CULTURA

L’università delle donne. Il mestiere di scienziata, riconosciuto (solo) da metà Novecento

“Se la storia della presenza delle scienziate nelle università è tutta in salita e a lungo contrassegnata da numeri esigui, è però importante sottolineare che fuori dalle mura universitarie e dalle carriere e professioni più ufficiali le donne in scienza ci sono sempre state. Se guardiamo alle scienze naturali, per esempio, troviamo numerose figure di illustratrici, raccoglitrici, collezioniste, catalogatrici, preparatrici, corrispondenti di savants, animatrici di salotti, dilettanti curiose, educatrici, viaggiatrici, traduttrici, divulgatrici, lettrici e correttrici di bozze. Nel tempo, le donne hanno contribuito in vari modi all’impresa scientifica, spesso al fianco di mariti, padri, fratelli, animando spazi di scienza meno ufficiali, ma non per questo meno importanti”. A sottolinearlo, nel volume L’università delle donne che presta il nome all’omonima serie de Il Bo Live, è Elena Canadelli, professoressa di storia della scienza e della tecnica all’università di Padova e presidente della Società italiana di storia della scienza.

Queste donne, osserva la docente, portano nomi in gran parte dimenticati, sono figure poco note in una narrazione storiografica che per lungo tempo ha guardato in modo esclusivo alle grandi teorie e ai grandi personaggi, in larga parte uomini che – soli – potevano accedere alle università, alle società scientifiche e accademiche. Le donne nei secoli non hanno avuto ruoli di primo piano, sono state per lo più presenze anonime, che hanno saputo tuttavia contribuire all’impresa scientifica: solo cercando queste figure sullo sfondo e riconoscendo questo contributo, secondo Canadelli, si potrà guardare in modo nuovo e diverso alla scienza e alla sua storia.  

A partire dalla seconda metà dell’Ottocento le donne iniziano a entrare, non senza difficoltà, nelle università e nelle facoltà scientifiche, come studentesse prima e docenti poi, ma si dovrà attendere la seconda metà del Novecento perché vengano loro riconosciuti ruoli ufficiali di docenza e direzione.

Guarda l'intervento completo della storica della scienza Elena Canadelli. Servizio di Monica Panetto, montaggio di Barbara Paknazar

Tra il 1860 e il 1915 le donne impiegate nelle università, nelle facoltà di scienze matematiche, fisiche e naturali in particolare, sono in tutto 45, con una presenza più significativa a Torino, Roma e Pavia. Lavorano come tecniche e aiuto-tecniche, come assistenti o collaboratrici di docenti uomini, in molti casi nei gabinetti zoologici, negli osservatori astronomici o negli orti botanici, con ruoli precari e spesso volontari. Si tratta di una sorta di sottoproletariato universitario. Poche fanno eccezione e riescono a ottenere ruoli di docenza, tra queste la chimica Maria Bakunin, all’università di Napoli, Maria Montessori naturalista, medico e pedagogista all’università di Roma, e Rina Monti che nel 1910 viene nominata docente ordinaria di zoologia all’università di Sassari. Su questo sfondo, tra XIX e XX secolo, non mancano professori che promuovono le loro allieve favorendone le ricerche, coinvolgendole in iniziative culturali ed editoriali, o impiegandole come collaboratrici. Tra questi, i matematici Vito Volterra e Giuseppe Peano, il medico e zoologo Giovanni Battista Grassi, il fisico Pietro Blaserna e il medico Ercole Giacomini.

Durante gli anni del fascismo, il ruolo delle scienziate all’interno delle università non cambia rispetto al periodo precedente: le donne continuano a essere impiegate come assistenti volontarie o incaricate, addette alle esercitazioni, ottengono al massimo libere docenze per lo più in corsi complementari. La situazione evolve, molto lentamente, solo nella seconda metà del XX secolo quando zoologhe, geologhe, chimiche, fisiche, matematiche ottengono posizioni più stabili negli atenei italiani, sebbene il loro numero rimanga ancora esiguo e in molte finiscano per abbandonare l’ambiente universitario. Negli anni Sessanta e Settanta, sono ancora pochissime quelle che riescono a raggiungere l’ordinariato, i vertici della carriera, e soprattutto ciò avviene dopo anni di collaborazioni e frequenti cambi di sede.

Alcune riescono ad affermarsi, nonostante gli ostacoli e il sentire comune che le vorrebbe esclusive custodi del focolare domestico. Eleonora Francini Corti, per citare un esempio, viene chiamata a ricoprire la cattedra di botanica all’università di Firenze nel 1961, dopo essere stata preside della facoltà di scienze all’università di Bari dal 1956 al 1961; Albina Messeri, sua collaboratrice, dopo vari cambi di sede, approda a Padova dove ottiene una cattedra di fisiologia vegetale nel 1964 e la nomina a prefetto dell’Orto botanico, prima donna in 425 anni di storia dell’istituzione. Come non ricordare poi Massimilla Baldo Ceolin, la prima donna a ottenere una cattedra nell’ateneo padovano nel 1963, in fisica, incaricata di dirigere anche la sezione padovana dell’Istituto nazionale di fisica nucleare tra il 1965 e il 1968 e l’Istituto di fisica dal 1973 al 1978. In questi stessi anni, nel 1974-75, la micropaleontologa Franca Decima Proto assume la direzione del dipartimento di Geologia.

Nella seconda metà del Novecento, tra le scienziate non manca chi inizia la propria attività all’interno dell’università, ma continua il percorso professionale in altri tipi di istituzioni. È il caso della fisica Daria Bocciarelli che, dopo un periodo trascorso all’università di Firenze, prosegue la propria carriera all’Istituto superiore di Sanità, e della chimica Filomena Nitti che invece lavora alcuni anni all’Istituto superiore di Sanità per passare poi al Consiglio nazionale delle ricerche.

Rispetto al secolo scorso, la situazione oggi non è ancora del tutto cambiata. “L’ultimo Bilancio di genere dell’Ateneo (di Padova, ndr) relativo al 2019 – conclude Canadelli – mostra che il fenomeno della cosiddetta segregazione verticale è ancora presente nella carriera delle donne, scienziate e non solo. Poche, rispetto ai colleghi maschi, riescono infatti a raggiungere i vertici della carriera accademica. Come in passato, pesa la mancanza di riconoscimento nei confronti delle donne”. Eppure, le donne nella scienza (e non solo) ci sono sempre state.

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