SCIENZA E RICERCA

Il cerchio cromatico tra scienza e creatività

Tra Otto e Novecento, in un momento in cui la scienza gode la massima considerazione e il progresso tutto ne dipende, ivi compreso quello della creazione artistica, lo sviluppo della chimica nel campo del colore suscita il più largo interesse fra gi artisti. La sensibilità cromatica si affina e il rapporto con la scienza e con la tecnica si fa più audace in arte.

Punto di riferimento per molti è il chimico francese Michel Eugène Chevreul (1786-1889) che, nel tentativo di classificare i colori in maniera scientifica e razionale, con le sue scoperte rese possibile la classificazione dei colori. Il suo libro Sulla legge del contrasto simultaneo dei colori, letto da Delacroix, Seurat, Signac, diventa oggetto di particolare studio da parte di Delaunay che nel colore trova una delle principali fonti d’ispirazione e in nome del colore puro compie la svolta decisiva e il salto verso l’astrazione.  

Lo studioso francese  scoprì infatti che se si accostano due colori complementari, la luminosità di ciascuno di essi viene esaltata. Per dimostrarlo mise a punto il Cerchio Cromatico b nel quale i colori complementari sono posizionati alle estremità opposte di ogni diametro. 

Chevreul creò nuovi diagrammi cromatici considerando i colori solo come pigmenti e influenzò la produzione artistica moderna. Fu incaricato dalla Gobelin, grande azienda francese specializzata nella colorazione e stampaggio dei tessuti, di compiere uno studio sul comportamento di certe coloriture. Si era notato che alcuni colori aumentavano la loro vivacità, o la diminuivano, secondo le tinte cui erano accostati. Chevreul notò che i colori primari risultavano vivaci se accostati al proprio complementare e tendevano a contaminarsi l’un l’altro. In prossimità di altri colori, invece, riducevano la propria luminosità. Probabilmente ciò era dovuto al fatto, già osservato sui tessuti, che i colori complementari tendono a tingersi l’un l’altro. Il ricercatore fu portato dalle proprie osservazioni a formulare la legge dei contrasti simultanei: “Due colori adiacenti vengono percepiti dall’occhio in modo diverso da come sono realmente”.

Robert Delaunay (1885-1941) inizia giovanissimo la  sua carriera di pittore. I suoi occhi sono precocemente tesi ad assorbire ogni possibile esperienza visiva, in arte come in natura. Da solo si impadronisce delle tecniche pittoriche di artisti suoi contemporanei, o che di poco lo hanno preceduto. Le sue prime opere  risalgono al 1905, quando ha appena venti anni, e già mostrano una consapevole maturità. L’ossessione della luce rivela l’influenza che hanno su di lui gli impressionisti, mentre dai “fauves” e da Gaugain in particolare eredita l’esaltazione del colore sul quale vorrà indagare fino alle estreme conseguenze. Luce e colore martelleranno tutta la sua produzione pittorica. L’autoritratto ne è la prova più sorprendente: il colore è vivo e arbitrario, i grigi e le ombre sono assenti. Sul retro del quadro è dipinto “Paesaggio con disco”. In questa preziosissima tela si affermano due degli elementi permanenti della sua arte: il contrasto dei colori utilizzato come linguaggio poetico e il cerchio come elemento formale e simbolico.

Il 1907 segna l’anno di nascita del cubismo. Questa novità lo vede immediatamente partecipe su un piano tutto personale. Della lezione di Cezanne e del cubismo nascente Delaunay si avvale per dare inizio a quello che lui stesso definisce “il periodo distruttivo” della sua produzione artistica. Nasce così la serie splendida di “Saint-Severin” , della Tour Eiffel”, delle “villes”. Siamo nel 1909 e fino al 1911  egli si dedica esclusivamente a questi tre temi. Le forme si frantumano, le linee si spezzano sotto l’azione della luce intensa. Movimento e colore che il cubismo aveva ripudiato, scandiscono una nuova modalità ritmica, mentre l’equilibrio oggettivo, nella sua forma reale e compatta, viene sopraffatto e distrutto. L’aspetto massivo degli oggetti, la loro compattezza, la dimensione pesante delle cose scompare, il reale si trasforma in fuga, appena trattenuto da una volontà di poesia e di sogno.

“Dalla più alta torre simultaneamente con amicizia a G. Apollinaire” è la dedica su una delle più belle immagini “restituite” della Tour Eiffel. Castelli in aria, proiezioni, ansia di leggerezza si leggono in queste opere in cui gli oggetti del reale, sbilanciati da una tensione che ne rende assurda la statica, si tengono tuttavia in un nuovo precario equilibrio lirico.  Nella serie delle “villes” si spazia leggeri fra i tetti delle case che si inseguono e si compenetrano. Le immagini delle città sono sempre prese dall’alto e rimandano, una in particolare, a Chagall, a “Gli innamorati al di sopra della città” che volano leggeri e felici, portando con sé l’ebbrezza del momento d’amore. Qui ogni umana fatica si allontana, il peso del vivere quotidiano si cancella.

