CULTURA

Il giallo e il noir sono solo intrattenimento? Alle origini delle polemiche sul genere

I generi letterari, questi sconosciuti. In linea di massima lettori e non lettori sanno cosa differenzia un romanzo da una poesia o da un saggio e, fra i romanzi, cosa accomuna romanzi rosa, di fantascienza, gialli, di formazione, storici, d’avventura, fantasy, d’umorismo, horror erotico noir. O, almeno, quelli del genere che leggono loro e di cui sentono parlare. Qualche volta prendono il libro in mano proprio perché sono interessati al genere presunto; altre volte non lo prendono per l’opposta ragione. Qualche volta abbinano un autore sempre e solo a quel genere; altre volte cercano o sperimentano volentieri nuovi autori ma sempre e solo di quel genere. Qualche volta non leggono mai o smettono perché probabilmente non hanno trovato il proprio genere; altre volte seguono un proprio percorso di fiction (più o meno consigliato o motivato) a prescindere da ogni genere. Lasciamo stare le teorie generali, di carattere psicologico o sociologico (pure importanti), su quantità e qualità della lettura in Italia, in relazione alla geografia e alla storia della letteratura, in italiano o tradotta. Prendiamo il caso di un genere e proviamo a dare spunti per una discussione. Partiamo dalla riflessione di uno dei più importanti intellettuali italiani del Novecento: Leonardo Sciascia, Breve storia del romanzo poliziesco, (con un’introduzione di Eleonora Carta), Graphe Perugia 2022, pag. 43 euro 6,50. In fondo utile la cronologia della vita di Sciascia e l’indice dei nomi di persona e dei titoli citati.

Secondo Sciascia “la principale ragione per cui un pubblico vastissimo, in ogni parte del mondo, legge (sarebbe dir meglio consuma) romanzi polizieschi (“gialli” in Italia, “neri” in Francia: dal colore della copertina che gli editori Mondadori e Gallimard hanno scelto nel momento in cui il poliziesco diventava un genere a sé) …” potrebbe essere individuata in una riflessione di Alain rintracciabile nel Sistema delle arti (Alain era lo pseudonimo del filosofo e giornalista francese Émile-Auguste Chartier, 1858-1951), oppure attraverso spunti di Marx e Freud, sintetizzabili in breve. “Nei romanzi del genere sono impiegati senza precauzione - senza la precauzione, cioè, che è dell’arte – dei mezzi che con notevole approssimazione si possono definire di terrore: e l’effetto è fuga di pensieri, meditazione senza distacco. La lettura di un poliziesco è, nel senso più proprio della parola, passatempo: il tempo non più portatore di pensiero o di pensieri, non più scandito da condizioni e condizionamenti, è come sommerso in una fluida e opaca corrente emotiva …”.

Questo è l’incipit del ragionamento espresso da Sciascia sul settimanale Epoca del 20 settembre 1975, proseguito nel numero successivo e ripubblicato come saggio di una raccolta di scritti del 1998 (se ne possono rintracciare un paio di versioni quasi identiche). Con tale premessa, Sciascia individua già all’interno della Bibbia il primo racconto poliziesco, ingredienti identici a quelli a lui contemporanei, per un genere le cui origini più vicine e precise possono essere poi tecnicamente distinte a partire da Edgar Poe. Il romanzo poliziesco o giallo o nero sarebbe solo intrattenimento, letteratura con un unico scopo e lo scrittore che vi si adatta per compiacere il lettore (e vendere), che fa ragionare poco o niente. Non era la prima volta che si scriveva qualcosa di analogo e, forse grazie anche all’acume e all’autorevolezza di Sciascia, la traccia di ragionamento è stata poi ribadita da decine di autori, recensori e studiosi in centinaia di pezzi, più o meno giornalistici, solo aggiornando i termini.

