CULTURA

Il genio di Federico Fellini tra sceneggiature, costumi, lettere e sogni disegnati

Quando una storia è ricca di bellezza, dettagli, svolte e colpi di scena, è difficile individuare il giusto punto di partenza. Da dove si comincia? Come si fa a scegliere l’attacco per raccontare il cinema, i sogni e l’anima di Federico Fellini?

A Padova si inizia dai soggetti e dalle sceneggiature, dalle minute di contratto (a Masina e Sordi, per esempio), dalle foto di famiglia, per poi entrare nel cinema e attraversare i film con i grandi manifesti originali esposti sulle pareti, da Amarcord a La città delle donne, da La strada a Giulietta degli spiriti, passando per Satyricon e La dolce vita. È il benvenuto dei Musei civici agli Eremitani ed è un’occasione per un ripasso generale, prima di entrare nel vivo della bella storia raccontata da Vincenzo Mollica, Alessandro Nicosia e Francesca Fabbri Fellini, curatori della mostra Verso il centenario. Federico Fellini. 1920-2020 (14 aprile – 1 settembre) che inaugura il cammino verso le celebrazioni di un anniversario importante e svela l'artista, il poeta, il regista, il pittore, l’uomo attraverso disegni (quasi duecento), soggetti e sceneggiature, figure in cartapesta e oggetti (come il modellino della nave del film E la nave va), costumi, foto di scena e lettere a Giulietta.

Si potrebbe cominciare dall'amore, da parole che profumano di destino: “Giulietta ha sempre abitato in me. Ho l’impressione di essere stato sposato fin dalla nascita”, dal messaggio lasciato sul comodino della stanza d'ospedale prima di subire un intervento: "Ancora un bacetto prima di addormentarmi". Oppure si potrebbe iniziare dai disegni, da quel Libro dei sogni che, già nel 2008, fu il protagonista di Fellini Oniricon, mostra allestita dall'università di Padova nella Sala dei Giganti di Palazzo Liviano. I disegni dicono molto di Fellini: disegnava la mattina, appena sveglio, per fissare i sogni, quando telefonava, in maniera inconsapevole, accompagnando gli schizzi con numeri e nomi, disegnava per stupire le donne, disegnava sulle tovagliette dei ristoranti e per ritrovare le tracce della sua infanzia, disegnava i personaggi che immaginava per i suoi film e poi andava a cercare gli attori. Disegnava sempre, ma sminuiva il suo talento definendoli scarabocchi e non ne parlava volentieri, forse per proteggere la parte più intima della sua arte. "Perché disegno i personaggi dei miei film? Perché prendo appunti grafici delle facce, dei nasi, dei baffi, delle cravatte, delle borsette, del modo di accavallare le gambe, delle persone che vengono a trovarmi in ufficio? Forse l’ho già detto che è un modo per cominciare a guardare il film in faccia, per vedere che tipo è, il tentativo di fissare qualcosa, sia pure minuscolo, al limite dell’insignificanza, ma che mi sembra abbia comunque a che fare col film, e velatamente mi parla di lui".

Quel che so, è che ho voglia di raccontare. Francamente, raccontare mi sembra l'unico gioco che valga la pena giocare Federico Fellini

Potremmo fissare l’inizio a metà percorso espositivo, dall’isola allestita per raccontare Il Casanova del 1976, attraverso un trionfo di maschere e costumi di scena, la cui accurata fattura valse l’Oscar nel 1977 a Danilo Donati, e approfondire il personaggio, interpretato da Donald Sutherland, che Fellini detestava e definiva  "cialtrone", persino "fascista". "Casanova io lo odio", diceva, ma in fondo a quel "sinistro Pinocchio" sentiva di assomigliare un po’: “Io identificai lui... con me... non nel senso di un amatore di donne ma nel senso di un uomo che non può amare le donne dal momento che ama un'idea immaginaria delle donne". E perché, invece, non sorprendere e scegliere una via insolita, partendo dall'Erotomachia, ovvero Battaglia d’amore, l’archetipico combattimento tra l’uomo e la donna nascosto in una saletta vietata ai minori? Lì, dietro una quinta teatrale, trova spazio la fantasia trasgressiva e disegnata senza censure tra il 1991 e il 1992. Ma anche la sala dedicata al film-fumetto potrebbe regalarci una efficace apertura, perché svela il Fellini degli ultimi anni, quello che non faceva più film e aveva accettato l’invito di Vincenzo Mollica, al tempo direttore del mensile Il Grifo, di tradurre in fumetto, con la collaborazione dell’amico Milo Manara, due progetti cinematografici mai realizzati: Viaggio a Tulum e Il viaggio di G. Mastorna, detto Fernet. In quella stessa sala ci sono anche due scritti che stimolano l’immaginazione costruendo reti, si notano appena: c'è la lettera scritta da Andrea Zanzotto e ci sono gli appunti di Fellini stesso per un videoclip da realizzare per Paul McCartney. Da qualsiasi parte la si guardi, funziona. Tutte queste strade ci hanno condotto nel mondo onirico di Federico Fellini, dove “Non c'è fine. Non c'è inizio. C'è solo l'infinita passione per la vita".

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