MONDO SALUTE

Viaggiare nello spazio: le conseguenze sul corpo umano

Cosa succede al nostro corpo dopo quasi un anno di vita nello spazio? Una prima risposta ci arriva dalla NASA, che ha recentemente pubblicato i risultati del suo progetto Twins Study.

Sfruttando un’opportunità veramente unica, avendo a disposizione due gemelli omozigoti entrambi astronauti, ne ha spedito uno sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS) per 340 giorni mentre l’altro rimaneva a Terra. Oggetto dello studio: verificare le variazioni fisiologiche, biologiche, cognitive e comportamentali del corpo umano in condizioni di volo spaziale per più di sei mesi, confrontando al termine della missione le condizioni dei due gemelli.

Gli astronauti nella ISS sono in condizioni di microgravità, fluttuano, in pratica. Come reagiscono, sul lungo periodo, i loro muscoli, le loro ossa, la circolazione sanguigna e il sistema nervoso? “La gravità – spiega Andrea Porzionato, docente di Anatomia umana e direttore del corso di perfezionamento in Medicina aeronautica e spaziale dell’università degli studi di Padova – è un ostacolo alla nostra motricità, di conseguenza è una forza allenante per i muscoli: meno gravità significa diminuzione della massa muscolare, a cui è associata anche una perdita di massa ossea. Le ossa, infatti, sono un tessuto vivo con cellule che proliferano e producono matrice ossea in risposta a stimoli diversi, tra cui la stessa gravità, che svolge un ruolo fondamentale”.

Spiega il docente: “Al fine di prevenire la perdita di massa muscolare e la demineralizzazione delle ossa (perdita della parte minerale delle ossa, come nell’osteoporosi, Ndr) gli astronauti nello spazio devono sottoporsi a rigorosi programmi di esercizio fisico e integrazioni di vitamina D e calcio”. Anche la circolazione sanguigna e la distribuzione dei liquidi corporei subiscono gli effetti della microgravità, spostandosi verso la parte superiore del corpo.

La faccia dell’astronauta appare più gonfia perché una quantità importante dei fluidi corporei si sposta verso l’alto. Di conseguenza, i recettori (sensori, Ndr) della pressione sanguigna, che si trovano nel collo, percepiscono un aumento del volume di sangue e stimolano, come contro-risposta, l’eliminazione dei liquidi in eccesso attraverso la diuresi”. Talvolta, la ridotta gravità riduce lo stimolo a livello delle pareti vescicali e gli astronauti devono usare il catetere per urinare.

“Anche la retina può risentire di un accumulo di liquidi (edema), con produzione della cosiddetta sindrome neuro-oculare associata allo spazio. Sono stati descritti anche disturbi alla coordinazione dei movimenti oculari”, continua Porzionato.

Lo spostamento verso il cranio dei fluidi può influenzare anche il sistema nervoso centrale, che galleggia all’interno del liquido cefalo-rachidiano. Sono state descritte anche alterazioni della funzionalità dell’apparato vestibolare, deputato al controllo dell’equilibrio”.

Vari studi hanno riportato risultati peggiori in test cognitivi durante la permanenza nello spazio. Nel Twins Study, invece, il gemello che era stato in orbita per quasi un anno mostrava una minore performance sui test, una volta tornato sulla Terra.

”È difficile riconoscere le cause esatte; anche se in volo varia la concentrazione di neurotrasmettitori (molecole che portano l’informazione fra le cellule cerebrali, Ndr), è molto probabile che lo stress del viaggio di ritorno e della riesposizione alla gravità terrestre abbiano avuto un ruolo predominante”.

E in effetti, il problema del post-volo è importantissimo nell’ottica delle missioni su Marte: una volta arrivati sul pianeta, sarà richiesto all’astronauta di svolgere lavoro altamente qualificato, che richiede una notevole capacità intellettuale ed efficienza operativa.

Se gli effetti della microgravità, entro certi limiti, possono comunque venire controbilanciati attraverso addestramento e monitoraggio adeguati, un problema molto più difficile da gestire è l’esposizione alle radiazioni cosmiche. Si tratta delle radiazioni ionizzanti, in grado di alterare i tessuti viventi per via della loro alta energia, quindi potenzialmente fortemente cancerogene. Nella ISS, ad esempio, un astronauta è esposto ad una dose di radiazioni dieci volte maggiore che sulla Terra, dove il campo magnetico e l’atmosfera fungono da schermo per i raggi cosmici.

Le radiazioni cosmiche richiedono schermature difficilmente realizzabili nella nave e nelle basi spaziali, portando ad una serie di danni a livello del DNA scarsamente prevedibili e confinabili: bisogna considerare un potenziale rischio di sviluppo di tumori. Tuttavia, gli astronauti che sono stati nello spazio sono meno di 600, con condizioni di permanenza e di volo fra loro molto diverse. Risulta quindi davvero difficile stimare il rischio di cancro per un campione di persone così vario e con una numerosità così bassa”.

Per il gemello “spaziale” sono state riportate una serie di alterazioni a livello del DNA, possibile indice di danneggiamento. Sono stati inoltre registrati cambiamenti nell’espressione genica, il processo attraverso il quale le cellule arrivano a sintetizzare le proteine. “Tuttavia – sottolinea Porzionato – una diversa espressione dei geni si verifica come risposta a stimoli esterni diversi, e pertanto non è detto che sia un dato ‘negativo’. Lo studio dell’espressione genica, soprattutto con metodiche che indagano contemporaneamente numerosissimi geni, servirà a comprendere meglio le risposte del corpo umano alle condizioni di volo spaziale”.

Un altro importante dato riguarda la variazione della lunghezza dei telomeri, le porzioni finali dei cromosomi che servono per proteggere i cromosomi stessi dai danni durante la replicazione cellulare. “I telomeri sono un’indicazione della senescenza cellulare: una cellula più vecchia ha telomeri più corti. Ci si poteva aspettare un accorciamento dei telomeri nel gemello in volo, date le condizioni di maggiore stress; in realtà, è avvenuto il contrario: un allungamento durante la permanenza nella ISS, che poi è stato perso dopo il ritorno su Terra. Anche questo dato sembra indicare un effetto più ‘stressante’ del ritorno sulla Terra piuttosto che del volo in quanto tale.”

Le ragioni dell’allungamento dei telomeri non sono ancora state individuate con certezza. Il maggiore controllo delle condizioni fisiche nel gemello che ha passato quasi un anno nella ISS può aver “ringiovanito” le cellule, come avviene sulla Terra quando si segue uno stile di vita sano.

In generale, per quanto riguarda il monitoraggio e la valutazione dei rischi nelle missioni spaziali, dal punto di vista medico-fisiologico il problema principale è costituito dai danni genetici da radiazioni per periodi lunghi di esposizione. “Bisogna però sottolineare che, per tutte le cause di rischio ci sono dati fino al massimo di un anno, e i casi studiati sono comunque pochissimi; la stragrande maggioranza degli astronauti non ha partecipato a missioni più lunghe di sei mesi. Servono delle valutazioni sui tre anni, durata minima di una missione su Marte”.

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012