SCIENZA E RICERCA

La formula del successo

Siamo abituati ad avvicinarci allo spinoso tema del successo da un punto di vista per lo più motivazionale: cosa e come pensare di noi stessi al fine di migliorare le nostre performance. Il concetto stesso di “avere successo” viene in genere rappresentato come qualcosa che si definisce in modo puramente soggettivo, forse per rendercelo più “sopportabile” perché avvicinabile: per me è un successo imparare a guidare l’automobile, per te chiedere un aumento al lavoro, e via così. I Beatles, il golfista Tiger Woods, Einstein… beh, le star sono un’altra cosa. Non è vero. Non è così. E non è nemmeno “questione di fortuna”, o viceversa (solo) frutto di un indefesso lavoro, o (solo) di avere le giuste conoscenze. Queste componenti contribuiscono tutte al raggiungimento del successo ma in che modo agiscano o di che processi il successo sia il risultato possiamo averne un’idea chiara, indagata e descritta scientificamente.

Lo dimostra Albert-László Barabási nel suo saggio La formula. Le leggi universali del successo (Einaudi, luglio 2019) in cui il direttore del Centre for Complex Network Research della Northeastern University di Boston, uno dei massimi esperti di teoria delle reti, espone le cinque leggi del successo che ha formulato a seguito di moltissimi studi quantitativi condotti insieme al suo team che sono valsi ai ricercatori pubblicazioni su Science e Nature. Nella conclusione l’autore è assertivo (e in qualche misura consolatorio per quelli di noi che desiderano avere successo nella vita): “Invece di pregare che ci arrivi un colpo di fortuna, oggi abbiamo una scienza fondativa del successo che possiamo utilizzare per raggiungere obiettivi personali e collettivi. Anche se questa scienza è nuova, le leggi del successo non lo sono. Come tutte le leggi scientifiche, sono universali ed eterne”.

Le cinque leggi del successo, come tutte le leggi scientifiche, sono universali ed eterne

Rimandando alla lettura del saggio che è davvero godibile e al contempo scientificamente consistente, nel volume l’autore parte, come sempre avviene nell’approcciarsi a una teoria in modo razionale, da una definizione: “Il vostro successo” scrive Barabási “non ha a che fare con voi e le vostre prestazioni. Ha a che fare con noi e il nostro modo di percepire le vostre prestazioni”, quindi non è un fenomeno individuale ma collettivo. Non se lo inventa Barabási, lo diceva persino Aristotele: “È opinione comune che [il successo] dipenda più da coloro che onorano che da chi è onorato”. Nel mondo dei social (ma in realtà vale sempre e da sempre) non possiamo, per quanto poco ci piaccia, fare a meno di assentire.

Infatti la prima legge del successo sfata subito il mito secondo cui è il cosiddetto “talento” in sé e per sé a garantire, da solo, risultati stupefacenti. Questa recita: “A portare al successo sono le prestazioni, quando però le prestazioni non sono misurabili, a determinare il successo sono le reti”.

Si prenda ad esempio la scuola, dove la scala di voti dovrebbe essere discriminatoria: è stato possibile dimostrare che studenti per poco non ammessi alle università d’eccellenza e i colleghi che invece lo sono stati hanno continuato a eccellere in egual misura. “In altre parole”, dice l’autore, “sono le prestazioni e l’ambizione dello studente – quale pensa che sia il suo posto – a determinare il suo successo”. Questo è tanto più vero quanto più difficile si fa la disamina delle prestazioni. Per esempio, è stato dimostrato, dati alla mano che, nella degustazione dei vini di eccellenza, i giurati valutano in modo coerente lo stesso vino soltanto il 18% delle volte (ossia, in turnate successive, solo in quei pochi casi confermano il giudizio dato). E ancora, che in concorsi accademici o al conservatorio la gran parte dei vincitori si sono esibiti tutti l’ultimo giorno d’esame. A parità di prestazioni, quindi, c’è dell’altro che influisce sulla scelta. Ciò è anche rincuorante: “Quando, dopo una sconfitta emergono inevitabilmente l’autocritica e la mancanza di fiducia, possiamo dire a noi stessi, con relativa certezza, che la battuta d’arresto non ha a che fare con i nostri errori, difetti o punti deboli. Molto più probabilmente, è legata a qualcosa di casuale come un a data o un orario”, chiosa Barabási.

La battuta d’arresto non ha a che fare con i nostri errori, difetti o punti deboli. Molto più probabilmente, è legata a qualcosa di casuale come un a data o un orario

Un esempio? La Gioconda. È stata per secoli uno dei molti dipinti di valore del Louvre, ma divenne il capolavoro che noi tutti conosciamo solo dopo che nel 1911 venne rubata in pieno giorno, e per il furto fu arrestato, ingiustamente, nientemeno che Picasso.

Che nel mondo dell’arte i processi culminanti nel successo non dipendano intrinsecamente dalle prestazioni è evidente più che in altri ambienti proprio perché nell’arte contemporanea il talento è difficilmente misurabile, eppure Barabási ha costruito modelli predittivi in grado di tracciare le traiettorie degli artisti nel tempo con precisione assoluta. Da cosa dipende in questi casi il successo? Dai ponti sociali, quegli “hub” capaci di accelerare il percorso di un artista, o il cosiddetto “contesto”. Basquiat e Diaz alle origini erano indistinguibili, facendo parte dello stesso duo dal nome Samo (da The same old [shit]), anzi il secondo era stato persino citato in un libro di Norman Mailer, ma fu il primo a raggiungere una fama stratosferica, perché era un inguaribile tessitore di reti. Mentre Diaz taceva la loro comune identità, Basquiat rivelò il sodalizio al Village Voice per cento dollari e non esitò ad avvicinare Andy Warhol al ristorante, la prima volta che lo vide, e questi alla lunga divenne una sua sorta di mecenate.

