SCIENZA E RICERCA

Ubirajara jubatus torna a casa: fossile di dinosauro restituito al Brasile

“Circa 110 milioni di anni fa, lungo le rive di un'antica laguna in quello che oggi è il Brasile nord-orientale, un dinosauro del Cretaceo a due zampe, grande come un pollo, si guadagnava da vivere cacciando insetti e forse piccoli vertebrati come rane e lucertole… Questo dinosauro, chiamato Ubirajara jubatus, possedeva una ‘criniera’ di peli e due strutture assolutamente uniche, rigide e simili a lance, probabilmente fatte di cheratina, che sporgevano dalle spalle”. Come molti altri media nazionali e internazionali, anche il Guardian sul finire del 2020 raccontava di una scoperta importante: per la prima volta un gruppo di paleontologi tedeschi, messicani e britannici descriveva su Cretaceous Research un fossile unico nel suo genere, quanto rimaneva del primo dinosauro piumato non aviario, rinvenuto negli anni Novanta nel bacino di Araripe. A distanza di tre anni il reperto, su cui la pubblicazione scientifica accese i riflettori, sarà restituito al Brasile dallo State Museum of Natural History Karlsruhe in Germania dove oggi è conservato. Secondo Gustavo Bezerra, consigliere dell'Istituto Guimarães Rosa, l'esemplare di Ubirajara sarà consegnato a giugno al Museo nazionale del Brasile di Rio de Janeiro. Non senza lunghe e tortuose trattative. 

Ma andiamo con ordine. Il 13 dicembre 2020, quando lo studio apparve in rete, molti paleontologi brasiliani misero in dubbio che il fossile fosse stato esportato legalmente dal loro Paese. Migliaia di post sui social media con l’hashtag #UbirajaraBelongstoBrazil accusavano gli scienziati tedeschi di essersi impossessati del reperto senza autorizzazione e senza gli opportuni permessi e per tale ragione ne chiedevano la restituzione. In seguito la rivista ritirò l’articolo, finché la controversia non fosse stata chiarita. 

La raccolta di materiale fossile in Brasile è regolamentata da un decreto del 1942 che rende necessaria l’autorizzazione da parte dell’Agenzia nazionale mineraria e sancisce l’appartenenza allo Stato dei reperti eventualmente rinvenuti. Un decreto del 1990 inoltre aggiunge che l'esportazione deve essere approvata dal Ministero della Scienza e della Tecnologia e che i ricercatori stranieri devono collaborare con un'istituzione brasiliana per studiarli. 

Davanti alle accuse, gli autori dell’articolo sostenevano di essere in possesso di un permesso ad esportare il fossile da parte di un funzionario brasiliano, ma Rafael Rayol, procuratore della Repubblica di Juazeiro do Norte che sta lavorando al caso, ha recentemente dichiarato a Nature che non ci sarebbe stata alcuna donazione esplicita del fossile, quanto piuttosto una “donazione di scatole contenenti del materiale sconosciuto. In teoria, è possibile che Ubirajara fosse in quelle scatole - in ogni caso, l'autorizzazione rilasciata dall'ex Dipartimento di Produzione Mineraria del Brasile negli anni Novanta non ha seguito le procedure stabilite dalla legge”. 

Secondo quanto riportava Science lo scorso anno inoltre, le testimonianze sulle modalità con cui il fossile era stato esportato e acquisito in Germania erano contraddittorie e questo indusse il Baden-Württemberg Ministry of Science ad avviare un’indagine interna. L’articolo su Cretaceous Research riferiva che il fossile era stato “portato in Germania insieme a campioni scientifici nel 1995” da Eberhard Frey, paleontologo dello State Museum of Natural History Karlsruhe. Nel 2021 però, i ricercatori del museo dichiararono che il fossile era stato importato nel 2006 da una società privata e acquistato dal museo nel 2009. Secondo l'indagine del ministero, il museo non era stato in grado di fornire la documentazione relativa all'acquisizione del fossile. Alla fine lo State Museum of Natural History Karlsruhe ammise di aver “fatto dichiarazioni errate”.  

Alla richiesta delle autorità brasiliane di restituire il fossile dunque, il museo di Karlsruhe inizialmente rispose negativamente, come pure il ministero degli Affari esteri tedesco. Solo lo scorso anno, nel luglio del 2022, lo Stato tedesco del Baden-Württemberg, dove si trova il museo, ha acconsentito al rimpatrio che, secondo quanto ha dichiarato Gustavo Bezerra, dovrebbe avvenire nelle prossime settimane.

“Il ritorno di questo materiale significa molto”, ha dichiarato a Nature Aline Ghilardi, paleontologa della University of Rio Grande do Norte a Natal in Brasile, una delle ricercatrici che ha promosso la campagna #UbirajaraBelongsToBrazil. Si tratta di un “messaggio importante contro il colonialismo scientifico nel XXI secolo e apre un forte precedente affinché altri fossili tornino nei loro Paesi d'origine”. Nel contempo non manca di esprimere preoccupazione nei confronti del colonialismo interno, che vede le regioni più ricche di un Paese sfruttare le più povere: il fossile di Ubirajara, per esempio, è stato destinato al Museo Nazionale del Brasile di Rio de Janeiro invece che al Museo di paleontologia Plácido Cidade Nuvens di Santana do Cariri, che si trova vicino al bacino di Araripe dove l'esemplare è stato raccolto.

Nel XIX secolo il colonialismo europeo facilitò la raccolta di esemplari zoologici e botanici che venivano scoperti durante le spedizioni e inviati nelle rispettive capitali imperiali: qui i musei, che stavano rapidamente aumentando, ricevevano il materiale scientifico che poi veniva studiato. Tali pratiche, osserva un gruppo di ricercatori su Nature, continuano ancora oggi nell’ambito delle scienze naturali, soprattutto in paleontologia. Studiosi, solitamente di Paesi a  reddito più alto, conducono studi nei Paesi meno abbienti, senza alcun impegno con la comunità o i ricercatori locali: si parla per questo di colonialismo scientifico, a indicare una situazione di asimmetria nella ricerca.  

Gli scienziati in questione hanno preso in esame quasi 30.000 pubblicazioni apparse tra il 1990 e il 2020, rilevando che il 97% delle presenze fossili è stato fornito da autori con sede principalmente nel Nord America e nell'Europa occidentale. Gli scienziati statunitensi contribuiscono per oltre un terzo del totale e svolgono le loro ricerche in ugual misura all’interno e all’esterno del loro Paese. Germania, Regno Unito e Francia forniscono oltre il 10% dei dati totali sui fossili, ma le ricerche condotte all’estero sono in quantità sproporzionata rispetto a quelle realizzate all’interno delle proprie nazioni. A ciò si aggiunga che quasi la metà degli studi condotti in Paesi stranieri, non coinvolge ricercatori locali. 

“L'eredità del colonialismo e i fattori socioeconomici, come la ricchezza, l'istruzione e la stabilità politica - scrivono gli autori del paper -, influiscono sulla distribuzione globale dei dati sui fossili negli ultimi 30 anni. Abbiamo rilevato che persiste uno squilibrio di potere globale in paleontologia, con i ricercatori dei Paesi a reddito alto o medio-alto che detengono il monopolio della produzione di conoscenze paleontologiche, contribuendo al 97% dei dati sui fossili. Di conseguenza, alcuni Paesi o regioni tendono a essere meglio studiati di altri, portando a un campionamento spaziale eterogeneo in tutto il mondo”. 

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012