SCIENZA E RICERCA

Appunti sulla controversia dei vaccini

Il sapere scientifico e la valutazione del rischio. Quelli che discutono di vaccini, siano essi pro-vax o no-vax, non trattano di scienza ma di valutazione del rischio connesso all’applicazione di conoscenze scientifiche

Due sono i concetti cardine che nel parlar corrente vengono regolarmente confusi: il pericolo (danger, hazard), che è la proprietà intrinseca dell’agente in esame di poter produrre effetti dannosi, e il rischio (risk) che implica un’opzione che può essere semplicemente accettata o direttamente imposta.

In termini statistici il rischio rappresenta la probabilità che, nelle condizioni di esposizione prescelte, si realizzi il potenziale nocivo dell’agente, associato alla gravità delle possibili conseguenze. La valutazione quantitativa del rischio richiede perciò il calcolo di due componenti: l’entità del danno potenziale, e la probabilità che questo avvenga. Il rischio accettabile è il rischio che è giustificato e tollerato perché il costo o la difficoltà di attuare efficaci contromisure eccede le aspettative di perdita.

Il sapere specifico si ferma davanti ai dilemmi etici, perché la scienza, oggi come ieri, può aiutare a fare previsioni, ma non basta da sola a prendere decisioni su ciò che sia meglio o peggio per la vita dell’uomo e del suo ambiente. Spesso la ricerca non può fornire indicazioni certe sull’uso socialmente appropriato delle sue stesse conoscenze. Come afferma Ulrich Beck: «Il rischio presuppone decisioni umane con conseguenze in parte positive e in parte negative, come un Giano bifronte».

«Non vedo proprio come, sapendo che cosa succederà –chiosava il fisico atomico Feynman – si possa stabilire se ciò sia desiderabile o meno. Credo che sia impossibile decidere su questioni morali usando tecniche scientifiche» Purtroppo, egli aggiunge: «Insieme al potere di fare cose nuove [gli scienziati non hanno] ricevuto un libretto di istruzioni che dica come usarlo, se per il bene o per il male». 

L’insidia insita in questi limiti era stata precocemente individuata dallo scienziato atomico Alvin Weinberg in un articolo del 1972 intitolato «Science and Trans-Science». L’autore vi segnalava l’esistenza di una zona grigia tra scienza e politica, dove si collocano le domande «che possono essere poste alla scienza ma non possono trovare risposte nella scienza stessa». Weinberg denominò questa area grigia trans-scienza e ribadì che l’indeterminatezza cognitiva così messa a nudo nonera intrinseca alla scienza, ma si trovava fuori dai suoi confini. La scienza rimane ancora la fonte più autorevole di conoscenza nella comunicazione del rischio ma le sue indicazioni devono sottostare a un continuo confronto con le molteplici parti interessate alla sua gestione.

Il ruolo degli scienziati e quello dei decisori politici

Valutare e decidere il rischio è solo la prima tappa di un lungo percorso ricco di ostacoli. Il rischio va infatti comunicato e discusso per creare un’opinione pubblica consapevole, che ne permetta un’efficace gestione. 

Quando il problema entra nell’agenda politica si apre una complessa arena di discussioni e polemiche che coinvolgono, oltre agli scienziati, i professionisti delle agenzie nazionali e internazionali, i decisori politici, i portatori di interessi, i produttori, i membri vari del pubblico e infine i mezzi di comunicazione. Tutti costoro differiscono considerevolmente nella valutazione del rischio perché questa è intrinsecamente legata ai rispettivi timori, interessi e conoscenze, e dipende da giudizi di valore su ciò che è desiderabile o non desiderabile, tollerabile o non tollerabile, evitabile o fatale.

Alla fine è il potere politico che decide, come avviene nei moderni stati costituzionali in molti ambiti eminentemente tecnici dove la maggioranza dei cittadini non può decretare se un imputato sia colpevole o innocente, né quale pena sia la più appropriata nel singolo caso: si tratta infatti di decisioni che competono ai giudici.

Nel caso dei vaccini, la stima della loro efficacia compete alla scienza mentre la decisione sulla maggiore appropriatezza della strategia dell’obbligo rispetto a quella della raccomandazione coinvolge prevalentemente la gestione politica del rischio. Definire infine quali, quanti e quando alcuni vaccini debbano essere somministrati è una  prerogativa che la politica, sentito il parere degi scienziati,  avoca poi direttamente a se stessa.

Imparare a comunicare

 La comunicazione con il pubblico è un’enorme sfida per gli scienziati, che vedono i comunicatori professionali e i pubblici decisori impadronirsi delle indeterminatezze cognitive della scienza trasformandole in interpretazioni arbitrarie, colorite di interessi politici. Nel rapporto con la politica gli scienziati hanno molto da perdere a meno che non salvaguardino i loro confini a costo di potenziali conflitti con i decisori che inseguono opposti interessi. La competenza comunicativa degli scienziati deve continuare a privilegiare la capacità di discernere tra fatti e fantasie, tra razionale e irrazionale, abbandonando al contempo le pretese di educare astrattamente dall’alto per accogliere le forme più inclusive della comunicazione persuasiva basata sul dialogo e sul concreto contesto dove il rischio è percepito dal pubblico.   Il mondo attuale è complesso, e gli scienziati devono imparare a trasmettere il senso di questa complessità nelle risposte ai quesiti che la società inevitabilmente continua a proporre.

Il caso dei vaccini come banco di prova per una comunicazione senza errori

 I vaccini sono tra i prodotti biotecnologici più efficaci e sicuri. Essi sono sottoposti a una sorveglianza estensiva e continua per identificare gli eventi avversi non evidenziati nel corso dei test clinici (clinical trials). Presso il Center for Disease Control (CDC) di Atlanta opera il servizio Vaccine SafetyDatalink (VSD) collegato a nove grandi  organizzazioni di assistenza  degli Stati Uniti  che raccolgono dati da più di nove milioni di individui. I dati raccolti vengono aggiornati ogni settimana e in tal modo si attua  un monitoraggio in tempo reale ogni volta che si introduce un nuovo vaccino (Frank DeStefano, direttore del CDC’s Immunization Safety Office). Per quanto i vaccini siano sicuri, è bene ricordare che non esiste nessuna tecnologia a rischio zero e i vaccini, come ogni medicina, comportano rischi reali, che vanno da un lieve gonfiore a eventi rari ma gravi come convulsioni o anafilassi. Questi rischi non vanno negati, ma chiaramente spiegati; essi sono reali ma assai rari e nell’assoluta maggioranza non provocano alcun danno permanente. I medici possono costruire fiducia, inquadrando francamente questi fatti: l'onestà è la miglior politica.  "Se poni dei limiti al rischio e dici quello che esso è davvero, tutto diventa molto meno misterioso" dice Julie Leaskdel National Centre for Immunisation Research and Surveillancedell’Università di Sydney, in una comunicazione pubblicata da Nature (Leask, J. Target the fence-sitters. Nature 473, 443-445, 2011). Il suo team ha ideato un quadro di supporto decisionale che aiuta i medici a fornire informazionimirate ai genitori che sono sostenitori cauti, esitanti o ardenti. L'enfasi è sulla conquista dei genitori attraverso l'ascolto e l'empatia, piuttosto che con la sfida delle convinzioni contrarie.

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