SCIENZA E RICERCA

Particolato sottile: l'importanza di comprendere i dati

Materiale particolato. Milioni di morti a livello mondiale. Sono rispettivamente causa e effetto dell’inquinamento atmosferico, problematica che con lo sviluppo tecnico-scientifico ha conosciuto una crescita esponenziale. Con “particolato atmosferico” si intende l’insieme di sostanze sospese con diametro inferiore a pochi nm; ne fa parte il PM2.5, particelle dal diametro inferiore a 2,5 µm. Proprio il PM2.5 è classificato dallo Iarc come cancerogeno per  l’uomo, ed è prodotto in gran quantità prevalentemente dalle combustioni. Come ci spiega Carla Ancona, epidemiologo ambientale del Dipartimento di epidemiologia del SSR del Lazio (Dep Lazio), nelle città il particolato deriva soprattutto dal massiccio passaggio di automobili e dal riscaldamento civile a biomasse, mentre nelle aree industriali è generato dalle combustioni prodotte dagli impianti industriali.

Di fronte ad evidenze scientifiche che dimostrano la pericolosità di queste sostanze, politiche locali o nazionali devono far sì che i livelli di particolato si collochino al di sotto di determinati valori di concentrazione; a questo proposito Carla Ancona ci fa notare l’esistenza di una contraddizione: “Secondo l’Oms il PM2.5 diviene dannoso per l’uomo se presente in quantità superiore a 10 microgrammi per metro cubo come media annua, mentre il legislatore (il Parlamento europeo) ha fissato gli standard che devono essere recepiti dagli Stati membri a 25 microgrammi per metro cubo.” Una discordanza che si traduce in danni irreversibili per la popolazione. Infatti il progetto nazionale Viias, coordinato dal Dep Lazio, ha evidenziato come il 29% degli italiani vive in aree in cui la concentrazione di PM2.5 è superiore al livello di legge (25 microgrammi per metro cubo), con il 40% di essi che risiede nel nord Italia. Considerando questi dati è stato possibile stimare in Italia le concentrazioni di particolato fine e le morti attribuibili a questa esposizione. Il numero di decessi attribuibili rappresenta il numero di casi che potrebbero essere evitati (o, più correttamente, posposti) attuando interventi di controllo delle emissioni e delle concentrazioni dell’inquinante. Nel 2005 34.552 decessi (il 7% della mortalità per cause naturali osservata in Italia) sono attribuibili all’esposizione della popolazione al PM2.5; di questi il 65% (pari a 22.485 decessi) si osserva tra i residenti al Nord Italia.

Il recente rapporto dell’Agenzia europea per l’ambiente “Air quality in Europe 2018” quantifica le vittime del particolato sottile come 60000 all’anno, quasi il doppio di quanto rilevato da Viias. “Quando si leggono dati sui numeri di decessi stimati bisogna tenere conto delle diverse soglie che possono essere utilizzate. Nelle valutazioni di impatto – continua Carla Ancona – può essere infatti utilizzata come soglia quella dei 25 µgr/m3 che suggerisce l’Europa, oppure i 10 µgr/m3 dell’ Oms o ancora decidere di non utilizzare nessuna soglia, la conseguenza sarà un aumento del numero di decessi attribuibili stimati.

Un’osservazione che amplia la possibilità di comprendere i dati che consultiamo, dato che se la presenza di ricerche diversificate può inizialmente disorientare, ci si renderà poi conto che  può rivelarsi un importante vantaggio per chi desidera informarsi sull’argomento, l’importante è essere consapevoli delle modalità e dei criteri utilizzati per non giungere a conclusioni inesatte.

Ma quali sono i provvedimenti presi dall’Italia per ridurre la presenza di particolato sottile? Carla Ancona spiega che non c’è un ragionamento in ottica nazionale ma piani di qualità dell’aria redatti a livello regionale: le Arpa mettono i piani a disposizione dei sindaci che devono poi valutare misure locali. Una procedura motivata del fatto che l’inquinamento atmosferico nel nostro Paese è causato principalmente dal traffico, la cui gestione è a carico delle amministrazioni locali. Nell’ottobre del 2018 le regioni della pianura padana si sono mosse in quest’ottica chiedendo l’armonizzazione delle norme sulla qualità dell’aria, al fine di operare al meglio in una delle zone più inquinate d’Europa. Ad essere sotto la gestione nazionale ci sono invece le grandi industrie che, complice la crisi economica, non sono però presenti in maniera massiccia sul territorio. “Ciò che è più urgente realizzare sono politiche mirate che limitino l’uso dell’auto privata in parallelo a un miglioramento dell’efficienza dei mezzi pubblici, soprattutto nelle grandi città – aggiunge Ancona – oltre a regolamentare al meglio le combustioni”; i nuovi condomini con riscaldamento a biomasse risultano infatti estremamente convenienti dal punto di vista economico se comparati a quelli con impianto a gas, di contro causano ingenti emissioni di particolato.

Uno scenario da monitorare in continuazione e che richiede attenzione rispetto ai dati che vengono diffusi, con la consapevolezza che la strada verso la risoluzione del problema è ancora lunga ma possediamo tutti gli strumenti per percorrerla al meglio. 

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