CULTURA

Acqua: la storia delle vedove invisibili

Quello di Acqua è uno dei rari casi in cui è il libro ad essere tratto dal film.

Nel 2005 esce Water, l'ultimo di una trilogia cinematografica della controversa regista indiana con cittadinanza canadese, Deepa Mehta. Bapsi Sidhwa, scrittrice pakistana, pubblica nello stesso periodo la trasposizione letteraria (tradotta in italiano da Valeria Giacobbo per Neri Pozza) basata sulla sceneggiatura del film e scritta in soli tre mesi, per fare sì che i tempi coincidessero con l'uscita nelle sale di Water.

Acqua, il libro, comincia in modo semplice. C'è una bambina curiosa e spensierata che gioca con un cagnolino, c'è sua madre che prepara da mangiare. E poi? E poi succede che cambia tutto. Nel momento in cui il padre di Chuyia annuncia di aver combinato il matrimonio della piccola con un uomo di oltre quarant'anni, la sua vita cambierà per sempre. Solo che lei ancora non lo sa.

Il lettore entra così nel mondo di Chuyia, vede attraverso i suoi occhi i colori dei fiori, del paesaggio e degli abiti sgargianti da indossare ai matrimoni, sente i profumi dei dolci del banchetto. La scrittura di Bapsi Sidwha si sofferma spesso a descrivere il mondo in cui si muovono i personaggi; vengono lungamente approfondite le descrizioni dei cerimoniali tipici, il lettore impara presto il lessico specifico per riconoscere i capi di abbigliamento, i cibi, le divinità o i modi di dire. Il miglior espediente usato dalla scrittrice per spiegare il perché di quello che sta succedendo, in ogni caso, è farlo raccontare da uno dei personaggi.

Fuori dal matrimonio una moglie non ha un'esistenza riconosciuta. Il ruolo della donna nella vita consiste nello sposarsi e generare figli maschi. Ecco perché è stata creata: per generare figli maschi! E questo è tutto! Acqua, Bapsi Sidhwa, p. 16

E così si celebra il matrimonio. La festa, i dolci, i bracciali rossi e verdi; forse Chuyia non avrà capito esattamente cosa stia succedendo, ma non importa, perché quel giorno è senza dubbio un vero divertimento. In fondo, anche subito dopo sposata, la sua vita non sembra diversa. Ma quando, poco tempo dopo, arriva il momento in cui non è più una moglie, bensì una vedova, allora sì che cambia tutto.

Una donna che diventava vedova perdeva la sua funzione nella società, quella cioè di fare figli e servire il marito, e dunque cessava di esistere come persona: non era più né figlia né nuora. Non c'era più posto per lei nella società Acqua, Bapsi Sidhwa, p. 33

Ed è proprio questo che Chuyia è destinata a provare sulla sua pelle. Il mondo attorno a lei non ha alcuna pietà per i suoi 8 anni, per la sua voglia di giocare con gli animali e vivere con i suoi genitori. Da un momento all'altro lo scenario diventa radicalmente diverso da quello in cui si era aperto il libro. Svaniscono i colori e i profumi delle spezie, restano solo il bianco degli abiti e il buio delle stanze dell'ashram, la nuova casa di Chuyia. È lì, in quel luogo che sembra più una prigione che un rifugio per vedove, che la bambina dovrà scontare una condanna a vita. Oppure no? Il libro prosegue e ci vengono presentate altre donne di tutte le età che vivono lì con Chuyia, come Bua, la vecchia-bambina, Shakuntala, che diventerà quasi una madre per la piccola, e la giovane e triste Kalyani, costretta a prostituirsi dalla brutale Madhumati, capo dell'ashram.

La degradante condizione delle vedove nell'India degli anni trenta viene riconosciuta come una vera e propria colpa, e nel corso del romanzo si impara davvero tanto, a partire dagli obblighi e dai divieti imposti alle povere donne, come il doversi tagliare i capelli e potersi cibare solo con del riso scondito. Le vedove sono costrette a mendicare e ad essere emarginate da una comunità che le disprezza, le allontana per paura che possano portare sfortuna o che, nel migliore dei casi, prova compassione per il loro triste destino.

Non possono avere proprio nulla a cui aggrapparsi? Nessuna prospettiva migliore, nessuna speranza di riabilitarsi, di tornare ad essere persone, invece che rifiuti della società? Sembra che l'unica possibilità di un miglioramento sia rappresentata da Gandhi. Più volte, nel corso del romanzo, si affaccia la figura del Mahatma. Tutti, nel loro piccolo, ne hanno sentito parlare almeno una volta: bene, male, come si parla di un sovversivo, un salvatore, una leggenda o una bufala, quasi come se non esistesse davvero, poi persino come una divinità. E se ne parla con leggerezza, con ammirazione, con fastidio, o conservando cartoline con la sua immagine. Qual è il senso della presenza di Gandhi? Sarà colui che migliorerà la condizione delle vedove, si dice. E non solo. Sarà anche colui che libererà l'India dal controllo degli Inglesi. In Acqua, il nome di Gandhi è una promessa che sta per essere mantenuta, una speranza che non si è ancora arresa. Sembra un messaggio di salvezza forse troppo sfumato e distante per la gran parte di un popolo che vive alla giornata, trascinandosi con rassegnazione nella difficoltà della propria esistenza. La verità è che sarà anche una voce lontana, come un sottofondo di speranza, ma è comunque presente.

Nel complesso, il libro è molto fedele al film (d'altronde, era proprio quello l'intento), anche se aggiunge più dettagli all'infanzia di Chuyia prima della sua reclusione nell'ashram. Nella versione cinematografica, l'atmosfera è arricchita dall'evocativa colonna sonora di A. R. Rahman, premiata con un Genie award nel 2006. Nel libro, forse, la caratterizzazione dei personaggi è più accurata, essendo il ritmo del film un po' diverso. I protagonisti raccontati da Bapsi Sidhwa sono tutti personaggi unici e ben delineati, con un loro pensiero, un loro carattere e un proprio passato unico e personale. Acqua non è solo una denuncia alla condizione delle vedove, è anche una storia d'amore, un storia di poche donne, e allo stesso tempo di moltissime. Il libro riesce a difendere la peculiarità di queste vicende rendendole parte del racconto di una realtà molto più grande, variegata e complessa, senza tuttavia farle scomparire al suo interno.

E poi, nel libro come nel film, la storia finisce all'improvviso com'era iniziata. Un treno parte, l'acqua sparisce, e il lettore resta da solo, con addosso un senso di disarmante impotenza. Quale sarà il destino di Chuyia e delle altre vedove? Non ci è dato saperlo, ma non sembra così assurdo aggrapparsi ancora una volta alla speranza di un destino migliore.

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