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In Salute. Dipendenza da alcol: fondamentale l’identificazione precoce (e la formazione dei medici)

Un bicchiere di vino, uno spritz con gli amici spesso sono sinonimo di convivialità, ma è importante non eccedere per non rischiare conseguenze, anche gravi, sulla salute. “L'alcoldipendenza è una malattia, una sindrome caratterizzata dalla compulsività, dalla ricerca ossessiva della sostanza che provoca la dipendenza, cioè l'alcol, le bevande alcoliche, il vino, la birra, i superalcolici, qualsiasi tipo di bevanda alcolica e di qualsiasi gradazione, la cui sottrazione genera nella persona la sindrome da astinenza”. Così come avviene per qualunque tossicodipendenza. Di alcolismo e patologie correlate, ma anche di terapie e strategie di intervento, abbiamo parlato con Emanuele Scafato, direttore dell’Osservatorio nazionale Alcol dell’Istituto superiore di Sanità.

Consumo di alcol e patologie correlate

Per avere innanzitutto un quadro della situazione, partiamo da alcuni dati riportati nel Global status report on alcohol and health 2018 dell’Organizzazione mondiale della Sanità, da cui si evince che nel 2016 il consumo dannoso di alcol ha causato circa tre milioni di morti (5,3% di tutti i decessi) in tutto il mondo. La mortalità dovuta al consumo di alcol è superiore a quella causata da malattie come la tubercolosi, l'Hiv/Aids e il diabete. Di tutti i decessi attribuibili al consumo di alcol in tutto il mondo, il 28,7% era dovuto a lesioni, il 21,3% a malattie dell'apparato digerente, il 19% a malattie cardiovascolari, il 12,9% a malattie infettive e il 12,6% a tumori. Emanuele Scafato sottolinea che sono oltre 220 le malattie correlate all’abuso di alcol, tra cui molti tipi di cancro, come quello al seno: un nodulo benigno ha un rischio dell’800% di trasformarsi in un tumore al seno con conseguenti mastectomie precoci, in ragazze che consumano alcol in modo eccessivo o si danno al binge drinking. Ma i tumori che possono essere causati dall’abuso di alcol sono molti altri e possono interessare in particolare il tratto gastroesofageo, gastrointestinale, la bocca, il tratto orofaringeo. Uno studio pubblicato su The Lancet Oncology riferisce che nel 2020 su tutti i nuovi tumori diagnosticati nel mondo 741.300 (il 4,1% del totale) erano attribuibili al consumo di alcol.

A livello globale esistono, inoltre, significative differenze di genere nella prevalenza del consumo di alcol: secondo i dati riportati dal citato rapporto dell’Organizzazione mondiale della Sanità, si stima infatti che 237 milioni di uomini e 46 milioni di donne abbiano avuto disturbi da consumo di alcol. La prevalenza maggiore considerando sia gli uomini che le donne si è registrata nella regione europea (14,8% e 3,5%) e nella regione delle Americhe (11,5% e 5,1%). 

Intervista completa ad Emanuele Scafato, direttore dell'Osservatorio nazionale alcol dell'Istituto superiore di Sanità. Servizio di Monica Panetto, montaggio di Elisa Speronello

Effetti dell’alcol nell’organismo: i giovani 

Le Linee guida per una sana alimentazione elaborate dal Crea (Centro di ricerca alimenti e nutrizione) definiscono a “basso rischio” l’assunzione fino a due unità alcoliche al giorno per gli uomini, fino a una unità alcolica per le donne e per le persone con più di 65 anni e di zero unità alcoliche al di sotto dei 18 anni: per unità alcolica si intendono 12 grammi di alcol puro che corrispondono a un bicchiere di vino (125 ml a 12°), a una lattina di birra (330 ml a 4,5°), a un aperitivo (80 ml a 38°), a un bicchierino di superalcolico (40 ml a 40°). In ogni caso, il concetto di fondo è ben espresso dallo slogan less is better, "meno è meglio". “Un accorgimento - sottolinea Scafato - è sempre quello di non consumare quantità che superino l'unità di bevanda alcolica, ormai si va verso questa indicazione, e soprattutto di farlo a stomaco pieno, perché questo dimezza l'alcolemia”. 

Il processo di smaltimento dell’alcol non è uguale in tutte le persone. Quando viene assunto, l’alcol viene assorbito per il 2% dallo stomaco e per l’80% dalla prima parte dell’intestino, passando poi nel sangue e da qui al fegato. Proprio il fegato, attraverso un enzima detto alcol-deidrogenasi, ha il compito di distruggere l’alcol e solo poi la concentrazione nell’organismo ne risulta azzerata. Ebbene, il processo di smaltimento dell’alcol varia a seconda del sesso e dell’età. 

“L'uomo e la donna non sono in grado di metabolizzare l'alcol fino all'età di 18 anni, quindi tutto l'alcol che circola in quel periodo, soprattutto tra i 12 ei 21 anni, quando il cervello matura, fa ancora più danno sia diretto che indiretto”. Scafato spiega che in questa fascia di età l’alcol è una sorta di “killer dei neuroni”, che può portare alla riduzione della memoria nei ragazzi che abbiano abitudini come quella del binge drinking. È stato verificato, attraverso le risonanze magnetiche, che nei ragazzi e nelle ragazze che fanno binge drinking per almeno due mesi le aree della memoria si spengono: una persona può perdere il 10-20% della propria capacità cognitiva, in termini di memoria, ma anche e soprattutto di orientamento visuo-spaziale. E si tratta di un deficit cognitivo che ci si ritrova poi in età adulta. 

