SOCIETÀ

Cambiare la scuola è un imperativo categorico

Quando si parla di scuola i problemi ci sono, è inutile nasconderlo. Tra aule che cadono a pezzi, fondi sempre più risicati e cattedre scoperte a inizio anno, c’è poco da stare allegri. Eppure gli episodi più eclatanti che si trovano sui giornali riguardano più spesso i docenti aggrediti, verbalmente ma talora anche fisicamente, da genitori che non hanno preso bene richiami o bocciature del loro figlio. Limitandosi ai fatti recenti accaduti in Veneto, a giugno alla scuola media Albinoni di Tencarola una professoressa di inglese sessantenne è stata presa a schiaffi dalla madre di uno studente che aveva preso un’insufficienza. A settembre al liceo Cornaro di Padova un padre ha aggredito l’insegnante che riteneva responsabile della bocciatura del figlio, che per fortuna si è frapposto fra i due impedendo al padre di causare danni seri. A Camposampiero c’è stata invece la piazzata della madre della tirocinante giudicata non idonea: l’eccessiva tendenza a proteggere i figli, quindi, sembra non esaurirsi con la pubertà, e anche se la protagonista si è “limitata” a minacciare il tutor della figlia e la preside, ha comunque interrotto gli esami in pieno svolgimento.

Abbiamo chiesto al professor Luigi Berlinguer, presidente del Comitato per lo sviluppo della Cultura scientifica e tecnologica e presidente del Comitato Nazionale per l’apprendimento pratico della musica per tutti gli studenti, nonché ex ministro della Pubblica Istruzione, cosa sta succedendo nel mondo della scuola, perché succede e soprattutto quali possono essere le soluzioni a questa crisi.

Prima di tutto è bene chiarire che il problema esiste, anche se forse non è endemico e viene percepito più drammaticamente dal lettore dei giornali: "Lo capisco – commenta Belinguer – perché chi vuole vendere i giornali non ha interesse a segnalare le cose che funzionano: è comprensibile che i giornalisti cerchino lo scandalo, ma dovrebbero far trasparire nel testo che quella è un'eccezione. Non è facile, ma andrebbe fatto". Del resto è innegabile la profonda crisi della scuola; c'è stato un cambiamento profondo, che però non ha visto un parallelo aggiornamento del metodo. Questo cambiamento è la scuola per tutti.

"Nel passato – dice Berlinguer – a scuola andava solo un numero limitato di giovani che quindi non rappresentavano l’universo della popolazione, erano spesso studenti che provenivano dalle classi più elevate e da famiglie più acculturate: c’era quindi una selezione sociale. Ora invece la scuola riguarda tutti i cittadini, senza distinzione. Tra i genitori, quindi, troviamo chi ha studiato e chi si è limitato alla licenza elementare, quindi il rapporto docente/discente non sempre è stato da loro percepito fino in fondo. Così alcuni genitori tendono a dare una prevalenza assoluta alla difesa del figlio, mentre un tempo erano tutti più disposti a comprendere le ragioni dell’insegnante, e non erano portati a giustificare acriticamente l’insuccesso del figlio".

Naturalmente questo non significa che la scuola per tutti sia negativa, anzi: "Il primo obiettivo di qualunque forza illuminata è quella di scolarizzare tutti e fare qualunque sforzo per il successo formativo degli allievi, che però non significa regalare un pezzo di carta, non ci si può limitare a valutare: promuovere tutti è peggio che bocciare. La scuola per tutti comporta un cambiamento della natura dell’attività scolastica. Un tempo la scuola che prevedeva la trasmissione di conoscenze e il classico insegnamento frontale poteva funzionare, mentre ora non è più possibile. Il dovere della scuola non è solo quello di far acquisire conoscenze, è necessario anche che lo studente sia coinvolto nel processo educativo: deve diventare protagonista e non più un semplice destinatario".

