SOCIETÀ

Verso le elezioni europee: la Grecia

In Grecia le elezioni europee del 2014 si tennero in un clima di grande tensione, a causa della drammatica crisi debitoria. La partecipazione al voto toccò il 60%, un dato molto superiore alla media continentale complessiva del 43%. Allora, in campagna elettorale, la dimensione sovranazionale e quella domestica erano un tutt’uno, considerando le misure di austerità decise a Bruxelles e a Francoforte e i sei anni consecutivi di recessione economica. Furono elezioni polarizzanti, con al centro per l’ennesima volta una sorta di consultazione popolare sull’accettazione dell’austerity imposta dall’estero. La sinistra radicale di Syriza fu abile nel cavalcare il malcontento e la frustrazione popolare per le draconiane misure economiche introdotte, conquistando oltre il 27% dei voti e ben 6 seggi all’Europarlamento. 

Quel successo elettorale fece da apripista alla vittoria alle elezioni politiche del gennaio successivo, che spianarono la strada alla prima premiership Tsipras. Dopo la vittoria alle Europee, Tsipras dichiarò che il risultato del voto “toglieva ogni legittimità morale alla continuazione delle politiche di austerità”. Tuttavia, arrivato al governo poco più di sei mesi dopo, dovette confrontarsi con gli oneri del ruolo di guida dell’esecutivo e, con imprevisto pragmatismo (e dopo un referendum e un’altra elezione politica), decise di allinearsi e di proseguire con le politiche imposte dall’esterno. Seguirono numerose critiche, proteste di piazza, fuoriuscite dal governo (la più eclatante quella del suo primo ministro dell’Economia, Gianis Varoufakis) e un crollo nei sondaggi.

Dall’agosto scorso, la Grecia è ufficialmente uscita dalla procedura di bailout finanziario.


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Dovrà ancora seguire alcune indicazioni stringenti, come quelle di un ulteriore taglio di posti di lavoro nel settore pubblico e quello di continuare a liberalizzare determinati settori economici. Tuttavia, il peggio sembra passato e il “nuovo” pragmatico Tsipras ha recuperato terreno nel favore popolare. E, cinque anni dopo, il nuovo appuntamento elettorale non sembra caratterizzarsi come un altro referendum sull’Europa. Syriza ha abbandonato il radicale euroscetticismo delle origini e Tsipras ha decisamente spostato verso il centro il proprio partito. Le percezioni negative verso l’Europa rimangono forti: solo il 52% degli elettori greci si identifica come cittadino europeo - penultima piazza prima della sola Bulgaria – e solo il 25% dei cittadini ha un’immagine positiva della UE. Ma ad Atene e nelle isole sembra tirare un’aria da “scampato pericolo” più che da voglia di battagliare ancora contro le politiche dell’Unione e della Banca Centrale Europea. E la percentuale di greci che hanno un’opinione negativa della UE è al 35%, in calo di otto punti esatti rispetto al 2014. Il tema dell’immigrazione è presente, ma non è polarizzante come in altri paesi europei. Di crescente rilevanza, e comune ad altri paesi del bacino mediterraneo, è invece la questione dei giovani che lasciano il paese perché impossibilitati a trovare lavori in linea con le loro aspettative. 

Anche stavolta il voto europeo fungerà da antipasto alle elezioni politiche, che si terranno il prossimo ottobre. Come detto, Tsipras e Syriza si presentano agli elettori nella rinnovata veste “moderata”, etichetta guadagnata non soltanto con la gestione delle misure di austerity e nei rapporti con la troika ma anche con l’aver finalmente risolto la trentennale disputa sull’uso del nome Macedonia con i vicini dell’attuale Macedonia del Nord. L’accordo di Prespa è stato largamente incensato dai media internazionali ed è l’ennesima dimostrazione del mutamento di Syriza, ormai molto più simile a un “classico” partito social-democratico che a un movimento della sinistra radicale. 

Tra le caratteristiche della politica greca contemporanea vi è l’elevato livello di bipolarismo e l’assenza di quella frammentazione che sembra caratterizzare molti degli altri paesi europei. Dei 21 seggi in palio, infatti, 16 dovrebbero essere spartiti tra Syriza (quotata al 25% circa e che dovrebbe confermare gli attuali 6 euroseggi) e il centro-destra di ND (Nea Dimokratia) accreditata attorno al 35% dei consensi e che dovrebbe conquistare ben 10 seggi. I quattro posti rimanenti dovrebbero essere divisi tra il KINAL, che è un cartello elettorale di centro-sinistra, composto dal glorioso e ormai defunto PASOK socialista e da altre sigle minori, un solido Partito Comunista e i nazionalisti di estrema destra di Alba Dorata che sembrano essere rimasti gli unici che ancora soffiano forte sull’antieuropeismo e sui sentimenti di odio per le politiche di austerità imposte al Paese. Rispetto a cinque anni fa, dovrebbero quindi non riuscire a eleggere propri rappresentanti né i centristi di Potami nè il movimento di centro-destra ANEL. 

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