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Medicina a Padova nei secoli: gli ebrei e l'università

In Europa gli ebrei svolsero fin dall’età medievale un ruolo di primo piano nella storia della medicina e con l’Università di Padova in particolare, con i suoi docenti e con i suoi studenti, intrecciarono nei secoli rapporti di reciproco scambio culturale.

A Padova già nel 1255, dunque fin dai primi tempi di attività dello Studio, l’ebreo Bonacasa traduceva in latino i Principi generali di medicina di Averroè (1126-1198) con il titolo di Colliget, mentre Hillēl ben Samuel negli stessi anni volgeva dal latino all’ebraico la Chirurgia magna di Bruno da Longobucco (inizio XIII secolo -1286), terminata sempre a Padova nel 1253.

I medici ebrei per molti secoli non poterono ottenere la laurea, anche se questo non impediva loro di esercitare. La fiducia nella loro competenza professionale è testimoniata dalla loro presenza come archiatri, cioè come medici personali, alla corte di papi, imperatori, dogi, visir e sultani.

Il giurista Bartolo da Sassoferrato (1314-1357), nel suo commento al Corpus iuris civilis, spiegava che gli ebrei, essendo esclusi per legge da ogni carica pubblica assieme ad apostati ed eretici, non potevano ottenere la laurea, perché ciò avrebbe conferito loro una giurisdizione sugli studenti. A tal riguardo, ricordava il caso che gli venne sottoposto di due brillanti studenti ebrei dell’Università di Parigi a cui venne negato il titolo dottorale. I Giuristi dello Studio di Padova come Ubaldo degli Ubaldi (1327-1400), Giasone de Maino (1435-1519), Angelo degli Ubaldi (1328-1407?) e Filippo Decio (1454-1535 ca.) confermarono e ribadirono più volte la stessa posizione.

A dispetto di questo divieto, dai primi anni del XV secolo, iniziarono a comparire nelle fonti le prime attestazioni di ebrei laureati in medicina per mezzo di dispense papali. Questo fenomeno continuò fino a metà del Cinquecento, per coronarsi nel 1529 quando il giudeo Jacob Martino, già dottore in medicina, salì in cattedra nello Studio bolognese.

A Padova invece il medico, umanista e rabbino Leone di Vitale (Yehuda ben Yechiel), il 27 febbraio 1470, rilasciava il titolo dottorale ad uno studente israelita. Il privilegio di conferire lauree a studenti ebrei gli era stato concesso dall’Imperatore Federico III che aveva nominato Leone cavaliere.

Tra i diritti dell’imperatore vi era infatti quello di attribuire le lauree e, conseguentemente, la possibilità di delegare altri in questo esercizio. Questa facoltà compariva tra i privilegi dei conti palatini che rilasciarono a Padova lauree a studenti fino al 1615 quando questo diritto venne abrogato.

Sebbene le lauree conferite dai conti palatini avvenissero “al di fuori dello Studio”, da moltissimi indizi risulta certa la frequentazione di ebrei nell’Università degli Artisti. Un esempio di queste frequentazioni è il caso di Mosè Bonavoglia (1395-1445 ca.), inviato dai sovrani aragonesi nel 1416 nello Studio di Padova per perfezionarsi in medicina e che ritroviamo più tardi citato come dottore in arti e medicina.

Qualche tempo dopo, nel 1480, giunse a Padova da Candia il medico, filosofo e traduttore Elia del Medigo (1455 ca.-1492/3), probabilmente il più autorevole interprete israelita della filosofia aristotelico averroista del XV secolo in Italia, oltre che grande conoscitore dell’opera di Mosè Maimonide. Elia ebbe modo di confrontarsi pubblicamente con i docenti dello Studio e in una sua opera testimonia di aver scritto trattati in latino proprio per farli leggere ai dotti nelle loro accademie. All’università discusse delle tesi sulla causalità divina confrontandosi con Antonio Pizzamano (1461/2-1512), Domenico Grimani (1461-1523) e Girolamo Donà che esortò Elia a scrivere trattati. Domenico Grimani invece sosteneva l’attività di traduzione (e beneficiò delle cure mediche) di Abramo di Balmes (morto nel 1523), il grammatico e filosofo laureatosi in arti e medicina con dispensa papale di Alessandro VII.

All’Università di Padova Del Medigo incontrò anche il giovane studente Pico della Mirandola, iniziandolo allo studio dell’ebraico e traducendo per lui molti testi dall’arabo e dall’ebraico. Pico apprese invece le derive del cabalismo – che Elia aveva demistificato filologicamente – da Yohanan Alemanno, uno studioso laureato a Padova dieci anni prima da Leone di Vitale.

