SOCIETÀ

Piattaforme di streaming video: il 2022 anno della grande fuga?

150 milioni di abbonamenti rescissi nel mondo, tanto da battezzare il 2022 come l'anno del grande abbandono. Questa è la previsione di un report di Deloitte pubblicato lo scorso dicembre che fa il punto sulle tendenze per le piattaforme digitali nei dodici mesi successivi. La causa principale sarebbe da individuare nell’aumento della concorrenza che rende sempre più complicato per gli abbonati sostenere economicamente l’abbonamento a più servizi contemporaneamente. Nel frattempo, la “guerra delle piattaforme” che profila Deloitte non è più circoscritta ai mercati nazionali: i giganti dello streaming ormai pensano in termini di mercato globale.

 

L’aumento dell’offerta e il suo costo

Dal 2013, l’anno del lancio di House of Cards, la prima serie originale, Netflix è cresciuto enormemente in tutto il mondo e sta per superare i 220 milioni di abbonati nel mondo. Lo ha fatto grazie a una produzione di serie nuove e con l’acquisizione di un catalogo sempre più vasto, che potesse accontentare gli interessi di una fetta ampia del pubblico. Ma da allora, il numero di piattaforme di streaming video entrate nel mercato è aumentato. In Italia l’ultima arrivata è Discovery+, che ha debuttato a gennaio dello scorso anno. Poco prima è arrivata Disney+, con il suo catalogo di film d’animazione e tutto (o quasi) l’universo dei supereroi Marvel. E non si possono dimenticare anche Amazon Prime, Apple+ e Now Tv, il servizio streaming di Sky, oltre a una serie di altri provider con cataloghi specializzati, oppure generalisti, che permettono la visione a noleggio di un singolo contenuto.

Il risultato di questa abbondanza è che l’offerta si è frammentata e per chi vuole seguire tutte le ultime novità l’esborso mensile, secondo gli analisti di Deloitte, risulta troppo gravoso. Questo non significa, però, che complessivamente il 2022 vedrà la sparizione di 150 milioni di utenti. Molto più probabilmente gli utenti decideranno di spostarsi da una piattaforma a un’altra a seconda di chi in quel momento offre i contenuti di maggior interesse. “Una parte consistente di persone (almeno nei mercati più evoluti)”, scrive Lelio Simi, autore di del libro #Mediastorm (Hoepli, 2021) e dell’omonima newsletter sul mercato dei media, “sta imparando a saltare da un servizio in abbonamento ad un altro, si iscrive per un mese o due poi annulla e passa a un altro servizio per tornare, magari, dopo qualche mese – è questo uno scenario nuovo che richiede ai servizi di streaming un nuovo modo di pensare le loro strategie”.

Che cosa sta succedendo?

Se il 2020, a causa dei lockdown, è stato uno degli apici del binge watching, il 2021 sembra mostrare una leggera differenza nelle abitudini dei consumatori. Lo scrive, per esempio, Alison Herman, la redattrice esperta di tv di theringer.com, un sito di cultura pop e un network di podcast di proprietà di Spotify. Con una maggiore disponibilità di attività di intrattenimento che si possono fare anche fuori dalla propria abitazione, Herman sottolinea come lo scorso anno alcune piattaforme di video streaming abbiano distribuito alcune delle nuove serie con una modalità che ricorda il passato: una o due puntate la settimana

In una certa misura, questa scelta potrebbe sembrare un tentativo di trattenere più a lungo i propri abbonati. Ma, sostiene Herman, in realtà potrebbe trattarsi della maturazione di un mercato e di una modalità di fruizione dei contenuti che potrebbero dimostrare come i due modelli, quello del binge watching e quello della distribuzione settimanale, potrebbero non essere davvero in competizione. Dopo poco più di un decennio dell'arrivo delle prime piattaforme di streaming, il mercato sta maturando e con esso anche le abitudini degli  utenti.

Un altro aspetto che emerge dall'analisi di Hermann, è la contrazione nel 2021 della posizione dominante di Netflix per quanto riguarda le serie più richieste. I dati di Parrot Analytics, un'azienda di data science che misura e prevede la domanda del pubblico per i contenuti multimediali, riguardano solo gli Stati Uniti, e quindi non è detto che si applichino automaticamente anche ad altri mercati come per esempio quello italiano. Se a questo effetto sommiamo il previsto tasso di abbandono di Deloitte, il 2022 potrebbe essere davvero un anno importante per la definizione delle forze in campo.

 

Una strategia che sta emergendo negli ultimi tempi per cercare di trattenere il maggior numero di abbonati è quello che in inglese si chiama “effetto bundle”, ovvero all'interno dello stesso pacchetto di abbonamento ti offro oltre che il servizio di video streaming anche qualcos'altro, che in alcuni casi può essere quel di più che incentiva a rimanere. Il caso più noto è quello del servizio prime di Amazon, che offre ai propri abbonati, oltre che le spedizioni gratuite dal negozio online, anche anche la piattaforma Prime Video.

 

L’effetto 3x2

Qualcosa di simile è quello che sta facendo anche Apple, almeno secondo gli analisti dell'Economist. Nella puntata del 4 gennaio scorso di The Intelligence, il podcast quotidiano dedicato alle notizie di attualità, Jason Palmer e il media editor del settimanale inglese, Tom Wainwright, Hanno cercato di rispondere alla domanda del perché l'azienda di Cupertino spenda così tanti soldi nella produzione di serie tv originali, quando sembra trattarsi di un business molto lontano dalle loro attività principali. Non solo, sostengono i due giornalisti, ma per un'azienda che ha appena superato per l'ennesima volta il record di capitalizzazione in borsa per un'azienda quotata, i margini di profitto nel settore dello streaming sono talmente risicati che sarebbe lecito pensare si trattasse di un business nel quale Apple non vuole nemmeno entrare. Come sottolinea Wainwright, “I ricavi di un mese di Apple sono pari praticamente a quelli di tutto l'anno di Netflix”. 

Allora perché nel solo 2021 Apple ha investito in produzioni televisive 9 miliardi di dollari, una cifra non troppo lontana dai 14 miliardi investiti da Netflix? A quanto emerge dalla puntata di The Intelligence del 4 gennaio scorso, sarebbe proprio l'effetto bundle, una specie di 3x2, il succo della questione. La maggior parte del successo economico di Apple arriva dalla vendita degli iPhone: e questo è il settore nel quale ha una posizione leader nel mercato e margini di guadagno consistenti. Allo stesso tempo però Apple vuole mostrare ai propri acquirenti che cosa fare di quegli strumenti che hanno acquistato, per esempio guardare i contenuti video. 

Un altro motivo per spendere così tanto in televisione per Apple, sempre secondo Wainwright, sarebbe il dare lustro al proprio marchio. Si spiega così il recente investimento in programmi televisivi anche di grande successo, come per esempio Ted Lasso, una serie che ha vinto anche alcuni premi alla recente edizione degli Emmy Awards. 

Cambiamenti di abitudine degli utenti, offerta più grande che mai, giganti della tecnologia che hanno investito nella produzione di contenuti: tutti elementi che concorrono a mostrare un panorama che sta muovendosi in fretta e talvolta non è così facilmente leggibile. Per sapere se il 2022 sarà davvero l’anno della guerra delle piattaforme, nel mondo e in Italia, e quanti saranno gli abbonamenti davvero cancellati non resta che aspettare.

 

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