SOCIETÀ

I calciatori turchi e quel saluto militare

La guerra al confine tra Siria e Turchia sta macinando morti: più di 500 miliziani uccisi e 250.000 sfollati curdi che, dopo aver dato un contributo decisivo per la sconfitta dell’Isis, devono continuare a combattere, questa volta contro l'esercito di Erdogan che ha invaso il nord-est della Siria quando le truppe americane, che difendevano il territorio cuscinetto dove stazionavano i curdi, si sono ritirate.

Il conflitto rischia di diventare sempre più aspro, anche perché Erdogan ha dichiarato che la Turchia non intende mollare il colpo, ma oltre a questo è una lotta che potrebbe sconfinare su un altro campo, quello di calcio.

La Turchia infatti ospiterà, salvo imprevisti la, finale di Champions League a Istanbul il 30 maggio dell’anno prossimo. Salvo imprevisti perché, data la situazione politica, da più fronti arrivano richieste di spostamento. In Italia il Ministro dello Sport Vincenzo Spadafora ha mandato una lettera ufficiale al presidente della Uefa: "A seguito dei gravissimi atti contro la popolazione civile curda avvenuti negli ultimi giorni e in qualità di Ministro dello Sport del Governo italiano - scrive Spadafora - le chiedo di valutare se non sia inopportuno mantenere, ad Istanbul, la finale della Champions. Consapevole delle numerose implicazioni, e rispettando l'autonomia dell'organo da Lei presieduto, mi auguro che il calcio europeo nella sua massima espressione possa, per il suo tramite, prendere la scelta più coraggiosa e dimostrare, ancora una volta, che lo sport è uno strumento di pace".

Nel frattempo, però, la nazionale turca è impegnata nelle partite di qualificazione agli Europei del 2020. In occasione della partita contro l’Albania, la squadra aveva già esultato con il saluto militare, e l’evento si è ripetuto, per ben due volte, anche nella gara contro la Francia: come esultanza dopo il gol del pareggio di Ayhan e poi alla fine del match. Le telecamere francesi hanno evitato di riprendere il gesto, anche perché in quel momento dovevano mandare in onda il replay del gol, ma dalle immagini uscite sui social sembra che i giocatori coinvolti siano sette tra quelli in campo, e un numero non precisato tra quelli in panchina.
Il ministro dello sport francese Roxana Maracineau ha richiesto una punizione esemplare, e la Uefa potrebbe procedere con un’indagine disciplinare nominando un ispettore etico.

Abbiamo chiesto a Jacopo Tognon, professore di Politiche europee dello sport e integrità all'università di Padova e arbitro del CAS (Court of Arbitration for Sport) di Losanna, se ci sono gli estremi per una sanzione: "La situazione dell'esultanza dei giocatori turchi con un saluto militare non è nuova nel mondo del calcio. Anzi a ben vedere la simbologia di questo tipo è diffusa; basti pensare al giocatore del Milan Piatek che mima una sparatoria ed è chiamato "il pistolero". Dunque in sé il gesto non ha potenzialità offensive così vaste. Va però contestualizzato diversamente se diventa di gruppo e se il riferimento diventa esplicito a situazioni di paesi in conflitto, quasi a rappresentare plasticamente un endorsement. C'è la possibilità che la Uefa possa avviare un procedimento di natura disciplinare. L'esito dell'indagine, allo stato attuale, non è facilmente prevedibile".

Oltre all'incertezza della sanzione Uefa, c'è un'altra questione da considerare: quanti dei sette giocatori stigmatizzati dalla stampa in questi giorni sono realmente favorevoli al massacro dei curdi? L'errore più grande, infatti, sarebbe quello di giudicare le loro azioni come se vivessero in un regime democratico. Così non è, e se è vero che la protesta contro le ingiustizie è sempre lodevole, nonché particolarmente lodata nel mondo dello sport, possiamo ragionevolmente supporre che per Megan Rapinoe protestare contro Trump sia relativamente più facile che per un giocatore turco schierarsi contro Erdogan non facendo il saluto militare.

Gli esempi delle persecuzioni dei dissidenti da parte del governo turco non sono sintetizzabili in un articolo, ma limitandoci all'ambito sportivo, ricordiamo Hakan Şükür, ex giocatore dell'Inter e della nazionale turca che dopo il ritiro si era impegnato proprio nel governo di Erdogan. Dopo l'inchiesta sulla corruzione che aveva colpito il presidente turco, si era un po' allontanato dal cieco sostegno che veniva richiesto ai deputati, e così nel 2016 il governo ha spiccato per lui un mandato di cattura e gli ha sequestrato tutti i beni. Şükür è fuggito in California, mentre i suoi genitori sono stati arrestati e per ora può sentirli solo per telefono. Sempre che gli Stati Uniti gli confermino il visto, altrimenti sarebbe costretto a tornare in Turchia, con un epilogo probabilmente scritto.

Cambiando sport, il cestita Enes Kanter dei Boston Celtics si era limitato a esprimere delle critiche nei confronti di Erdogan. La polizia turca aveva reagito facendo irruzione nella casa dei suoi genitori e portando via ogni apparecchio elettronico, mentre i passaporti venivano revocati. In seguito, la sua famiglia lo ha disconosciuto, e il padre ha scritto: "Enes non potrà più portare il nostro nome perché lo sta infangando contro la Turchia. Con profonda vergogna mi scuso con il nostro presidente e con tutto il popolo turco per avere un figlio del genere." Messaggio che non gli ha evitato una pena di 15 anni nelle carceri turche.
 

Le domande a questo punto sono lecite: se il governo turco si aspettasse il saluto militare da parte dei giocatori impegnati nelle qualificazioni, questi sarebbero liberi di non farlo? E farlo significa davvero avallare il massacro dei Curdi? Non è un caso che Kanter, sempre molto attivo quando si tratta di critiche al nazionalismo turco, non si sia volutamente espresso nei confronti dei calciatori della nazionale. Chi lo fa, magari avvolto dalla coperta della democrazia, dovrebbe prima chiedersi se sarebbe pronto a rischiare la vita, sia la propria che quella dei propri familiari, per amore di un ideale.

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