SCIENZA E RICERCA

Da un diamante super profondo nuove informazioni sul mantello terrestre

Veri e propri scrigni geologici capaci di incapsulare frammenti di Terra profonda e riportarli in superficie in tempi estremamente veloci, i diamanti sono preziosissimi in gioielleria ma lo sono ancora di più per gli scienziati che cercano informazioni di carattere mineralogico e geochimico sull’interno del nostro pianeta, a profondità altrimenti inaccessibili.

Grazie alla loro straordinaria resistenza non si alterano chimicamente nemmeno quando percorrono centinaia di chilometri in poche ore trasportati verso l'alto dai magmi e sono gli unici materiali terrestri capaci di rivelare cosa c'è e cosa accade nelle regioni più irraggiungibili del nostro pianeta. Custodendo pezzi del mantello sotto forma di inclusioni, cioè minerali intrappolati al loro interno, i diamanti consentono così di validare i risultati che arrivano dagli esperimenti di laboratorio, quando i ricercatori producono minerali sintetici in condizioni di alta temperatura e pressione per simulare gli stati caratteristici dei livelli più profondi del pianeta.

Queste imperfezioni diminuiscono il valore di mercato di una pietra preziosa ma non hanno prezzo sotto il profilo della capacità di rivelare i segreti della Terra, ancor di più quando sono custodite nei diamanti super profondi, quelli estremamente rari che si formano ad almeno 300 chilometri all’interno del mantello terrestre. Per avere un termine di paragone sulla straordinarietà di questi campioni basta ricordare che le trivellazioni più profonde riescono a scendere all'interno della superficie terrestre per poco più di una decina di chilometri. 

Il filone di ricerca che si sta dedicando allo studio dei diamanti super profondi vede il dipartimento di Geoscienze dell'università di Padova tra i principali protagonisti a livello internazionale e nell'ultimo decennio ha portato a molte importanti scoperte sulla composizione chimica e mineralogica dell'interno della Terra.

Il traguardo più recente è uno studio, da poco pubblicato su Nature, frutto del lavoro di un team guidato dal professor Fabrizio Nestola, ordinario di Mineralogia al dipartimento di Geoscienze dell'università di Padova e tra i massimi esperti mondiali in materia, con il contributo del professor Luca Bindi del dipartimento di Scienze della Terra dell’università di Firenze e di altri scienziati di atenei internazionali (l'università canadese di Alberta, la Northwestern University negli Stati Uniti, l'università scozzese di Glasgow e quella di Bayreuth in Germania).

I risultati dell'articolo, intitolato Extreme redox variations in a superdeep diamond from a subducted slab, sono frutto delle analisi su un diamante proveniente da Kankan, un comune della Guinea, al cui interno sono presenti particolari inclusioni che testimoniano una sequenza complessa di reazioni chimiche che avvengono quando una placca scorre al di sotto di un’altra e può sprofondare verso l’interno del mantello terrestre. Gli scienziati hanno trovato non solo la conferma che a profondità di circa 660 km - al confine tra la zona di transizione e il mantello inferiore, una parte cruciale dell'interno del nostro pianeta - ci sono abbondanti quantità di acqua (come rivelato per la prima volta nel 2014 da un precedente studio) ma hanno anche scoperto la presenza di altri fluidi, come metano (CH4) e idrogeno molecolare (H2). A tutto ciò si aggiunge il riscontro, sempre a queste profondità, di settori costituiti da ferro metallico, ritenuto finora un elemento esclusivo del nucleo terrestre.

Ma i risvolti dello studio non finiscono qui. Per la prima volta è stato dimostrato a livello empirico ciò che era stato solo simulato in geofisica da calcoli molto complessi: le placche tettoniche penetrano nel mantello talvolta seguendo percorsi non lineari e questa informazione può rappresentare un’ulteriore complessità da considerare per i sismologi che studiano lo sviluppo di alcuni terremoti estremamente profondi.

"Questo ha implicazioni importanti sui terremoti profondi, quelli che si formano tra i 600 e i 700 chilometri di profondità e che arrivano a magnitudo di 7-7.5 della scala Richter. Questi terremoti sono certamente legati alla placca che va in subduzione ma se questo movimento avviene in modo non lineare si apre uno scenario nuovo su come dobbiamo analizzare i dati geofisici indiretti che abbiamo da quelle zone, attraverso la tecnica che si chiama tomografia sismica", spiega il professor Fabrizio Nestola a Il Bo Live.

Il professor Fabrizio Nestola illustra nel dettaglio lo studio pubblicato su Nature di cui è primo autore. Servizio, riprese e montaggio di Barbara Paknazar

I diamanti super profondi e i risultati del nuovo studio pubblicato su Nature

Lo studio appena pubblicato su Nature è frutto dell'approfondita analisi, condotta mediante tecnologie avanzate come la spettroscopia Raman e la diffrazione di raggi X, di un diamante super profondo, terminologia con cui ci si riferisce ai diamanti che si formano al di sotto dei 300 km e fino a 1000 km. E' proprio la maggiore profondità a distinguerli da quelli litosferici che sono molto più comuni. "I diamanti super profondi sono estremamente rari, rappresentano appena l’1% di tutti i diamanti in generale e di solito contengono delle impurità molto particolari", introduce il professor Fabrizio Nestola.

