SOCIETÀ

Dal nucleare al diritto umano alla pace: le minacce delle armi

Il prossimo 27 marzo al Palazzo del Bo’ si svolgerà il convegno “Dalle minacce nucleari al diritto umano alla pace” promosso da Il Bo Live, il Centro di ateneo per i diritti umani “Antonio Papisca”, la Cattedra Unesco “Diritti Umani, Democrazia e Pace” e l’Unione Scienziati per il Disarmo (USPID). Verranno considerate due urgenti tematiche militari (confronti nucleari e armi autonome) e le prospettive (ancora più urgenti) del disarmo e della pace.

Il primo tema riguarda le attuali minacce nucleari in tre cruciali teatri: l’Asia nord-orientale, il Medio Oriente e l’Europa. Ciò che collega questi contesti geograficamente lontani è l’origine delle attuali situazioni di crisi, dovuta in ciascuno dei casi al fatto che uno dei paesi parte degli specifici trattati ha deciso di cessarne il rispetto: la recessione della Corea del Nord (DPRK) dal Trattato di non-proliferazione (2003), il ritiro americano (2018) dall’accordoJCPOA (Joint Comprehensive Plan of Action) sul programma nucleare iraniano e il ritiro di USA e Russia (2019) dal trattato INF (Intermediate-Range Nuclear Forces), che proibisce alle parti una vasta classe di missili e comportò la distruzione di tali armi installate in Europa.  

La politica di controllo degli armamenti mediante accordi internazionali a vario livello è stato il mezzo individuato a partire dalla crisi missilistica di Cuba (1962) per limitare il rischio di una guerra nuclearein una situazione di aspro confronto conflittuale fra potenze iper-armate. 

Il trattato di non proliferazione (NPT), raggiunto nel 1968, fu il primo importante frutto di tale politica, motivato dal convincimento che la diffusione di armi nucleari a nuovi paesi aggrava il pericolo globale. Di fatto l’NPT ha contribuito a mantenere limitato a 10 il numero di stati dotatisi di tali armi, pur in presenza della diffusione della tecnologia nucleare per applicazioni civili; inoltre ha permesso di esercitare pressioni nella prospettiva del disarmo nucleare, previsto dal suo articolo 6. 

Il ritiro della DPRK dal trattato e il suo rapido sviluppo di armi nucleari (dimostrato da una successione di test) e di missili di varia gittata hanno creato enormi tensioni coi paesi vicini e con gli USA. Giappone, Corea del Sud e Taiwan hanno accresciuto notevolmente gli investimenti per la propria sicurezza militare, incluso lo sviluppo di sistemi antimissile, che, a loro volta, impensieriscono la Cina. Gli USA hanno aumentato la loro presenza militare nell’area e, se gli aspri toni verbali del confronto DPRK-USA nel 2017 si sono attenuati dopo la ripresa dei contatti diplomatici, i temi fondamentali del conflitto sono ancora tutti da risolvere. 

Un segnale inquietante della vicenda nord-coreana è l’affermazione dell’utilità politica delle armi nucleari, che di fatto permettono a un paese povero e debole di competere con la superpotenza e garantire la sicurezza del paese e del regime da interferenze esterne. 

L’accordo JCPOA venne laboriosamente raggiunto nel luglio 2015 fra l’Iran e Cina, Francia, Germania, Regno Unito, Russia, Stati Uniti e Unione Europea per disciplinare il programma nucleare iraniano e sospendere le sanzioni economiche imposte dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU e da vari paesi sull’Iran, a causa della sua violazione dell’NPT con lo sviluppo di impianti segreti di arricchimento dell’uranio. 

Gli impianti di arricchimento servono sia per la produzione di elementi di combustibile elettronucleare, ma anche per la confezione di armi nucleari e costituiscono la tecnologia a più alto rischio di proliferazione nucleare. 

L’accordo JCPOAha imposto all’Iran di ridurre in modo significativo le capacità dei suoi impianti, di limitare il tasso di arricchimento producibile e la quantità di uranio arricchito, con stringenti controlli da parte dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (IAEA). Il programma nucleare iraniano ha appunto messo in luce i problemi della compatibilità di alcune tecnologie nucleari civili col regime di non proliferazione e della effettiva possibilità di un loro controllo efficace. 