Nel 2021 sono stati numerosi i volumi, le mostre e gli eventi che sono stati dedicati a Sciascia in tutt’Italia per il centenario della nascita. Fra di essi possiamo considerare anche questa riedizione del breve significativo testo giornalistico di storia della letteratura di un genere. Lo schema di ragionamento era un buon cliché già cinquant’anni fa, pur argomentato in modo colto e sincero: il poliziesco come genere minore di puro intrattenimento. Valeva e vale spesso come premessa alla disanima personale di cosa sia alta letteratura di pensiero, nel caso (non solo) di Sciascia come esperienza di scardinamento del genere (proprio di quel genere!) e testimonianza di un “altro” modo di scrivere polizieschi. In realtà, la dialettica risale indietro (più o meno ai tempi della Bibbia) e merita di essere rivalutata a partire dall’intellettuale siciliano, come opportunamente fa Eleonora Carta nell’introduzione, nella quale l’autrice sottolinea come comunque Sciascia “celebra” il genere e, in qualche modo, “riabilita” la propria conseguente passione, forse anche per codificare regole che i propri gialli cercarono di sovvertire, scomporre, rovesciare.

Il siciliano europeo Leonardo Sciascia (Racalmuto, 8 gennaio 1921 - Palermo, 20 novembre 1989) era un esperto: fu presto appassionato anche di letteratura di lingua angloamericana, avido lettore degli scrittori popolari e, tra essi, sia dei grandi del cosiddetto giallo classico di fine Ottocento e primi Novecento che degli autori della nuova scuola hard-boiled, a partire dal capostipite Dashiell Hammett, da cui poi il genere sarebbe divenuto anche noir per la carica di denuncia e di prefigurazione (propria anche di molti romanzi di Sciascia). L’autore è una lettura imprescindibile soprattutto per chi ama scrivere: si gode, si pensa e s’introietta pure uno stile chiaro e limpido; s’impara molto anche sui generi letterari. Ciò non significa che avesse ragione quando espresse opinioni sul genere giallo o poliziesco o nero; lo schema di ragionamento è fuorviante, si leggono per intrattenimento tanti romanzi alti o di altro genere o di nessun genere, dipende; la grande letteratura va criticamente socialmente riconosciuta a prescindere dai generi.

Nella sua “storia” Sciascia tratta Poe, Conan Doyle, Van Dine, Freeman, Agatha Christie, Hammett, Chandler, cita brevemente altri esemplari colleghi e ricorda, a contrasto, solo Greene, Bernanos, Gadda (e Borges) fra “i grandi scrittori” a lui recenti, “che, per divertimento o congenialità, hanno scritto dei gialli”. Qui casca l’asino: Sciascia riconosce che grandi scrittori possono aver scritto gialli e “grandi” gialli possono essere stati scritti da altri scrittori. Aldilà dei gusti personali e delle passioni contingenti, le classifiche non si fanno per “genere” letterario, tuttalpiù si possono fare storie (anche sociali) e geografie (non solo italiane) di un genere, sempre sottolineandone le specificità all’interno della complessiva produzione letteraria di un modo di produzione e di un paese. Per il genere poliziesco Sciascia e quasi tutti iniziano da Poe. Va bene. Tuttavia, Edgar Allan Poe (Boston, 19 gennaio 1809 - Baltimora, 7 ottobre 1849 realizzò opere decisive in molti campi oltre al poliziesco: horror, mistero, terrore, umorismo.

L’autore statunitense fu poeta, critico letterario, giornalista, editore e saggista, è considerato uno dei fondatori di vari influenti generi letterari, un influencer delle epoche successive, anche per aver dovuto lottare per buona parte della vita con problemi finanziari, abuso di alcolici e sostanze stupefacenti e con una certa incomprensione del pubblico e della critica dell'epoca sua. Forse fu semplicemente un grande scrittore, scriveva per mantenersi (e la sua vita fu breve), come altri grandi nella loro esistenza o in singoli momenti. Ebbe certo grande intelligenza e fantasia, usò espedienti storici, immaginazione geografica e tecnologie emergenti per stupirci e intrattenerci (e vendere). Riuscendovi, almeno come giudizio postumo, visto che è ancor oggi una piacevole lettura culturale. Imperdibile, prima o poi.