Le tele su “Sain-Severin”, i disegni e le incisioni sono molti. Nella fuga degli archi che si tendono e si gonfiano come vele, che si intrecciano e si accavallano infinite volte e su piani diversi, formando tutte le possibili gradazioni intermedie dal sesto acuto al tutto sesto, si ripete il dinamismo e la simultaneità della visione che  si riceve, procedendo con lentezza all’interno di una delle più suggestive chiese di Parigi. Affiora, nella lettura di questi temi (ma sarà motivo costante nella pittura di Delaunay) il desiderio di spiegamento, la proiezione nello spazio che il nuovo prodotto tecnologico, “la macchina” , ha provocato; il salto di qualità e di forza, la volontà di potenza che “la modernità” ormai consente e di cui la Torre Eiffel diventa il simbolo in quegli anni; il balzo in avanti insomma che la nuova civiltà delle macchine sta compiendo e la rottura con i “tempi” del passato che portano fino al ripudio della Nike di Samotracia, le cui ali appaiono ora troppo lente e pesanti per coloro che puntano lo sguardo verso il futuro. Così la Torre si trasforma in razzo. Aerea e traforata si solleva in uno scorcio fragile e potente per andare a trapassare il cielo. La molteplicità dei piani si trasforma in luce e movimento grazie al contrasto simultaneo dei colori.

Un grande quadro, per dipingere il quale impiega alcuni anni, “La ville de Paris” (1909-10-11) è il punto d’arrivo, la sintesi delle sue ricerche, e segna la fine di una stagione. Nella composizione tutto si mescola e trova un sottile equilibrio: le case, la Tour, i famosi “rideaux” alle finestre e le tre figure di donne che rimandano alle “Demoiselles d’Avignon” e saldano il debito con Picasso e il cubismo.

Nel 1912 inizia il “periodo” costruttivo. Da una parte ”Forme circolari” che testimoniano la continuità della ricerca sul colore e che rimandano ai “cerchi cromatici” di Chevreul e parallelamente le “Finestre” in cui il colore si diluisce e si stempera nelle infinite sfaccettature di liquidi viola e di “bluette”, di lilla e di pervinca, di azzurri che trapassano nel verde e nel turchese per cedere quindi il posto ai bianchi, ai gialli, al rosa che dal pallido cresce fino all’arancio, creando una miriade di riflessi caleidoscopici. Dall’altra i temi figurativi ricorrenti: “L’equipe de Cardiff”, “Homage à Bleriot” etc. che rappresentano i temi sportivi che dal ’20 al ’30 si imporranno. Ed è proprio in queste opere che l’astrazione risolta in geometria perde il valore essenziale di ricerca di assoluto che aveva nello spirito e nelle opere di un Mondrian e di un Kandinsky. Questi cercavano di razionalizzare l’immaginazione creatrice e di trovare infallibili processi per l’elaborazione dell’opera d’arte. La strada per cui Delaunay perviene all’astrattismo e alla macchia di colore è invece quella più esterna. Si tratta del ricorso appunto alla larga macchia di colore, anzi di colori puri e luminosi sottratti all’ intera immagine figurativa che si dilata e prende interamente lo spazio, s’impone. Colori giustapposti secondo un equilibrio soggettivo: toni caldi e freddi, chiari e scuri, luminosi e opachi, modulazioni reciproche. Ci troviamo di fronte a forme astratte, geometriche, in virtù della composizione della luce nei colori puri dello spettro. Luci prismatiche tra le quali si riafferrano frammenti di “rideaux” che incorniciano le finestre, parti di Tour che la finestra inquadra.

Dal ’14 al ’20 Delaunay è in Spagna e in Portogallo: mercati all’aperto, solarità di quei luoghi, riflessi della luce sul volto di donne che vendono i prodotti della natura …  Nel ’20 rientra a Parigi e dipinge i ritratti dei suoi amici poeti, musicisti, pittori. Riprende il tema dello sport in quanto movimento, in quanto slancio e sfida (Corridori, Football …), mentre la Torre riappare solida, immersa in un bagno di luce che ne rende coloratissimi aspetti.

“Ritmi”, “Gioia di vivere”, “Ritmi senza fine” rappresentano dal ’30 in poi il suo nuovo universo astratto in cui dominano forme circolari incatenate le une nelle altre: colori puri in movimento, successioni ritmiche. Nel ’37 realizza la sua ambizione di opere monumentali che trovano la giusta collocazione negli spazi architettonici dell’Esposizione Universale dove si celebra ancora una volta l’avanzata gloriosa della tecnica e del progresso. Le sue ultime cose sono tre dischi monumentali, del ’39, per il Salon des Tuileries.

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