Israele e la destra americana hanno da subito osteggiato il JCPOA, e il presidente Trump non solo ha ritirato gli USA dall’accordo e rafforzato le sanzioni contro l’Iran, ma sta forzando anche le altre parti a non onorare gli impegni previsti. Ricordando che l’accordo ha anche stornato il rischio di uno scontro militare diretto, la sua rottura introduce nuove tensioni in un contesto regionale già teatro di guerre civili e transnazionali, lotte religiose e dilagante terrorismo. 

Nella sua insofferenza per i vincoli legali internazionali, Trump lo scorso 2 febbraio ha fatto formalmente comunicare alle parti il ritiro degli USA dal trattato INF, che dal 1988 proibisce di testare e acquisire missili balistici e cruise con base a terra di gittata fra 500 e 5.500 km (IRM). Dopo alcune schermaglie diplomatiche e propagandistiche, la Russia ha comunicato di non ritenersi più vincolata dal trattato.

L’INF ha segnato la soluzione della crisi degli “euromissili”, originata dall’ammodernamento delle forze nucleari sovietiche nel teatro europeo e dall’analoga risposta militare della NATO, imponendo la distruzione di 2.692 missili modernissimi sotto strettissimi controlli bilateraliIl clima di distensione e di reciproca fiducia così creato portò alla drastica riduzione di ogni tipo di armi nucleari stazionate in Europa e gettò le basi per il successivo accordo START di limitazione delle forze strategiche globali e per l’eliminazione dell’80% delle armi nucleari degli arsenali russi e americani. L’INF è stato inoltre un fattore importante per l’estensione indefinita dell’NPT nella conferenza di revisione-estensione del 1995. 

Il trattato non ha limitato lo sviluppo di IRM delle altre potenze nucleari e i tentativi di renderlo universale sono andati delusi; naturalmente USA e Russia hanno comunque una panoplia di armi offensive, ma l’insofferenza per la limitazione è andata crescendo e ha portato alla fine dell’INF, dopo reciproche accuse di violazione, entrambe motivate. Ora entrambe le potenze stanno sviluppando sistemi IRM, in una nuova fase di ampliamento dei loro inventari di armamenti duali nucleari-convenzionali. 

La nuova situazione impone in particolare ai paesi europei di rivedere le problematiche legate alla propria sicurezza ed esplorare nuove vie per ricreare il clima di distensione a livello continentale necessario per poter affrontare gli enormi problemi geo-politici che hanno di fronte.

La seconda urgente tematica militare del convegno riguarda le armi autonome, i sistemi in via di sviluppo e sperimentazione in grado di individuare e riconoscere obiettivi ostili, puntarli e colpirli senza necessariamente prevedere uno specifico intervento di un operatore umano. 

Già le mine, terrestri e navali, sono esempi “primitivi” di sistemi autonomi in quanto sono pronte a colpire al semplice contatto, una volta attivate. Sistemi autonomi più intelligenti sono ampiamente diffusi in armi difensive, quali sistemi anti-aereo e antimissile, dove i tempi di reazione sono estremamente stretti e di fatto impediscono, o rendono problematica, una decisione non automatica. Esistono, e sono in cantiere, anche armi offensive automatiche, quali munizioni di alta precisione, droni, missili a intelligenza artificiale, robot. Sistemi autonomi possono far precipitare situazioni di crisi in aperti conflitti e particolarmente delicato è il possibile aumento di componenti automatiche negli armamenti nucleari.

Questi sistemi sono frutto del continuo progresso nella tecnologia cibernetica, la robotica e l’intelligenza artificiale, largamente distribuito sia in ambito civile che militare e difficilmente controllabile per la sua diffusione e latenza. La prospettiva di un accordo internazionale per la limitazione delle armi è estremamente difficile, anche per la difficoltà di una loro precisa caratterizzazione e di sistemi di verifica e controllo efficaci.

Questi sistemi comportano acuti problemi etici e di rispetto delle norme umanitarienei conflitti, specificamente quando questi sistemi acquisiscono la capacità di interventi letali diretti, e la comunità scientifica internazionale e i movimenti per i diritti umani stanno affrontando queste attualissime e delicate problematiche.

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