Berlinguer è d'accordo con il pedagogista Daniele Novara, che di recente ha pubblicato il libro Cambiare la scuola si può (Rizzoli), dove sostiene che uno dei più gravi problemi della scuola di oggi sia la mancanza di un metodo che superi quello tradizionale, che sta fallendo su tutta la linea.

Lo studente deve essere coinvolto nel processo educativo: deve diventare protagonista e non più un semplice destinatario Luigi Berlinguer

La scuola continua a prevedere, sia per insegnanti che per allievi, solo verifiche cognitive, ma è una visione fortemente limitata: "Lo studente – prosegue Berlinguer – deve assorbire anche la cultura che sta dietro le conoscenze, mettendo insieme nozioni e comprensione generale dei temi che studia. Il contenuto dell’insegnamento andrebbe problematizzato e non semplicemente trasmesso, perché una parte degli studenti non ce la fa a stare al passo: se tutti vanno a scuola, la composizione della classe diventa eterogenea".

La scuola del futuro dovrebbe quindi prendere atto del cambiamento e rispondere punto per punto. Ora l'insegnamento è ancora settoriale, manca il dialogo fra le varie discipline, quindi alcuni studenti, e di riflesso alcuni genitori, vivono la scuola come un obbligo inutile, che non li porterà mai a percepire il valore culturale dietro l'insieme delle nozioni.

Questa mancanza di visione generale si riflette anche sulla formazione degli insegnanti. Continua Berlinguer: "Nel passato l’insegnante doveva fare un corso universitario in una determinata materia e vincere un concorso che lo rendesse un matematico, un linguista, un biologo e via dicendo. Ora con la scuola per tutti questo non basta più: oltre a conoscere la sua materia l’insegnante deve saperla trasmettere agli studenti. Questo secondo aspetto nella formazione dell'insegnante è invece trascurato, non si viene formati sulla metodologia dell’insegnamento, che è una disciplina scientifica che si deve studiare tanto quanto lettere e matematica. Lo Stato ha trascurato la formazione degli insegnanti in quanto tali, si è limitato a dare loro la formazione nozionistica, che è la più importante ma da sola non è sufficiente. Ci deve poi essere un tirocinio, mentre per ora ci sono dei tentativi, fatti senza troppa convinzione: bisogna prevedere una fase in cui l’insegnante sperimenti magari affiancato da un’insegnante con esperienza.
L’insegnante deve capire che ha di fronte degli esseri umani, non solo degli aspiranti matematici o degli aspiranti linguisti: l’Italia è uno dei pochi paesi europei in cui “educazione” e “istruzione” hanno valenze diverse. La scuola dovrebbe farsi carico di entrambe, senza limitarsi a inculcare nozioni importanti ma troppo spesso fini a sé stesse e creare invece dei cittadini consapevoli".

Roberto Rampi e Luigi Berlinguer alla presentazione della riforma della scuola nel 2015

Ma in questa Italia, troppo spesso poco attenta alle esigenze del mondo scolastico, è davvero possibile cambiare la scuola? "Cambiare la scuola non si può, si deve farlo" dice Berlinguer. "Oggi più di ieri la scuola e la scolarizzazione sono diventate una condizione di sopravvivenza della società e dell’economia nel suo complesso. La scuola deve essere cambiata e bisogna farlo al più presto, o pagheremo un prezzo altissimo. Questo cambiamento bisogna volerlo, deve essere la massima priorità nell’agenda politica italiana. Dobbiamo vincere la battaglia e farlo diventare il primo punto all’ordine del giorno, non solo della politica scolastica ma della politica in generale. Ci deve essere un cambiamento radicale, e questo non vuol dire trasformare la scuola in una chiacchiera come temono alcuni; significa introdurre l’esperienza di docenza e di verifica sul campo, che faccia comprendere cosa significa tenere una classe e sollecitare in ciascuno studente forme differenziate e autonome di impegno intellettuale che lo portino a maturare. Il cambiamento radicale del metodo ora è un imperativo categorico."

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