La scoperta ruota intorno ad un'inclusione che apparentemente sembrerebbe comune, cioè l’olivina, ma che presentava caratteristiche mai viste prima in un diamante super profondo. "L’olivina è il minerale più abbondante del mantello superiore (fino a 410 km di profondità) ma quella rinvenuta in questo diamante ha una composizione chimica mai ritrovata nei diamanti. E’ infatti pura in magnesio e ha formula Mg2SiO4, mentre normalmente le olivine del mantello superiore contengono circa il 10% di ferro", approfondisce il docente del dipartimento di Geoscienze dell'università di Padova. 

"Insieme a questa olivina abbiamo trovato anche il ferropericlasio, un altro minerale molto comunque nei diamanti super profondi e con una composizione tipica del mantello inferiore (quella zona che va da 660 km in giù), e anche la bridgmanite che è il minerale più abbondante della Terra. Quando olivina, ferropericlasio e bridgemanite si presentano insieme in un unico diamante e quando l’olivina ha una pressione interna estremamente alta, significa che quell’olivina era in realtà un polimorfo di più alta pressione, cioè ha la stessa composizione ma si è formato ad una pressione maggiore e prende il nome di ringwoodite", continua il professor Nestola.

"Ringwoodite, bridgemanite e ferropericlasio insieme ci dicono che questo diamante è stato proprio al confine dei 660 km di profondità. Ma la composizione dell’olivina rivela una cosa ancora più importante e nuova che finora era stata solo simulata nei calcoli: si tratta del fatto che, almeno localmente dove abbiamo trovato questo diamante, la placca tettonica che va in subduzione non scende linearmente, ma fa una curvatura. Questo apre scenari assolutamente nuovi sui terremoti super profondi e siamo ben contenti di essere stati i primi a segnalarlo", spiega il primo autore dello studio.

Al centro della Terra acqua, metano e idrogeno molecolare

Fino al 2014 non era mai stato trovato nessun campione naturale terrestre capace di rivelare l’esistenza di grandi volumi di acqua intrappolati nella zona di transizione. L'individuazione di una piccolissima inclusione del minerale ringwoodite in un diamante trovato in Brasile ha rappresentato il primo punto di svolta e anche il quel caso il professor Fabrizio Nestola è stato tra gli artefici della scoperta. I risultati di quello studio, pubblicati sempre sulla rivista Nature, cominciarono ad aprire nuovi scenari e ipotesi sull’evoluzione del magmatismo terrestre e della tettonica delle placche del nostro pianeta. A questa scoperta si sono poi affiancati alcuni studi che hanno rivelato, sempre grazie all'analisi di diamanti super profondi, che il mantello terrestre è molto più ossigenato di quanto non si ritenesse in passato.

"I diamanti super profondi stanno attraendo tantissimo i ricercatori perché stiamo scoprendo un mondo nuovo. Nel 2014 abbiamo trovato una ringwoodite che conteneva una quantità di acqua pari all’1,4%. Considerato che la ringwoodite rappresenta il 35% della zona di transizione (tra 410 e 660 km di profondità) vuol dire che a quella profondità ci sono tre oceani. Ovviamente non è acqua liquida ma è dentro i minerali in una certa speciazione", precisa il professor Nestola.

"Nel 2016 e nel 2018, ma anche più di recente, altri studi hanno confermato che questa presenza di acqua è una caratteristica peculiare e continua all’interfaccia tra le inclusioni e il diamante. Se prima l’acqua era stata trovata in un solo diamante e quindi poteva essere un po’ speculativo dire che questo rappresentasse tutta la Terra a quelle profondità, adesso questo dato sta diventando accettato da tutta la comunità scientifica", continua Nestola. 

Abbiamo trovato diamanti da tutte le zone del mondo e ormai il dato della presenza di acqua a quelle profondità è scontato Fabrizio Nestola

"Certo, potremmo farci una domanda più difficile: da dove arriva quell’acqua? Quando è arrivata l’acqua sulla Terra? Al riguardo le teorie sono diverse. Una sostiene che l’acqua sia stata portata da comete, meteoriti, asteroidi sul pianeta Terra tra i 3,8 e i 4 mld di anni fa, mentre un'altra avanza l'ipotesi che sia stata presente sulla Terra già dal primo momento di formazione del pianeta. E’ una domanda intrigante e sappiamo tutti quanto l’acqua sia importante sulla Terra e come lo abbia trasformato rispetto agli altri pianeti. La tettonica delle placche e il fenomeno della subduzione non esistono sugli altri pianeti e il motivo per cui sulla Terra esistono è proprio l’acqua che crea questo tipo di reologia delle rocce", conclude il professor Nestola.

L'obiettivo di svelare il mistero dell’origine dell’acqua sulla Terra è anche al centro di un progetto, guidato dalla professoressa Martha Pamato del dipartimento di Geoscienze, che ha ottenuto il prestigioso European Research Council (ERC) Starting Grant. Si intitola "Diamonds as key the unravel the origin of Earth’s water" e ha preso il via all'inizio del 2023: l'auspicio è che i diamanti, in questo caso attraverso lo studio di atomi di idrogeno contenuti al loro interno, possano rispondere a questa domanda fondamentale. 

 

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