Donne e anziani

Negli anziani, dopo i 65 anni, la capacità di metabolizzare l’alcol viene gradualmente meno, mentre nelle donne questa capacità è, a tutte le età, sempre la metà rispetto a quella di un uomo. La costituzione di una donna è più esile rispetto a quella di un uomo, l’organismo femminile ha una massa corporea inferiore e una minor quantità di acqua corporea e, dunque, a parità di bevande alcoliche corrisponde un maggiore livello di alcolemia. Per questa ragione la donna può rischiare di diventare alcolista in un tempo inferiore rispetto all’uomo, con tutte le complicazioni cardiovascolari, epatiche e psichiatriche che ne possono derivare. Senza contare che, se il consumo di alcol avviene durante la gravidanza possono verificarsi gravi conseguenze sul feto. Si parla in questo caso di sindrome feto-alcolica, poiché l’alcol assunto dalla madre può interferire con lo sviluppo fisico e intellettivo del feto, causando malformazioni e ritardo mentale a seconda della quantità assunta.  “E’ una sindrome infelice, anche per il fatto che sia stata la mamma a causare un pregiudizio alla salute di un bambino che non cresce, che ha un deficit cognitivo e che ha un'elevata percentuale di mortalità durante l'infanzia. Per questo durante la gravidanza non si beve. E durante l'allattamento bisogna fare attenzione, aspettare almeno due, tre ore da quando si è consumato magari un bicchiere di bevanda alcolica, perché passa anche attraverso il latte”. 

Per questa ragione, Scafato sottolinea l’importanza di un confronto con il proprio medico: “Bisogna sempre negoziare con il medico la plausibilità del consumo di bevande alcoliche, perché l'alcol non è per tutti. Ci sono molte controindicazioni, come la presenza di malattie o l’assunzione di farmaci anche ‘banali’ come l’antibiotico, gli antinfiammatori o gli antidolorifici”. Ma anche con i medicinali per trattare l’ansia, la depressione, l’insonnia il consumo di alcol è assolutamente sconsigliato. 

Fattori di rischio, alcol e dieta

“I fattori di rischio per l’alcolismo sono tantissimi. Ad esempio è stato visto che in una famiglia dove il capofamiglia non eccede nel bere, tutta la famiglia non eccede, oppure lì dove il capofamiglia è astemio tutti i componenti lo sono”. La familiarità dunque è importante. Scafato sottolinea inoltre che ormai da anni l’alcol è stato escluso dalla dieta mediterranea, non è compreso nella piramide nutrizionale. Le linee guida nutrizionali del Crea specificano che non tutti possono consumare alcol e i Larn (Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia) specificano che l’alcol non è un nutriente, ma una molecola di interesse nutrizionale perché apporta calorie. 

Identificazione precoce e intervento breve: l’importanza di formare i medici

“La dipendenza dall'alcol deve essere trattata - sottolinea Scafato -, ma esiste un problema. C'è una sostanziale incompetenza, in quanto manca la formazione da parte per esempio della medicina di base”. Una lacuna che tuttavia potrebbe essere colmata. “L'identificazione precoce e l'intervento breve (che consiste nella valutazione del medico di medicina generale del consumo di alcol da parte del paziente, nell’informazione sui danni di un consumo problematico e si conclude con un suggerimento preciso rivolto all’assistito, ndr) dovrebbero far parte di un insegnamento universitario che, sulla base della Legge 125 del 2001, può essere introdotto nell'ordinamento universitario, perché è facoltà degli Atenei introdurlo, soprattutto laddove la popolazione è ad alto rischio come nel Veneto, o in altre regioni che sono forti produttori di bevande alcoliche. Dove la cultura è più radicata il problema si vede maggiormente in termini di mortalità, di ospedalizzazioni, di ricorso al pronto soccorso”.  Sono trascorsi 20 anni, sottolinea Scafato, ma non si è mosso nulla in questa direzione. “Chi è alcoldipendente può rivolgersi sicuramente ai servizi che però intercettano solo il 9% di tutti i casi di alcoldipendenza in Italia. Noi calcoliamo invece che nel nostro Paese gli alcoldipendenti siano circa 700.000-1.000.000, ma in carico ce ne sono 67.000: non esiste dunque capacità di attrazione, di identificazione. Non c'è rete”.  

Trattare la dipendenza da alcol, ma soprattutto prevenire

Scafato spiega che la terapia mira al cambiamento della persona, ma anche la famiglia deve essere coinvolta, secondo un modello di tipo ecologico-sociale, bio-psico-sociale. La prevenzione tuttavia rimane fondamentale, per cercare di impedire che nuovi alcoldipendenti possano soffrire della patologia e l’identificazione precoce è essenziale. Esistono strumenti molto semplici che si possono utilizzare, questionari che consentono di stabilire se una persona può avere un rapporto problematico con l’alcol. In questo caso, serve rivolgersi al medico curante che stabilirà una strategia da seguire, specie in considerazione del fatto che in molti casi queste persone già presentano un danno d’organo. “Ci sono circa 650.000 consumatori ‘dannosi’ in Italia che hanno già necessità di trattamento e non lo ricevono, mentre quelli a rischio sono addirittura 8.600.000”. 

Secondo Scafato è di assoluta importanza formare i medici. L'alcol è l'unico fattore di rischio che può esporre immediatamente a un evento fatale. “L'alcol è la prima causa di morte tra i giovani fino ai 29 anni in Italia ed è la prima causa di disabilità e di mortalità prematura. Per questo bisogna intervenire, perché i 18.000 morti da alcol nel nostro Paese e i tre milioni circa nel mondo, possano essere ridotti”. Servono dunque campagne che educhino alla consapevolezza e forniscano nozioni utili per scelte informate. “Parlare con il medico, stabilire con lui se effettivamente è plausibile l'uso dell’alcolico dovrebbe essere l'avvio di una nuova cultura che non è quella di vietare, ma di conoscere per non rischiare”.

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