CULTURA

Emanuele Severino, filosofo dell’essere

È difficile spiegare in poche parole l’importanza del pensiero del recentemente scomparso Emanuele Severino, figura conosciutissima anche al di fuori dei circoli intellettuali, a suo agio a parlare tanto dalla cattedra universitaria quanto dalle colonne delle testate giornalistiche più diffuse. Per questo ci rivolgiamo a Vincenzo Milanesi, filosofo e rettore dell’università di Padova dal 2002 al 2009, ma soprattutto amico di Emanuele Severino e profondo conoscitore del suo pensiero.

Non c'è dubbio che quella di Emanuele Severino sia una delle figure più importanti del dibattito filosofico della seconda metà del Novecento, in Italia e non solo”, spiega Milanesi nell’intervista a Il Bo Live, soffermandosi poi sul suo percorso umano e intellettuale. Severino si forma all'università di Pavia avendo come maestro Gustavo Bontadini, che poi lo porta con sé all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Precocissimo, libero docente ha 21 anni dopo una laurea con tesi su Heidegger (il quale, come sappiamo oggi, in privato leggerà e commenterà i suoi scritti), si impone rapidamente all'attenzione del panorama filosofico.

Daniele Mont D'Arpizio intervista il prof. Vincenzo Milanesi. Riprese e montaggio di Elisa Speronello

Nel 1964 esce sulla ‘Rivista di Filosofia Neo-scolastica’ il suo articolo Ritornare a Parmenide, in cui riprende e sviluppa le tesi che aveva già espresso nel volume La struttura originaria (1958); segue un periodo fecondissimo di dibattiti con il suo stesso maestro Bontadini e con altri esponenti della filosofia italiana, al termine del quale lo stesso Severino chiede alla Congregazione della dottrina della fede, l’ex Sant’Uffizio, di verificare la coerenza del suo pensiero con il magistero cattolico. Al termine di una lunga e approfondita istruttoria il responso della commissione, presieduta da padre Cornelio Fabro, è negativo, spingendo Severino a lasciare definitivamente Milano per Ca’ Foscari a Venezia. “Per Emanuele Severino la morte è solo apparenza, non ha senso quindi parlare di una risurrezione – continua Milanesi –. Parmenide sostiene in uno dei suoi frammenti più famosi che l'essere è, mentre il non essere non è: da questo punto di partenza Severino nega la possibilità di ogni passaggio da cioè che è a ciò che non è, che invece era stato ammesso sia da Aristotele che da Platone, il cosiddetto parricida di Parmenide”.

In un’epoca in cui è stata teorizzata la necessità di un pensiero debole, quello di Severino è assolutamente forte

Diversi sono i campi di cui Severino si è occupato nei suoi numerosi interventi, dalla politica alla scienza, soprattutto in quest’ultimo caso per esprimere preoccupazione rispetto alle derive tecnocratiche e violente. Dappertutto ha  lasciato un’impronta profonda nel dibattito filosofico e culturale: “In un’epoca in cui è stata teorizzata la necessità di un pensiero debole, quello di Severino è un pensiero assolutamente forte, e nella filosofia contemporanea una provocazione di questo livello e di questa grandezza è certamente un eredità interessante”.

Per Severino dunque la morte non significa annullamento e scomparsa, bensì uscita da una situazione di precarietà e di instabilità. Non sappiamo se, come insegnava nei suoi libri e nelle sue lezioni, ogni essere – anzi ogni essente – è eterno: quello che è certo è che il suo pensiero continuerà ad essere studiato da molti e a lungo.

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