SOCIETÀ

Non è un Paese per economisti

Nel selvaggio West c’era un vecchio stratagemma. Alcuni saloon offrivano pasti gratis a chi ordinava da bere: salvo che poi si trattava di cibo scadente (fagioli e poco altro), per di più imbottito di sale. Morale della favola, spesso a furia di ordinare birre si spendeva di più che se non si fosse mangiato e bevuto all’Hilton.

Di qui il motto “No free lunch”. Tradotto: il conto prima o poi arriva e nessuno ti regala niente. Che tu sia un privato o uno Stato. Per alcuni si tratta di buon senso, per altri dei fondamenti dell’economia, la cui missione sta appunto nell’organizzare risorse per loro natura scarse: tratta di questo Nessun pasto è gratis. Perché politici ed economisti non vanno d'accordo (Il Mulino 2019), l’ultimo libro di Lorenzo Forni, economista dell’università di Padova con un passato nel servizio studi della Banca d’Italia e nel Fondo Monetario Internazionale di Washington.

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Un testo agile e divulgativo che ha un obiettivo ambizioso: dare a tutti o quasi gli strumenti per comprendere alcune questioni capitali oggi al centro del dibattito pubblico. È possibile ad esempio rilanciare l’occupazione anticipando l’età pensionabile? È preferibile evitare di ripagare il debito pubblico, mandando lo stato in default? L’euro sta davvero affossando la nostra economia? Poi ci sono la prossima manovra di bilancio, il rispetto dei parametri europei, il famigerato signoraggio, i minibot e la flat tax…Tutti i temi vengono esaminati con linguaggio semplice e diretto, evitando l’uso di formule matematiche e limitando quello dei grafici, ma soprattutto facendo tanti esempi concreti.

Il concetto base, evocato dal titolo, sta nel fatto che i vincoli di bilancio vanno rispettati: nel medio e lungo periodo non è insomma possibile consumare più risorse di quelle che si producono. Un’affermazione quasi scontata, ma che in tempo di nazionalismo monetario ha quasi un sapore rivoluzionario.

Questo ovviamente non significa che fisco e moneta siano ininfluenti, anzi. Ma il loro ruolo – osserva Forni nel libro – dovrebbe essere quello di accompagnare la crescita e soprattutto stabilizzare il sistema in caso di crisi. Per uno sviluppo solido e duraturo bisognerà piuttosto scommettere su fattori come istruzione, infrastrutture, natalità e ambiente, che però hanno il brutto vizio di impiegare anni per manifestare i loro effetti. Mentre oggi la politica è campagna elettorale perenne, con l’esigenza sempre più pressante di comprare in qualche modo il consenso dei cittadini.

Nel medio e lungo periodo non è insomma possibile consumare più risorse di quelle che si producono

Il conto da pagare però prima o poi arriva. Se infatti è difficile che le politiche macroeconomiche creino ricchezza, è invece molto più facile che la distruggano. “Nel corso degli anni ho visto i danni fatti da politiche economiche sbagliate, che di fatto addossano ai cittadini costi non necessari – spiega Lorenzo Forni a Il Bo Live –. Un pericolo presente soprattutto in questa fase, in cui pare esserci molta confusione anche tra gli economisti. Ho voluto quindi mettere sostanzialmente a disposizione la mia esperienza e fare una riflessione sul perché di questo conflitto tra esperti di economia e politici”.

Una distanza che si è allargata soprattutto dopo la crisi del 2008, che ha impoverito una larga fascia della popolazione ma ha anche fatto anche impennare il debito pubblico degli Stati, privandoli di mezzi proprio nel momento del bisogno. Ma le risposte, secondo Forni, non stanno nel deficit selvaggio e nella sovranità monetaria: “L’Italia ad esempio negli ultimi anni ha avuto una politica fiscale espansiva, passando da un debito pubblico del 60% agli inizi degli anni ’80 all’attuale 133%. Per quanto poi riguarda la politica monetaria oggi i tassi d’interesse sono addirittura negativi, eppure molti Paesi europei hanno tassi di crescita bassi, compresa oggi la Germania”.

Gli strumenti economici dunque hanno bisogno di un’economia reale forte, non possono moltiplicare i pani e i pesci. Non ci sono scorciatoie, cercarle anzi è la via più certa per una crisi, che in un certo senso ristabilisce i vincoli di bilancio. Salvo che a pagare il conto saranno in questo caso soprattutto la classe media e i ceti più deboli.

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