UNIVERSITÀ E SCUOLA

Non bistrattiamo la storia e la geografia

Storia e geografia sono state per decenni un’accoppiata scolastica. Due saperi, due discipline scolastiche, anche un po’ trascurate, per le quali si riusciva generalmente a strappare la sufficienza: il classico 6 e 6. Tanto la storia che cos’era se non una cronologia di eventi? E la geografia un elenco di capitali, fiumi, monti e mari? Anche il “mitico” programma televisivo “Lascia o raddoppia?” con l’ancor più mitico conduttore Mike Buongiorno alimentava questa credenza.

E così, pure per questo, anche quando il modo di intendere questi due saperi si è andato modificando e, direi, molto ammodernando, il loro peso nella cultura e nella formazione soprattutto scolastica ma anche universitaria (e soprattutto per la geografia); il loro peso, dicevo, è andato scemando e perdendo di importanza. Tanto, con specifico riguardo alla Storia, da abolirne la presenza nei temi di Italiano della maturità classica.

E tanto da indurre il quotidiano “la Repubblica” a lanciare una raccolta di firme a sostegno del pieno recupero di questa disciplina chiedendo “al ministro di ripristinare la traccia storica all’esame di maturità”.

Bene. È un buon segno che diecine di migliaia di persone abbiano aderito a quell’appello. Ed è un segnale importante anche poter notare che non pochi e in numero crescente hanno lamentato anche il sempre più  trascurato ruolo della geografia.

Personalmente quando sono stato tra i primi firmatari dell’appello al quale facevo riferimento mi sono ostentatamente qualificato come “geografo e docente di Politica dell’ambiente” proprio per sostenere l’indissolubile legame tra le due discipline. Tra i due saperi.

Quattrocento anni fa lo storico e gesuita ferrarese Daniello Bartoli scriveva che “Cieca è l’Istoriase a veder la terra le manca il lume della Geografia. Altresì la Geografia, se l’Istoria non le da che parlare, da sé sola è mutola”. Insomma il dove, il quando, il come, il perché sono inscindibilmente legati quando di un fatto, di cose, di persone si vuol conoscere tutto.

Allora è tuttora importante riprendere e diffondere il “grido di dolore” di tre anni fa contenuto nell’articolo di  Ilaria Venturi (Aiuto stanno sparendo i geografi. ”Insegnano a capire il pianeta molto meglio di un navigatore, ”La repubblica” 27 dicembre 2016) circa la progressiva scomparsa della Geografia, del suo insegnamento, dalle Università e dalle scuole, come si dice, di ogni ordine e grado.

La Geografia. Ma che cosa è questa disciplina? Potrebbe chiedere qualcuno che, appunto non la trova nel suo percorso scolastico. E chi sono i geografi?

Se lo chiese anche il Piccolo principe del famoso romanzo di Antoine de Saint-Exupéry quando arrivò sul sesto pianeta abitato da un vecchio signore che scriveva degli enormi libri il quale gli disse di essere un geografo. Aggiungendo che un Geografo 
"è  un sapiente che sa dove si trovano i mari, i fiumi, le città, le montagne e i deserti". “È molto interessante", disse il piccolo principe, "questo finalmente è un vero mestiere!"
Per molti decenni – per lo meno in Italia- il geografo è stato considerato in questo modo e con queste competenze e ciò ha notevolmente limitato il ruolo della Geografia nelle scienze.  Tuttavia la lettura del capitoletto (il 15°) nel quale avviene l’incontro che sto citando aggiunge qualche concetto che aiuta a migliorare le sorti della disciplina. Avviene quando il vecchio saggio spiega che un geografo per riempire di dati ed elementi i suoi libri si serve di esploratori che riceve “li interroga e prende degli appunti sui loro ricordi.
E se i ricordi di uno di loro gli sembrano interessanti, il geografo fa fare un'inchiesta sulla moralità dell'esploratore. Perchè se l'esploratore mentisse porterebbe una catastrofe nei libri di geografia.”

La catastrofe, appunto, è quella che può derivare dall’ignoranza dei contenuti di una scienza la quale, insieme con altre abbastanza contigue come per esempio la geologia che ha la stessa radice che vuol dire “terra”, ha molto da insegnare al di là della conoscenza di fiumi, monti e capitali.

È questa ignoranza, come diceva Italo Calvino che non mi stancherò mai di citare, l’ignoranza del paese che governano, che gli uomini di governo si tramandano dal Risorgimento in poi arrivando ad auspicare l’insegnamento obbligatorio della Geografia per Ministri e sottosegretari.

