UNIVERSITÀ E SCUOLA

Abolire il numero chiuso a medicina: "Necessario un piano strutturato e molte risorse"

“Si abolisce il numero chiuso nelle Facoltà di Medicina, permettendo così a tutti di poter accedere agli studi”. Diciotto parole, contenute al punto 22 del comunicato stampa ufficiale di Palazzo Chigi diramato dal governo in seguito all’approvazione in Consiglio dei ministri della manovra di Bilancio, che hanno avuto un effetto dirompente nel mondo accademico italiano. Sì, perché al di là del refuso (le facoltà di medicina non esistono più da parecchi anni, sostituite dalla struttura di raccordo chiamata Scuola di Medicina), una riforma così immediata delle norme di accesso al corso di laurea in medicina sarebbe in grado di gettare nel panico qualsiasi ateneo. Ci si troverebbe potenzialmente di fronte a una “invasione” di candidati medici.

Sono i numeri a dirlo: le domande di immatricolazione per il 2018 erano arrivate alla quota record di 67.000, a fronte di soli 10.000 posti a disposizione (320 all’università di Padova).

La cronistoria: nel Def (il documento economico finanziario che precede la manovra finanziaria) esisteva un passaggio su alcune modifiche alle modalità di accesso a Medicina. Ma erano tutt’altro che così dirompenti: “Si procederà alla revisione del sistema di accesso ai corsi a numero programmato – si legge nel documento – attraverso l’adozione di un modello che assicuri procedure idonee a orientare gli studenti verso le loro effettive attitudini”. Da qui alla scelta tout court di abolire il numero chiuso, così come da comunicato di Palazzo Chigi, il salto è troppo grande. Non a caso arrivano poi le precisazioni, congiunte, dei ministri Bussetti (Miur) e Grillo (Salute) con un sostanziale passo indietro: “Abbiamo chiesto in sede di Consiglio dei ministri, di aumentare sia gli accessi, sia i contratti delle borse di studio per medicina – si legge nel testo diramato – È un auspicio condiviso da tutte le forze di maggioranza che il governo intende onorare”. Sembra insomma rientrata l’emergenza di un’abolizione senza un’impalcatura solida su cui poggiare: “Si tratta chiaramente di un percorso – concludono Bussetti e Grillo – da iniziare già quest’anno per gradi. Per assicurare l’aumento dei posti disponibili e avviare un percorso condiviso sarà convocata a breve una riunione con tutti i soggetti interessati, a cominciare dalla Crui (la conferenza del rettori delle università italiane, Ndr)”.
Questo è quanto è dato sapere. Di fatto c’è un’intenzione del governo, poi si dovrà vedere come agire e come mettere in campo le azioni necessarie (strutturali, economiche, di personale) in grado di garantire una riforma – epocale – del numero chiuso a medicina. Lo dice, intervistato da Il Bo Live – anche il professor Mario Plebani, presidente della Scuola di Medicina dell’università di Padova: “La notizia di per sé sarebbe buona in via teorica – spiega il docente – se accompagnata da un programma di arruolamento docenti e di rinforzo delle strutture esistenti. Altrimenti sarebbe un dramma”.

Di fatto, una riforma di questo tipo sarebbe del tutto insostenibile se non seguita da azioni strutturali importanti: “Bisogna verificare, concretamente – prosegue Plebani – quali sono i passi per arrivare a realizzare l’accessibilità e una sostenibilità che dia qualità alla formazione negli anni del corso di laurea”. Non a caso, già adesso a Padova con il numero chiuso l’ateneo è comunque costretto a chiedere aiuto al territorio per riuscire a gestire e a seguire in modo ottimale gli studenti iscritti a medicina.

Il problema è quindi ampio, così come è palese che a più riprese gli Ordini dei medici avevano richiesto di rivedere (in aumento) il numero di posti disponibili per i corsi di area sanitaria, vista una carenza di personale causata anche dai pensionamenti: “Peccato che si arrivi a curare la malattia quando il malato sta morendo – conclude Plebani – bisogna ricordare che per formare un medico servono 10 anni. Le previsioni parlano di una grande uscita di medici nei prossimi 3-4 anni e siamo già in ritardo”. Con una precisazione necessaria: “Il blocco non è tanto nel numero di medici laureati, ma nel numero dei contratti di formazione specialistica che vengono erogati, non dal Miur o dal ministero della Salute ma da quello dell’Economia”.

"C'è un'esigenza reale nel nostro Paese – sottolinea il rettore dell'università di Padova, Rosario Rizzuto – di vedere numeri di accesso maggiori per medicina. Ma deve essere chiara la volontà di tutti gli attori coinvolti di garantire, sempre, la qualità della formazione. Si tratta di un percorso di crescita che va costruito passo per passo. Con i numeri attuali (quasi 70mila iscrizioni ai test d'ingresso a livello nazionale, Ndr) siamo lontanissimi da poter garantire un servizio adeguato. Se pensassimo di aumentare i posti a disposizione da 10mila a 15mila a livello nazionale, questo sarebbe un obiettivo realistico da perseguire".

I punti su cui dover intervenire sono tanti. La palla passa al governo e a quello che deciderà di portare poi a livello di riforme.

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