 2021, pubblicato a fine settembre, dall'Autorità di regolazione per energia - Arera, reti e ambiente. 

E questi rincari sono al netto delle compensazioni governative, senza le quali gli aumenti dei prezzi sarebbero stati anche maggiori. Anche il pieno di benzina e gasolio ha subito un’impennata, rendendo più costose le recuperate vacanze dell’estate 2021.

Tre motivi diversi dietro l'aumento dei prezzi

Il primo motivo è proprio nel fatto che abbiamo riacceso tutti i motori più o meno simultaneamente, dopo i lockdown dell’anno scorso e della prima parte di quest’anno. Questo ha comportato strozzature nell’offerta: rimettere in moto una macchina complicata e interconnessa globalmente non è così automatico, e in questo gli approvvigionamenti energetici mostrano lo stesso fenomeno che si vede nella carenza di alcuni semilavorati e materie prime, dovute sia all’esaurimento delle scorte che ai colli di bottiglia e alle difficoltà della logistica, nei movimenti internazionali delle merci. In un mercato deregolamentato e aperto su scala mondiale come quello dell’energia, l’eccesso di domanda rispetto all’offerta ha comportato immediatamente un aumento dei prezzi. 

Il secondo motivo è esterno ai mercati, ed è in fattori climatici che, anche in questo caso, hanno aumentato la domanda e ridotto l’offerta: un inverno particolarmente freddo, e le ondate di calore eccezionale nell’estate; e venti deboli in Europa, che hanno ridotto la produzione di energia eolica. Il clima entra quindi nel mercato dell’energia attraverso questo primo impatto; e attraverso un altro canale, ossia l’aumento del prezzo dei “permessi di inquinare” da parte dell’Unione europea (i crediti di carbonio, il sistema di disincentivi con il quale si cerca di rendere più costoso l’uso delle fonti più inquinanti).

C’è poi  - terzo fattore - l’effetto della generale transizione dei Paesi occidentali verso il gas, anche questo collegato ai tentativi di ridurre le emissioni inquinanti; al quale si aggiunge il contestato ruolo della Russia, e del suo colosso Gazprom, che per molti mesi non ha aumentato le forniture per far fronte alla crescente domanda. Il 41 per cento delle forniture del gas europeo viene dalla Russia. Qui le ragioni economiche si intrecciano con quelle geopolitiche: la Russia nega, ma molti analisti e politici sostengono che i rubinetti del gas per l’Europa sono stati manovrati in modo tale da far pressione per il rapido sblocco del completamento del gasdotto North Stream 2, bypassando l’Ucraina e le connesse sanzioni. Pochi giorni fa Putin ha fatto sapere di essere pronto ad aumentare le esportazioni del 10% se i regolatori europei danno l’ok. Anche se sarebbe sbagliato dare tutta la colpa dei nostri guai in bolletta a Putin, il fatto che la Russia abbia preso ad agire come l’Opec, che a sua volta ha tagliato la produzione di greggio per far salire i prezzi e ribadire il suo potere oligopolistico, è un altro elemento dello scenario energetico da non sottovalutare.

Tutti questi fattori si intrecciano e si amplificano a vicenda

La loro interazione fa capire che non si può attribuire il caro-energia a un’unica causa, come fa chi dà la colpa al costo dei permessi di inquinare, alle politiche contro il riscaldamento globale, o alla Russia, o all’Opec. Certo è che non siamo a una riedizione degli choc energetici degli anni ’70, seguiti alla guerra del Kippur e alla rivoluzione khomeinista. Allora, era in gioco “solo” il petrolio e le relazioni economiche e politiche con i petro-Stati. Adesso, i petro-Stati (e i gas-Stati e i carbon-Stati) ci sono ancora, e la necessità di ridurre la dipendenza dai regimi autocratici può essere una ulteriore ragione per tagliare i ponti con il fossile. Ma ci sono anche gli altri aspetti, che rendono questa crisi “differente” dalle altre, come ha spiegato l’analisi di Jason Bordoff su Foreign Policy (tradotta in italiano sul numero di Internazionale del 22 ottobre): “molti dei fattori che contribuiscono allo squilibrio derivano dall’impatto del cambiamento climatico e dagli sforzi per limitarlo passando all’energia pulita”.  Questo non è un motivo per interrompere questi sforzi, ovviamente; ma, conclude Bordoff, bisogna sapere che se la transizione non è gestita con attenzione (per esempio evitando che chiudano gli impianti per i fossili prima che quelli per le fonti alternative siano in grado di sostituirli) la volatilità dei mercati e l’aumento dei prezzi potranno ridurre il consenso alle politiche per il clima, con effetti pericolosi.  

La reazione dell’Unione europea, finora, è stata quella di tamponare l’emergenza. Consentendo agli Stati di mitigare i rincari, usando risorse pubbliche; e cercando strumenti per rendere meno volatili i mercati, come stoccaggio e acquisti comuni. Su tutto pesa l’immane ritardo della transizione alla produzione di energia pulita. Nel presentare l’Outlook annuale dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, il suo direttore Fatih Birol ha denunciato l’insufficienza di quel che è stato fatto finora: “Gli attuali impegni sul clima porterebbero nel 2030 ad appena il 20% della riduzione delle emissioni che sarebbe necessaria per raggiungere il target di zero emissioni al 2050”. Secondo il rapporto dell’Agenzia, gli effetti dell’aumento dei prezzi dei combustibili fossili sulla transizione verso l’energia pulita potrebbero essere diversi e contrastanti: da un lato, “prezzi elevati riducono il divario di competitività con combustibili e tecnologie a basse emissioni di carbonio come le energie rinnovabili o la bioenergia”, incentivano a ridurre sprechi e a investire in nuove forniture; dall’altro, “l'aumento delle bollette energetiche per le famiglie o le industrie potrebbe anche esercitare pressioni sui governi per aumentare i sussidi ai combustibili fossili, ridurre le imposte sull'energia pulita o ridurre i sussidi alle tecnologie a basse emissioni di carbonio. Allo stesso modo, potrebbe renderli più determinati ad andare avanti il più rapidamente possibile, allontanandosi dai combustibili fossili”. 

Grande assente da tutta questa discussione è l’effetto più profondo che la pandemia potrebbe avere (o avrebbe potuto avere) sugli stili di vita e lavoro e dunque sulla stessa domanda di energia per sostenerli. Nella frenesia di tornare a fare le cose come prima, più di prima, ci siamo forse dimenticati alcune lezioni del lockdown: il fatto che molte attività si possono svolgere da remoto, evitando di far uscire l’auto dal garage tutti i giorni o prendere aerei per una riunione di un’ora; che gli stili di vita e di consumo possono cambiare, anche accettando qualche sacrificio di fronte a un’emergenza mortale; che le produzioni non sono tutte “essenziali”. Ma in assenza di misure per redistribuire vantaggi e costi dei nuovi stili, il rischio anche qui è che il peso sia tutto sui consumatori e lavoratori più deboli, e il consenso alla transizione a un nuovo modello sia ancora minore.  

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