Ma l’indipendenza del successo dalle (sole) prestazioni e il fatto che queste siano inevitabilmente limitate (per quanto veloce possa correre un corridore nei cento metri, nessuno scenderà mai sotto una certa soglia) non implica che i risultati non possano essere veramente eccezionali, in termini di fama e di danaro. La seconda legge del successo infatti dice che: “Le prestazioni sono limitate ma il successo illimitato”, le prime infatti si dispongono secondo una curva a campana, un po’ come le caratteristiche fisiche in generale, mentre il secondo segue una legge di potenza: ossia è scalabile. Il successo genera successo: la ricompensa si diffonde e si riproduce autonomamente, perché il pubblico (che ne è di fatto il “generatore”) può facilmente aumentare a dismisura.

E infatti la terza legge, che è un'equazione, ci dice che: Successo futuro= successo precedente x fitness” , una sorta di giustificazione matematica dell'adagio secondo cui i ricchi diventano sempre più ricchi (il cosiddetto effetto Matteo nel cui Vangelo si dice: “A chiunque ha verrà dato e vivrà nell’abbondanza”). La fitness altro non è, prendendo a prestito il termine dalla teoria dell’evoluzione, la capacità intrinseca che ha un prodotto/processo/idea di vincere la concorrenza di altri, e questa grandezza, ancora una volta, non è indipendente dall’influenza sociale, ossia l'opinione che altri hanno di un prodotto influisce sulla nostra. In ciò non c’è niente di male: “L’influenza sociale è essenziale per la sopravvivenza degli esseri umani. Probabilmente è ciò che ci impediva di mangiare funghi velenosi o dare troppa confidenza a una tigre”.

L’influenza sociale è essenziale per la sopravvivenza degli esseri umani. Probabilmente è ciò che ci impediva di mangiare funghi velenosi o dare troppa confidenza a una tigre

Spesso leggiamo libri che ci sono stati consigliati, prenotiamo hotel che sono maggiormente recensiti in internet, compriamo prodotti pubblicizzati da persone che sono “superstar delle nostre reti”. Barabási chiama questo fenomeno “collegamento preferenziale” e di fatto esso promuove un prodotto/processo/idea indipendentemente dal suo valore oggettivo (ma il valore oggettivo sarà distinguibile da quello percepito?): sono stati condotti diversi esperimenti che hanno mostrato come il successo sia una profezia che si autoavvera: è stato sufficiente che su alcuni progetti, scelti a caso, venisse dato l’appoggio di alcuni, pochi, sconosciuti e questi progetti, una volta “attivati”, in una sorta di reazione a catena, si sono trasformati in successi. Ecco perché chi ha una buona idea deve crederci sempre e crederci da subito, cercando nelle proprie reti chi possa caldeggiarli. Tanto più il mecenate è “famoso” tanto maggiore è la probabilità che vadano in porto egregiamente.

Il successo è una profezia che si autoavvera

Alla luce di tutte queste considerazioni si capisce come la Rowling abbia venduto incommensurabilmente di meno quando volle mettersi alla prova con lo pseudonimo di Robert Galbraith: Harry Potter aveva già “superato la barriera” e il suo successo aveva raggiunto dimensioni scalabili cosicché la firma dell'autrice era sufficiente a garantirsi la fiducia dei lettori. Ma agli esordi ben dodici editori avevano rifiutato il primo manoscritto della fortunata serie e se non avesse trovato il suo “angel” non ce l’avrebbe forse mai fatta! Lo stesso insuccesso (relativo) conobbe Stephen King quando pubblicò come Richard Bachman.

Siamo poi portati ad attribuire autorevolezza a chi già conosciamo: chi ricorda i nomi dei membri della band di Norah Jones? Quasi nessuno. Eppure il batterista o il chitarrista sono fondamentali tanto quanto lei alla riuscita di un suo concerto. Ma la dura, quarta, legge del successo ammonisce: “Anche se il successo di squadra richiede varietà ed equilibrio, il merito dei risultati del gruppo viene attribuito a un solo individuo”. Ecco che quindi se all’inizio di carriera può essere significativo lavorare per grossi nomi (i famosi “hub” come Warhol per Basquiat, importanti nodi catalizzatori di successo della propria rete lavorativa), a un certo punto diviene imperativo distaccarsene per non esserne fagocitati.

Ma mai disperare però, la quinta e ultima legge del successo assicura chese si persevera, il successo può arrivare in qualsiasi momento”. Non è vero quello che diceva Einstein secondo cui “una persona che non abbia dato il suo grande contributo alla scienza prima dei trent’anni non lo darà mai”, semplicemente da giovani si ha generalmente maggior possibilità di produrre. Guarda caso l’articolo più citato del famosissimo fisico è quello sull’entaglement, che scritto nel 1953 a ben 53 anni.

Ogni nostro progetto è come fosse una possibile palla da mandare in buca, secondo l’equazione, dimostrata da Barabási e la sua squadra, S=Qv, dove S è il successo, Q il talento innato di ciascuno nel “trasformare un’idea in una scoperta” e v la potenzialità dell’idea. Chi ha un grande talento, e pare che Q sia un invariabile nel corso della vita, può trasformare anche idee non proprio brillanti in un successo. L’importante è continuare a crederci, e a provare. E se ciò non accade, spiega Barabási: “Può ben essere che stiate seguendo la vocazione sbagliata. […] Trovate la vocazione in cui il vostro fattore Q si accorda ai vostri sogni e avrete molte più possibilità di avere successo”.

Trovate la vocazione in cui il vostro talento si accorda ai vostri sogni e avrete molte più possibilità di avere successo

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