CULTURA

Cinema: "Siccità" di Virzì, una storia di apocalissi quotidiane

Giovedì 29 settembre esce al cinema Siccità di Paolo Virzì, un film che ha debuttato ai primi del mese fuori concorso alla Mostra d’arte internazionale del Cinema di Venezia e che ha vinto la goccia speciale del Green Drop Award 2022, il premio collaterale dedicato all'ecologia, "per la rappresentazione, drammatica e concreta, di un futuro che confina col presente, descrivendo un'aridità ambientale che finisce per rendere altrettanto aride le coscienze di alcuni dei protagonisti, lasciando tuttavia germogliare il seme della speranza".

Premio a parte, è un film destinato a far discutere, non solo per la tematica, ma anche per le reazioni di pubblico e critica: da una parte c'è chi è rimasto entusiasta, dall'altra ci sono i detrattori che lo considerano poco più di una commediola in salsa green. Cosa potrebbe aver causato questa discrepanza di opinioni?
C'è da dire che Virzì è sempre stato un regista borderline, in bilico tra commedia pura (Notti magiche, per esempio), commedia amara (Caterina va in città) e dramma (Il capitale umano), quindi un film che esplora tematiche serie utilizzando il registro della commedia non è così distante da ciò a cui ci aveva abituato.

La trama, di per sé, non si discosta da altri film corali, con i classici meccanismi che alla lunga risultano un po' prevedibili (soprattutto quando si scopre che i singoli personaggi sono legati tra di loro, chi l'avrebbe mai detto!): Antonio (Silvio Orlando) è in carcere da anni, e non vuole uscire, se non per rivedere la figlia che forse non lo ha mai perdonato per quello che ha fatto; Alfredo (Tommaso Ragno), ex attore, colleziona like sui social con banalità populiste, mentre la moglie Mila (Elena Lietti), che lo mantiene, si consola come può con un amante; Loris (Valerio Mastandrea), ex politico, si guadagna da vivere portando le persone in macchina in giro per Roma, e convive con i fantasmi di altri politici morti; Sara (Claudia Pandolfi), dottoressa al pronto soccorso, deve fare i conti con una nuova malattia e con i conseguenti turni massacranti, mentre il marito Luca (Vinicio Marchionni) si vede con un'altra. Giulia (Sara Serraiocco), infermiera nello stesso ospedale di Sara, sta per avere un figlio ma continua ad andare a lavorare, forse perché l'alternativa è stare a casa con un uomo irrisolto.

Fino a qui Francesca Archibugi, Francesco Piccolo e Paolo Giordano, che hanno scritto la sceneggiatura insieme a Virzì, non hanno prodotto nulla di particolarmente memorabile, ma poi hanno calato i personaggi in una situazione precisa: questa storia si svolge quando a Roma non piove da tre anni. E qui bisogna fare una menzione d'onore alla fotografia molto efficace di Luca Bigazzi, che ci ha messo del suo per far calare lo spettatore in un'atmosfera claustrofobica, con un filtro giallo quasi seppia che fa apprezzare ancora di più le inquadrature di un Tevere in secca, con un Papa che prega per la pioggia in un'atmosfera solenne che ci ricorda tanto quel marzo 2020, e quel capolavoro di regia che è stata la preghiera di Papa Francesco in una piovosa Piazza San Pietro quasi completamente vuota. In effetti Siccità si ispira al nostro passato recente (non a caso è stato scritto durante il lockdown) per mostrarci quello che potrebbe succederci in futuro.

Il film mette in scena le nostre peggiori paure: il caldo, gli insetti, le nuove epidemie e quella solitudine in cui molti cadono quando l'imperativo categorico è salvare sé stessi, anche rischiando di lasciare indietro i più deboli. Il fatto che tutto questo sia legato a una serie di storie piuttosto banali non svilisce, ma semmai rafforza, il prodotto finale: questa commistione tra quotidiano ed eccezionale (perché per fortuna nel 2022 lo percepiamo ancora come eccezionale) è l'elemento che rende Siccità un film disturbante e interessante: le persone continuano a vivere la loro vita anche se manca l'acqua, non sono cambiate, non sembrano veramente credere che la situazione possa migliorare e, salvo poche eccezioni, si limitano a cercare di salvare il salvabile. Come fa tra l'altro la politica, che anche nel film si limita a mettere toppe all'emergenza, senza ipotizzare neppure lontanamente delle soluzioni a lungo termine. Un quadro impietoso, ma non inverosimile di quello che potrebbe essere il nostro futuro non troppo distante, anche se tutto viene mitigato da un catartico e piovoso lieto fine che non convince del tutto.

Siccità va a pescare a piene mani dai film post apocalittici, ma lo fa senza quella patina epica che potrebbe allontanare lo spettatore. "Questo è il nostro futuro" sembra dire Virzì "anche se lo abbiamo raccontato con gli schemi della commedia italiana". Si può non apprezzare questo film, ci mancherebbe, ma bisogna ammettere che è il primo che cerca di rappresentare la crisi ecologica come un fenomeno quotidiano, al di là delle rappresentazioni distopiche a cui ci aveva abituato il cinema americano.

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