Poe viene tradotto per la prima volta in Italia nel 1857, una certa notorietà era stata già acquisita negli ambienti letterari americani, inglesi e francesi, a Parigi era stato tradotto da Baudelaire. La novità del racconto d’investigazione si aggiunge al successo del feuilleton francese e alla moda dei “misteri”. Il “giallo” è un genere di narrativa che non ha una data di nascita e un unico padre fondatore. Nasce verso la metà dell’Ottocento, diviene presto popolare in tutta quella vasta quota di mondo allora di influenza europea e anglo-americana, non è universale visto che si chiama così solo in Italia e non fa capire bene cosa sia un genere letterario, lungo il cammino ha via via contaminato molti altri mezzi espressivi.

Poe prefigurò pure il rapporto fra arte letteraria e scienze “esatte”, una letteratura poliziesca con forte rigore logico e matematico, discutibile successo personale, enorme seguito non sempre logico, né matematico. L’indagine come prova di un teorema o come equazione (equa): Jacques, sir Arthur, S.S., Gilbert, Agatha (non tradisce), Rex (non l’accompagnatore del poliziotto cieco), Ellery, Dorothy, Erle Stanley, Jorge Luis e molti altri classici autori amici hanno utilizzato formule e personaggi, trame e lezioni appartenenti alle scienze e alle imperfezioni matematiche. E, poi, anche e molto Asimov. Più recentemente John Rhode, Nicholas Meyer, Colin Bruce, Raymond Smullyan, Arturo Pérez Reverte, Guillermo Martinez, Catherine Shaw: confrontarsi con geometria, crittoanalisi, astronomia, robotica, scacchi e bridge più che con storia e geografia della letteratura gialla. Furono matematici assassini ed investigatori, la scienza si mostrò al servizio dell’intrattenimento di entrambi, gli scrittori quasi mai erano davvero “ferrati”.

Poe ha comunque inaugurato il genere letterario dell’investigazione “scientifica”, molti sani punti interrogativi vengono subito dopo. Se certo fu uno dei progenitori, c’erano stati precursori (talora inconsapevoli) e ci furono subito epigoni. Il cosiddetto giallo classico ebbe grande impatto fra i lettori, una propria dinamica di grandi scrittori e meno grandi, di capolavori e opere meno importanti, per taluni anche di puro intrattenimento (come tanta altra letteratura di quei decenni). Fu, comunque, un periodo storicamente determinato, contrassegnato da un ruolo dell’economia capitalistica, della rivoluzione scientifica, del dominio coloniale, dell’inurbamento e dei grandi viaggi (anche di massa). Quel modo di scrivere fiction è continuato anche dopo la grande crisi del 1929, ma certo il decennio fra gli anni Venti e gli anni Trenta diversificò scritture e letture del genere. Dopo Poe, Sciascia cita altri autori, il primo è Conan Doyle.

Conan Doyle e Holmes non hanno bisogno di presentazioni, né di apparati documentari. Il medico e scrittore scozzese Arthur Conan Doyle (Edimburgo, 22 maggio 1859 - Crowborough, 7 luglio 1930) visse 71 anni, secondo di dieci figli, genitori di origine irlandese. Sherlock Holmes debuttò nel 1887 e non è mai morto, nemmeno Arthur poté ucciderlo, dopo Londra riapparve in una fattoria vicino Eastbourne, innumerevoli epigoni lo fanno spesso risorgere, il cinema lo ha riscoperto, non possiamo proprio liberarcene. Sherlock vive a Londra, magro e alto (un metro e ottanta e allora c’erano altre medie), occhi penetranti, naso affilato, grafologo e violinista, abile nel pugilato e nella scherma, acuto osservatore di particolari, eccentrico misogino cocainomane notturno, immodesto deduttore abduttore. Il primo romanzo dell’epopea risale al 1887, l’ultima raccolta di racconti al 1927, in tutto 4 romanzi (Uno studio in rosso, Il segno dei quattro, Il mastino dei Baskerville, La valle della paura) e una cinquantina di racconti, poi altri 2 brevissimi di dialoghi, uno incompiuto e 3 commedie teatrali.

