SCIENZA E RICERCA

La vita diventa on demand: Heidegger, Darwin e rane artificiali

All’eroismo di api e betulle, ingaggiate da Martin Heidegger nella vana resistenza della natura alla violenza della tecnica, oggi potrebbe affiancarsi quello di alcune rane africane, le Xenopus laevis. Era il 1954 e il pensatore tedesco ribadiva con toni angosciati e angosciosi, che tanta breccia hanno fatto tra i dipartimenti di filosofia, il suo monito contro la tecnicizzazione del mondo, l’impoverimento dell’Essere e la riduzione dell’uomo a cosa tra cose. “La betulla non oltrepassa mai la sua possibilità. Il popolo delle api abita dentro all’ambito della sua possibilità. Solo la volontà, che si organizza, con la tecnica, in ogni direzione, fa violenza alla terra e la trascina nell’esaustione, nell’usura e nelle trasformazioni dell’artificiale. Essa obbliga la terra ad andare oltre il cerchio della possibilità che questa ha naturalmente sviluppato, verso ciò che non è più il suo possibile, e quindi è l’impossibile” (Oltrepassamento della metafisica, tr. it. Mursia, Milano 1991, p. 64). Gli apparati delle industrie energetiche e alimentari fanno di alberi e animali non più alberi o animali, ma elementi della catena produttiva. L’uomo li pensa così, come energia da impiegare, la natura cambia stato e diventa la trasfigurazione dell’artificio. 

Alle betulle e alle api oggi Heidegger avrebbe avuto modo di affiancare anche delle rane. Le Xenopus laevis sono rane acquatiche provenienti da alcune aree dell’Africa australe, per una serie di ragioni tra i modelli più utilizzati in esperimenti di biologia evolutiva. Nelle ultime settimane queste rane hanno fatto parlare di sé in tutto il mondo grazie a un esperimento che ha visto nascere una nuova forma di vita o di robot, non è semplice capirlo. Si tratta degli xenobot, creati da un gruppo di scienziati americani dell’Università del Vermont e della Tufts University assemblando cellule staminali estratte dai suoi embrioni. Pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences, il lavoro del team statunitense è nato dall’esigenza di dettare delle funzioni e dei codici di comportamento a degli esseri viventi così come si fa con le macchine. Tra i vantaggi quello, incommensurabile, di avere a disposizione “oggetti” dotati di un istinto di autoconservazione e di adattamento che nessun robot convenzionale potrebbe mai sognare di avere. Per quanto semplice, un sistema vivente è per sua natura proiettato alla sopravvivenza, è resiliente, come direbbe Rita Pavone. E infatti gli xenobot hanno mostrato proprietà di auto-organizzazione e adattamento assolutamente peculiari. “Abbiamo tagliato il robot quasi a metà e lui si è rimesso insieme e ha ripreso a funzionare”, ha evidenziato Joshua Bongard, informatico dell’università del Vermont e coordinatore della ricerca.

Dalla farmacologia alla lotta all’inquinamento, le prospettive di impiego degli xenobot sono sconfinate. Almeno quanto gli interrogativi. Cos’è infatti uno xenobot? Cosa significa programmare la vita? Dove si colloca e come riconoscere il confine tra la natura e le “trasformazioni dell’artificiale”? 

A produrre gli xenobot, per esempio, sono stati sì i ricercatori, ma fino a un certo punto. A concepirne la struttura non è stata mente umana ma è stato Deep Green, un supercomputer che sulla base di un algoritmo in grado di simulare processi evolutivi ha definito forma, caratteristiche e modalità di assemblaggio delle cellule estratte dalle rane. I ricercatori hanno indicato degli obiettivi, in questo caso creare un organismo in grado di muoversi e di manipolare dei piccolissimi oggetti, e Deep Green ha simulato l’aggregazione di cellule con quelle caratteristiche selezionando le opzioni migliori. Ottenuto il modello di vita dal computer, i ricercatori lo hanno tradotto nella realtà con un certosino taglia e cuci. Vita on demand. I risultati sono stati sorprendenti: le cellule hanno iniziato a lavorare insieme e si sono mosse in modo coerente per esplorare l’ambiente circostante. 

From bit to it”, dall’informazione alla realtà, teorizzava il grande fisico John Archibald Wheeler, e in effetti il passo che avrebbe dovuto condurci a poter trasporre una forma di vita da un modello digitale sembra essersi definitivamente compiuto. Cosa sono infatti queste nuove forme di vita? “Non sono robot tradizionali e neppure una specie nota di animali”, spiega Bongard. “Sono una nuova classe di artefatti: organismi viventi e programmabili”, precisa lo scienziato ammesso e non concesso che parlare di una “nuova classe di artefatti” o di “organismi viventi programmabili” possa farsi rientrare nel novero delle precisazioni. Certo è che gli xenobot rendono a tutti più palese il fatto che viviamo il tempo della vita artificiale. Gli xenobot non sono soltanto “l’impossibile” delle rane o della natura, come direbbe Heidegger, essi sono l’impossibile della vita con cui urge fare i conti. 

Nel farlo occorre tuttavia tenere presente che, al di là dei moniti di Heidegger (e degli heideggeriani), da Darwin in poi natura e vita si mostrano come laboratori di forme in continua trasformazione. Ogni organismo vivente, per dirla con Hans Jonas, diventa solo lafermata temporanea di un continuo dinamismo” in un teatro in cui non ci sono più dati ma solo prodotti. Alla forza creatrice della natura si affianca oggi la forza produttiva della volontà e dell’artificio, alle forme di vita plasmate dalla selezione naturale si affiancano nuove forme di vita artificiali, eppure il salto potrebbe essere meno abissale di quel che appare. La natura che oggi conosciamo è il frutto di un gioco di prestigio, quello con cui Darwin ha trasfigurato la natura in un enorme campo di allevamento. Così come gli animali domestici sono il risultato delle azioni dei loro allevatori, gli animali selvatici sono il frutto di forze che sebbene non imputabili a nessun soggetto sono in tutto e per tutto analoghe a quelle degli allevatori. Pietro Omodeo, biologo eminente fra i più grandi interpreti dell’opera darwiniana, fa notare che con Darwin “Il rapporto tra selezione artificiale e selezione naturale acquista una fisionomia precisa: esso non viene veduto come una banale analogia e nemmeno come una metafora, ma come specchio di un’autentica corrispondenza di effetti dovuti a processi corrispondenti”. Come dire che abbiamo scoperto la natura solo specchiandola nell’artificio, abbiamo compreso la genealogia delle forme di vita solo attraverso la lente di coloro che le trasformano per professione. Prima ancora che un atto di violenza della volontà nei confronti della vita, gli xenobot potrebbero essere allora uno dei tanti riflessi di un’idea di vita ancora da elaborare.  

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