CULTURA

“Viver ardendo e non sentire il male”

 “Amor m’ha fatto tal ch’io vivo in foco”. Inizia così il sonetto più noto di Gaspara Stampa, quello che contiene il verso fulminante citato anche da Gabriele D’Annunzio: “Viver ardendo e non sentire il male”. La poetessa nata a Padova nel 1523, da famiglia borghese e colta, vissuta a Venezia e lì morta, appena trentunenne, il 23 aprile del 1554, è una figura affascinante e complessa del Rinascimento europeo, donna e artista con una vita intensa attraversata da sentimenti autentici e urgenti d’amore e rabbia, tenerezza e dolore. Anima vibrante, cuore innamorato del conte Collaltino di Collalto (che però ricambiava tiepidamente il sentimento), figura calata nel mondo terreno, voce dell’eloquenza borghese, della passione quotidiana, degli slanci reali e delle cadute dell’essere umano imperfetto e quindi verissimo, oggetto di grande interesse da parte degli studiosi ma anche di aspre critiche.

Riprese e montaggio: Tommaso Rocchi

Scrive Edoardo Simonato nella sua tesi di laurea dedicata alla poetessa (Le Rime di Gaspara Stampa: analisi dell’opera e commento a sonetti scelti, università di Padova, 2017): “Si incontrano critici che vedono nella poetessa un talento poetico naturale e quasi primitivo, poco o per nulla mediato da reminiscenze ed echi di precedenti letterari, taluni evidenziandone l’autenticità dell’ispirazione e la forza espressiva, talaltri insistendo di più sulla mancanza di raffinatezza e maniera; al contempo, altri critici e critiche fanno risalire l’eccentricità della poetessa al sapiente riutilizzo di modelli alternativi e paralleli a quello dominante del Petrarca. Ecco che la poetessa avrebbe la voce più spontanea e immediata della poesia erotica italiana del sedicesimo secolo (Ceriello 1954) colorita e ravvivata da una certa eloquenza borghese (Baldacci 1957), ma contemporaneamente la sua poetica sarebbe petrarchesca […] dantesca, ovidiana, boccacciana, ariostesca e persino bernesca, nutrita insomma dell’insegnamento di altri maestri e maestre (Farnetti 2014)”.

Le sue Rime vengono pubblicate dopo la morte: in quei suoi scritti, di ancora petrarchista, “ritroviamo l’idea di un canzoniere e la volontà di mantenere una precisa koinè stilistica – spiega Simonato, intervistato dal Bo Live -, mentre la novità è determinata dai contenuti, legati alla vita vera, e in particolare alla sua esperienza amorosa”, attraversata da forti emozioni, da attese e desideri, delusioni e speranze. Una scelta, quest’ultima, che penalizza la Stampa in vita, nel Cinquecento: le sue poesie infatti non hanno fortuna immediata, ma vengono riscoperte diversi secoli dopo, e ancora oggi risultano intensamente godibili perché cariche di una verità che le avvicina al gusto della poesia contemporanea.

Ed io d’arder amando non mi pento, pur che chi m’ha di novo tolto il core resti de l’arder mio pago e contento.

Ma questo slancio autentico, spontaneo, istintivo, a tratti disordinato, ha portato critici come Benedetto Croce a rimproverarla di “una certa sciatteria nella forma che però, se non condusse la forma a maggiore perfezione ebbe perlomeno il pregio di rompe[re]il petrarchismo (Croce 1950)”. Aggiunge Simonato, nella sua tesi: “C’è anche chi, riconosciuta la sciatteria, la considera piuttosto sprezzatura definendola una idea innovativa e irregolare di poesia che mette a frutto l’imperfezione e l’accordo piacevolmente dissonante tra diversi registri (Forni 2011); di contro, c’è chi parla per la poesia della Stampa di tenero canto aggraziato (Binni 19512). Riassumendo, e toccando due opposti estremi, il giovane Benedetto Croce, mai clemente nei giudizi sulla Stampa, sacrificò la poetessa sull’altare della poesia pura affermando con tanto di esattezza matematica che quattro quinti del canzoniere di Gaspara non è poesia; invece, secondo R. M. Rilke, la poetessa con i suoi versi è diventata l’emblema delle amanti, e tra tutte la sola degna di una menzione nella prima delle Elegie Duinesi (vv. 45 - 48 “Hai pensato abbastanza / a Gaspara Stampa? […] / che io possa eguagliarla?”). Per ultimo, fin d’ora non si può tacere il paradosso legato alla vita della poetessa, che forse paradosso non è: a notizie biografiche quanto mai scarne ha fatto seguito una querelle dalla quale sembra impossibile smarcarsi riguardo le possibili ricostruzioni. Qui più che in precedenza la critica si è divisa in fazioni: c’è chi (Salza 1913) afferma che ella fu senza dubbio una cortigiana onesta come Veronica Franco o Tullia d’Aragona; ma con altrettanta certezza c’è chi sostiene che non lo sia stata, e c’è anche chi ne fa una poetessa sensibile ai temi della cristianità riformata nonché lettrice dei testi sacri (Amaduri 2015)”.

Nel volume Dolceridente (recentemente pubblicato da Moretti & Vitali), la prima monografia dedicata alla Stampa, Monica Farnetti regala una descrizione gloriosa della poetessa, facendo riferimento a un “tesoro di esperienza e di conoscenza insieme, di quanto le accade e versandolo in rime che lo rendono memorabile, nonché disponibile all’accesso altrui”. E poco conta, continua Farnetti, “che quanto le accade si riduca sostanzialmente a un incontro e a un abbandono, seguito a breve da una morte precoce. Poiché in quei due anni e più di relazione amorosa, con l’appendice di pochi mesi dedicati a una successiva e imprevista passione, Gaspara Stampa impara magistralmente a leggere il quotidiano per ricavarne insegnamento, ad accompagnare con la scrittura la vita nelle continue trasformazioni che impone, a ripensare ogni giorno con pazienza l’umano, e nondimeno il divino, che si esprime nell'amato e nella propria stessa persona”. Anche l’università di Padova la ricorda tra gli esempi di virtù femminile nel dipinto realizzato ad affresco nella sala riservata alle studentesse nel Cortile nuovo di Palazzo Bo (Antonio Morato, 1940), accanto a Elena Lucrezia Cornaro Piscopia e Cornelia, madre dei Gracchi.

Straziami, Amor, se sai, dammi tormento

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