Sherlock Holmes è forse il più grande investigatore di ogni epoca: una figura inimitabile che resiste all’usura del tempo, fonte di permanente ispirazione creativa; una leggenda che continua, periodicamente rivisitata dal cinema e dalla letteratura, anche con apocrifi (da oltre vent’anni sono scaduti i diritti d’autore sul personaggio). Lo spazio temporale delle avventure del mitico investigatore è collocabile presumibilmente tra il 1881 e il 1914, lo schema è costante: la sua missione è svelare ciò che è nascosto, un compito in cui il lettore è coinvolto. La narrazione è infatti in prima persona (un “lettore” degli eventi), opera dell’amico coinquilino in Baker Street, John H. Watson, medico come l’autore che li ha inventati prima di diventare scrittore a tempo pieno.

Un modello letterario di protagonista onesto e integerrimo, competente ed efficiente, con propri inevitabili tic, vizi, ombre, citato con maggiore o minore spirito critico da ogni appassionato e studioso del genere, quello detto “giallo” in Italia, una letteratura popolare di crimini e indagini, metafora della condizione umana, instancabilmente alla ricerca della verità (visto che la vita stessa è un enigma, una risposta che attende una domanda) e cosciente dei fatti storici: dall’Inghilterra (vittoriana) all’antropologia criminale, dal Sudafrica (di allora) alla massoneria e alle divisioni tra cattolici e calvinisti (e agnostici come Conan Doyle divenne dopo studi scientifici). Sciascia cita poi altri e innumerevoli andrebbero storicamente ricordati, vi sono di continuo “riscoperte” e sotogeneri nel giallo classico. Agata Christieavrebbe bisogno di un capitolo assestante, intanto, per cortesia, leggetela e rileggetela: certo un canone cristallizzato, certo comunità ristrette e datate, certi meccanismi che ora possiamo trovare scontati e ripetitivi, però, accidenti, si è inventato di tutto per praticare alla grande quel tipo di storie con delitto, ancor oggi vi aiuta a capire di che giallo avete più bisogno.

La scrittura non è scienza esatta, dipende dall’incipit che aggancia, da struttura stile trama ritmo che reinterpretano e ristrutturano la realtà: evocare e non enunciare, suggerire senza declamare, non sentenziare, accennare a sentimenti rifuggendo il sentimentalismo, muoversi nelle terre di nessuno fra i generi. Così Sciascia cita poi due altri grandi scrittori, che sono però quasi di un altro genere: il cosiddetto hard-boiled, una svolta di quasi un secolo fa, da cui deriverà il noircinematografico e poi il noir letterario, fino all’attuale successo senza fine. Il genere classico dopo Poe era divenuto spesso una gabbia, ogni vero grande scrittore successivo a Conan Doyle non si è limitato a regole e convenzioni. Il vitigno hard-boiled è autoctono americano, la vinificazione noir essenzialmente francese. I progenitori di hard-boiled e poi noir sono gli ottocenteschi letteratura d’appendice e dime novel (Daly, Whitfield, Nebel, Sims, Tracy, Burnett, Latimer), i capostipiti sono Hammett e Chandler (prima o poi bisognerà parlarne approfonditamente) e poi tanti altri, molti anche dopo la fine del periodo d’oro. I romanzi noir hanno risentito della definizione francese della cinematografia americana in un intescambio geografico, storico, multimediale.

Da quasi un secolo non c’è più un solo genere, il giallo classico diventa un sottogenere: letteratura noir, policier, polar, mystery, Kriminal, hard-boiled, gialla, negra, thriller, con alterne ma crescenti produzione e diffusione, successo un po’ ovunque nel mondo. E innumerevoli ricostruzioni critiche, definizioni linguistiche e nazionali, articolazioni tecniche e comparate, attenzione alle scrittrici (tante e bravissime). A un certo punto, per il tramite della critica francese alla storia del cinema americano, a cavallo della guerra poco prima della metà del Novecento apparve il termine “Noir” come genere o sottogenere assestante. In Italia l’utilizzo è divenuto via via talmente pervasivo che ha finito per sostituire il nostro tradizionale e intraducibile “Giallo”. Ancora oggi tutto è noir e nulla più è proprio un giallo. Emerge come davvero il Noir sia innanzitutto stile, movimento, sensibilità, atmosfera di disagi e incompiutezze. Come la vita.

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