SCIENZA E RICERCA

Editing genomico, Cina: potrebbe accorciare la vita. Dalla Russia nuove sperimentazioni

He Jiankui, lo scienziato cinese che a novembre 2018 ha annunciato di aver riscritto per la prima volta un genoma umano (quello delle due gemelline Lulu e Nana), torna a far parlare del suo lavoro. I dati di uno studio pubblicato su Nature Medicine lo scorso 3 giugno infatti suggerirebbero che una mutazione di entrambi gli alleli di Ccr5, lo stesso gene modificato da He Jiankui per prevenire l'infezione da Hiv nelle gemelline, darebbe ai portatori il 21% in più della probabilità di morire prima dei 76 anni rispetto a coloro che hanno la variante non mutata del gene.

Ccr5 è un gene presente in molti dei genomi dei mammiferi, significa che l'evoluzione gli ha assegnato un ruolo importante: codifica per una proteina presente sulla membrana delle cellule. Si pensa che il virus Hiv sfrutti proprio questa proteina per insinuarsi nella cellula e infettarla. Il biofisico cinese dell'università di Shenzen aveva perciò pensato di disattivare Ccr5 con le forbici genetiche di Crispr, in modo da chiudere la porta al virus. La sua idea era quella di indurre una mutazione del gene, chiamata ∆32, già “presente in natura”: l'11% delle persone che vivono nel Regno Unito ad esempio presentano almeno una copia di Ccr5-∆32.

Lo studio appena pubblicato su Nature Medicine, condotto da Xinzhu Wei e Rasmus Nielsen, entrambi dell'università di Berkely in California, ha preso in esame quasi 410.000 profili genetici registrati nella BioBank del Regno Unito e si è concentrato proprio su Ccr5-∆32. Il lavoro tuttavia presenta delle limitazioni, perché i dati provengono da persone più vecchie dei 41 anni d'età, esclude coloro che sono morti prematuramente ed esclude tutti coloro non registrati nella BioBank. Ciononostante, i risultati hanno mostrato che i portatori di entrambe le copie del gene mutato (coloro che sono omozigoti per Ccr5-∆32) hanno il 21% di probabilità in più di morire prima dei 76 anni. La causa di questa correlazione non è nota, fino ad ora sono disponibili solo alcune ipotesi. Si pensa che Ccr5-∆32 possa favorire la contrazione dell'influenza e del virus West Nile, ma che sia anche associato a condizioni autoimmuni come il morbo di Crohn e il diabete di tipo 1.

Ciononostante Ccr5-∆32 permane nella popolazione e ciò significa che potrebbe essere associato a dei vantaggi. Una ricerca pubblicata su Cell lo scorso febbraio suggeriva che l'inibizione di Ccr5 potrebbe non solo facilitare il recupero motorio nelle persone colpite da ictus, ma anche (confermando studi precedenti) migliorare le prestazioni mnemoniche e portare a prestazioni cognitive sopra la media. Tra le critiche rivolte al ricercatore cinese, c'è stato anche chi l'aveva accusato di voler segretamente progettare umani super-intelligenti.

He Jiankui, consapevole o no dei rischi associati alla mutazione di Ccr5 (o dei suoi vantaggi), ha deciso ugualmente di proseguire nella sua sperimentazione, incauta non solo per valide ragioni mediche, ma anche etiche e sociali. Il ricercatore cinese sta ora affrontando una serie di accuse, rivoltegli sia dalla sua università sia dal sistema giuridico cinese, entrambi dissociatisi dalle ricerche. È difficile tuttavia credere che le istituzioni non conoscessero i progetti di He Jiankui, che avevano contribuito a finanziare.

Occorre anche precisare che la sperimentazione di He Jiankui ha solo parzialmente ottenuto i risultati che si era prefissata. I dati da lui presentati al Second International Summit on Human Genome Editing di Hong Kong hanno mostrato che le gemelline presentano mutazioni di Ccr5 diverse da quelle desiderate, proprio perché la forbice genetica di Crispr ha tagliato bene in alcuni punti e male in altri. Uno dei principali problemi dell'applicazione di Crispr infatti è che non si riescono a controllare del tutto i tagli “fuori bersaglio”, le cui conseguenze rimangono imprevedibili. Inoltre è plausibile che la mutazione Ccr5-∆32 sia stata espressa con successo solo in una parte delle cellule embrionali delle gemelline. Si parla in questi casi di mosaicismo, e significa che una parte delle cellule del corpo contiene Ccr5-∆32, altre no. Quindi alcune cellule avranno ancora la proteina di membrana che l'Hiv usa come porta d'ingresso, altre non ce l'avranno. Che cosa questo comporti a livello funzionale, ancora non lo sappiamo, perché non esistono studi su modelli animali a riguardo.

Ma nel frattempo, dalla Russia arriva la notizia che il biologo molecolare Denis Rebrikov sarebbe pronto a impiantare embrioni geneticamente modificati per lo stesso gene, Ccr5, nell'utero di donne infette da Hiv, che non rispondono ai farmaci anti virali standard, e che prenderanno parte alla sperimentazione da volontarie. Rebrikov è ricercatore alla Pirogov Russian National Research Medical University, dirige la più grande clinica di fertilità della Russia, la Kulakov National Medical Research Center for Obstetrics, Gynecology and Perinatology di Mosca, e sostiene di avere già un accordo con una clinica a Mosca. Mira a partire entro la fine dell'anno, non appena riceverà i permessi.

La legislazione russa proibisce l'ingegneria genetica nella maggior parte dei casi, ma non è chiaro come si ponga nei confronti di una materia nuova come l'editing genomico su embrioni umani (in Cina il vuoto legislativo sarebbe ancora più lampante). Nel giro di poco meno di un anno il ministro della sanità russo dovrebbe pronunciarsi per chiarire questo punto. Molto probabilmente sarà difficile far partire questa sperimentazione contro la quale si è già schierata gran parte della comunità scientifica, inclusa Jennifer Doudna, la biologa molecolare di Berkeley che assieme alla microbiologa Emmanuelle Charpentier nel 2012 scoprì nei batteri il sistema di editing genomico Crispr-Cas9. A marzo era anche stato lanciato l'appello per una moratoria (firmata tra gli altri da Charpentier e Feng Zhang, e condiviso dall'Organizzazione mondiale della sanità) sull'utilizzo dell'editing genomico sull'uomo: è necessario prima raggiungere consenso condiviso sulla sicurezza del suo impiego.

Ciascun genoma è una rete intricatissima di strutture e funzioni, un equilibrio delicatissimo frutto di miliardi di anni di evoluzione, di selezione delle varianti favorevoli, di mutazioni casuali e di conservazione di quelle strettamente non deleterie. Sappiamo che nel DNA umano ci sono circa 3,2 miliardi di paia di basi azotate e circa 20.000 geni; ma della stra grande maggioranza delle sequenze geniche non conosciamo la funzione, molto probabilmente perché una singola sequenza non ha una sola funzione specifica. Ciascuna contribuisce a costruire molti mattoncini e ciascun mattoncino è costruito da più sequenze. Molti progressi sono stati fatti nella conoscenza dei meandri di questo labirinto, a partire dal Progetto Genoma Umano, ma la nostra capacità di operare in questa sala operatoria al momento è pari a quella di un bambino con una chiave inglese di fronte a uno shuttle.

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012