In questa attività di traduzione e stampa in latino di fine Quattrocento vanno menzionati anche gli aforismi di Mosè Maimonide che terminavano con una aperta critica al metodo di Galeno: per Maimonide (1135-1204) l’osservazione diretta del corpo umano costituiva un momento fondamentale per la conoscenza e la pratica medica che non poteva essere trascurato. Mosè anticipava in questo modo le posizioni di anatomisti come Berengario da Carpi (1460 ca.-1550), Gabriele Zerbi o Alessandro Benedetti (1450-1512) che aprirono la strada al fondamentale contributo di Andrea Vesalio (1514-1564) nel Cinquecento.

Talvolta furono le grandi personalità dello Studio come Gabriele Falloppia (1523-1562), Girolamo Fabrici d’Acquapendente (1537-1619) e Galileo Galilei a promuovere lauree di ebrei; Galilei in particolare appoggiò la laurea dell’ebreo mantovano Davide Pantaleone, nipote di Abraham, il grande medico che curò, tra gli altri, il re di Napoli Ferdinando d’Aragona, Galeazzo Maria Sforza e Giovanni dalle Bande Nere. Abraham riuscì a guarire da una ferita il condottiero una prima volta, ma una seconda inferta da un colpo di falconetto costò a Giovanni l’amputazione dell’arto, senza comunque evitargli di morire di cancrena.

Tra il XVI e la fine del XVIII secolo l’Università di Padova divenne il più grande centro di insegnamento in Europa per gli scolari ebrei, in un clima di sostanziale tolleranza e protezione promosso dalla Serenissima, che andava in controtendenza rispetto al resto d’Europa. A Padova giungevano scolari provenienti da lontane comunità d’Europa.

Nel 1616 venne istituito il Collegio veneto e gli ebrei cominciarono ad addottorarsi in quella sede: è stato calcolato che tra il 1619 e il 1721 non meno di 149 ebrei si laurearono a Padova, stima che sale a 325 se calcolata fino al 1816. Questi studenti erano esentati dall’obbligo di indossare l’infamante berretta rossa che tutti gli ebrei erano tenuti a portare al di fuori del ghetto, segno distintivo che, in diverse forme, restò in uso a Padova fino alla caduta della Serenissima nel 1797.

Questo non significa che gli studenti israeliti non fossero soggetti a vessazioni: nel giorno della laurea dovevano offrire al bidello 170 libbre di dolci in 35 pacchetti che sarebbero poi stati distribuiti a ognuna delle nationes, corporazioni di studenti suddivisi per provenienza.

Ma ancora più deplorevole era il continuo ripetersi, a opera degli studenti dello Studio di Padova, di furti di cadaveri ebrei da dissezionare: sebbene la comunità israelitica avesse cercato di impedirlo anche pagando una tassa e avesse costruito un nascondiglio per riporre le salme prima della sepoltura, la pratica continuò a lungo, tanto che il Senato veneziano dovette intervenire più volte per scoraggiarla.

Certamente tra tutti i dotti medici ebrei che si laurearono nello Studio di Padova tra Sei e Settecento meritano almeno di essere menzionati quelli appartenenti alla famiglia Conegliano e Tobias Cohn (1652-1729); quest’ultimo stampò a Venezia nel 1708 un compendio che ebbe grande fortuna e divenne più tardi il medico del Gran visir a Costantinopoli. Salomon Conegliano (1640-1719) costruì a Padova una scuola di avviamento universitario per i giovani studenti. Il fratello Israel (1650 ca.-1717) divenne medico alla corte ottomana e amico del bailo Giovanni Battista Donà che lo convinse a svolgere una rischiosissima operazione di spionaggio con l’aiuto anche del fratello Salomon: avrebbe dovuto informare Venezia degli spostamenti dell’esercito turco che stava muovendo verso una destinazione allora sconosciuta: Vienna. Cinta d’assedio dai turchi a luglio del 1683, la città imperiale sarebbe stata liberata tre mesi dopo dalla cavalleria del re polacco Giovanni III Sobieski.

L’anno successivo polacchi, imperiali e veneziani assediarono invano Buda (che restava turca) e gli ebrei vennero accusati del fallito assedio. Così, mentre la famiglia Conegliano sventava diverse congiure ordite contro Venezia, il popolo padovano ignaro di tutto entrava nel ghetto saccheggiandolo e accusando gli ebrei di essere nemici della Serenissima.

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