E quella ignoranza ce la troviamo, ma pochi se ne rendono conto, l’indomani di una di quelle catastrofi naturali “annunciate”, come pure si usa dire, e che “si potevano evitare”. Si sarebbe potuto evitarne non poche o per lo meno limitare danni e vittime conoscendo, come un geografo potrebbe insegnare, quali sono le caratteristiche e la vulnerabilità del Paese nel quale risiedono circa sessanta milioni di persone. Anni fa ce lo dimostrò una ragazzina che salvò centinaia di persone dallo tsunami nelle Filippine invitandoli ad andarsene in collina come aveva insegnato il suo insegnate in una lezione di geografia.

Perché invece la geografia trova sempre meno spazi di insegnamento?

È certamente una questione di scarsa cultura condizionata dalla ridotta disponibilità di fondi in un Paese nel quale sempre meno viene investito in ricerca e nella conoscenza del sapere e quel poco di cui si dispone deve essere diviso in una graduatoria nella quale saperi come quello geografico si ritengono di scarsa o comunque non indispensabile importanza.

Mi viene in mente la lettura di un libro forse poco - Il paese dell’acqua di Graham Swift -  che è il racconto di un professore di storia al quale il preside, sia pure in modo garbato, fa presente che l’Istituto ha difficoltà economiche e dovrebbe ridurre i costi intervenendo sul personale. Per esempio sull’insegnante di storia la cui disciplina non è che sia proprio indispensabile. Leggendolo ho pensato alla Geografia (né solo a quella) le cui sorti sono assimilabili a quelle del personaggio di questo libro.

Nel caso italiano non sono certamente il Preside o il Rettore imputabili del vuoto sempre più ampio nel quale è costretto l’insegnamento geografico. Ma, prescindendo dalle responsabilità del modo in cui le continue riforme dell’istruzione scolastica e universitaria trattano la Geografia, è quanto meno sorprendente la scomparsa di questo sapere. Come dicevo dopo l’appello per la storia molti sono intervenuti a sostegno della geografia. Tra i tanti mi piace citare uno studioso che non è storico né geografo, Alberto Asor Rosa, il quale in una lettera a Corrado Augias su Repubblica del 14 giugno 2019 (“Cosa dice di noi la geografia”), tra l’altro ha “richiamato la possibilità e talvolta che il nesso storia-geografia invada altri campi e consenta di leggerli in maniera diversa e più ricca del passato”.

Ma posso andare molto più indietro nel tempo e citare un geografo doc. Mi riferisco a Strabone il quale giusto duemila anni fa, con buona pace degli attuali negazionisti terrapiattisti, avvertiva (II libro della Geografia) che “Ora, uno dei doveri del geografo è partire dal presupposto che la Terra nel suo complesso sia sferica - come anche l’intero universo - e accettare tutte le conclusioni che ne derivano, una delle quali è che la Terra è costituita da cinque zone".

Insomma ce n’è di sostenitori cui riferirsi per indurre a questa doverosa riscoperta per governanti e governati. A questo scopo non saprei dire quanto utile anche per la geografia possa essere una raccolta di firme. Quello che conta è un Tam Tamche serva a diffondere l'importanza di questa conoscenza. Magari nelle scuole non si tornerà al mitico accoppiamento di storia e geografia, ma nelle case i genitori e, forse di più i nonni, che ancora ne sanno qualcosa è importante che la trasferiscano a figli e nipoti dimostrandone l’importanza. 

Così stanno le cose al momento. Speriamo “al momento”. Ma intanto, non pessimisticamente, ma realisticamente, ci avverte un sonetto di Petrarca 

 (il 7° del Canzoniere) che:


La gola, e ’l sonno, e l’oziose piume


hanno del mondo ogni virtù sbandita,


ond’è dal corso suo quasi smarrita


nostra natura vinta dal costume;


et è sì spento ogni benigno lume


del ciel, per cui s’informa umana vita,


che per cosa mirabile s’addita


chi vòl far d’Elicona nascer fiume.


Qual vaghezza di lauro? qual di mirto?


-Povera, e nuda vai, Filosofia-


dice la turba al vil guadagno intesa.


Pochi compagni avrai per l’altra via;


tanto ti prego più, gentile spirto,


non lassar la magnanima tua impresa.

Se fosse vissuto oggi, 800 anni dopo, Petrarca ad andar “povera e nuda” avrebbe ben potuto immaginare la Geografia.

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