UNIVERSITÀ E SCUOLA

Scuola non vuol dire solo insegnare. Il futuro della didattica dopo lo stato di emergenza

La didattica a distanza è stata la risposta della scuola a un'improvvisa e inattesa situazione di emergenza. Si è trattato di una risposta obbligata, una forma intermedia tra scuola e non scuola che poteva, almeno per certi versi, accompagnare gli studenti per un periodo limitato di tempo. Quello che bisogna chiedersi adesso, però, è cosa accadrà dopo la fine dell'emergenza. Stiamo assistendo, infatti, alla graduale e controllata riapertura di negozi, bar, parrucchieri e musei. Viene allora da domandarsi quando e con quali modalità le scuole e le università potranno finalmente riaccogliere gli studenti nelle loro aule.

La preoccupazione di 16 intellettuali, firmatari di un appello dal titolo “La scuola è socialità. Non si rimpiazza con monitor e tablet”, pubblicato recentemente sul quotidiano La Stampa, è che le modalità didattiche sperimentate in questo periodo di emergenza portino a uno “scivolamento”, in autunno, verso un nuovo modello di scuola, dove il rapporto tra gli alunni e con gli insegnanti rischi di restare mediato da dispositivi tecnologici che, oltre ad aumentare le disuguaglianze già presenti tra gli studenti, privi la scuola di quella sua propria e irrinunciabile dimensione sociale.

L'appello in questione, sottoscritto da Massimo Cacciari, Umberto Curi, Luciano Canfora, Alberto Asor Rosa, Maurizio Bettini, Donatella Di Cesare, Roberto Esposito, Nadia Fusini, Sergio Givone, Giancarlo Guarino, Giacomo Marramao, Caterina Resta, Pier Aldo Rovatti, Carlo Sini, Nicla Vassallo e Federico Vercellone, recita, in un passaggio centrale, che: “dare superficialmente per assodata l’intercambiabilità fra le due modalità di insegnamento – in presenza o da remoto – vuol dire non aver colto il fondamento culturale e civile della scuola”. Non bisogna sottovalutare il rischio, in altre parole, di un appiattimento dell'educazione sull'istruzione.

Abbiamo approfondito la questione con il professor Mino Conte, docente di filosofia dell'educazione all'università di Padova.

“L'emergenza sanitaria ha generato una situazione didattica ed educativa inedita resasi necessaria a causa del doveroso distanziamento sociale e conseguente domesticazione di studenti e docenti. La didattica a distanza ha rappresentato una risposta obbligata, e in molti casi anche virtuosa per le scuole e le università allo stato di necessità. Ad esempio, l'università di Padova ha dimostrato di saper fronteggiare con efficienza e prontezza una situazione assolutamente improvvisa.
Per l'intero ciclo della formazione, quindi, si è trattata di un'esperienza che ha consentito di sperimentare quotidianamente mezzi e strumenti nuovi che hanno consentito di mantenere funzionanti e operative le attività.
Detto questo, abbiamo anche sperimentato molti limiti, carenze e punti cechi. Il momento è quindi opportuno per proporre una riflessione che provi a proiettare la mente e il cuore oltre la situazione presente, tentando, cioè, di pensare all'insegnamento in condizioni tali da garantire le attività in presenza”, riflette il professor Conte.

Che cosa accadrà dopo? E cosa vuol dire insegnare a distanza? Queste sono domande a cui bisogna cercare di rispondere con attenzione.
“Sono questioni che meritano una riflessione critica che possa anche smarcarsi da tutte le facili retoriche sul vecchio e il nuovo, e sull'elogio incondizionato della tecnologia”, spiega il professor Conte. “Bisogna provare a mettere in luce soprattutto le trasformazioni implicite che la didattica a distanza mette in atto.
Questa forma di didattica, mediata dalla tecnologia non è uno strumento neutrale, ma, in qualche modo, interagisce sulle condotte e le indirizza in un certo modo. In questo senso, gli strumenti non sono semplicemente a disposizione, ma sono già, in qualche modo, didattica”.

Non si tratta, quindi, di un romantico senso di nostalgia per il passato, ingiustificato tanto quanto, d'altronde, la tendenza a enfatizzare a priori tutto ciò che è “innovativo”, digitale, smart.
“Le trasformazioni messe in atto dalla didattica a distanza riguardano, piuttosto: lo statuto dei saperi e della loro fruibilità; l'idea stessa di insegnamento con finalità culturali, educative, e non solo trasmissive; la consistenza e il valore della relazione educativa e della vicinanza sociale.” chiarisce il professor Conte.
“Non è una questione di rifiuto aprioristico dell'introduzione di nuove modalità d'uso, ma si tratta semplicemente di mettere in luce alcuni punti critici. Dopotutto, è ancora lo scopo stesso delle istituzioni formative chiedersi: cosa vogliamo fare, dopo?

L'altro problema da mettere a fuoco, infatti, è il rapporto tra la didattica a distanza, stato di emergenza, e didattica futura.
“Credo che andrebbe messa in questione ogni indebita generalizzazione di quanto sperimentato in questo stato di necessità, e dunque ogni scivolamento di quanto sperimentato nella fase successiva”, argomenta il professor Conte. “Ciò che è stato messo in opera quando non si poteva fare altro, non dovrebbe rischiare di essere trascinato tout court nella fase successiva, perché si tratta di una didattica maturata e praticata nello stato di necessità.

Quello che è stato sperimentato e maturato in una situazione di emergenza non deve diventare il paradigma fondativo delle nostre modalità didattiche future. La didattica a distanza rischia di diventare un nuovo contenitore monodimensionale che chiude la pluralità delle opzioni didattiche possibili, le quali devono sempre essere pensate nelle loro potenzialmente infinite sfaccettature senza passare necessariamente attraverso le tecnologie.
Certi nuovi moduli comportamentali che abbiamo sperimentato sono maturati in uno stato di necessità che ha portato con sé delle inevitabili limitazioni delle libertà personali, ma anche di quelle didattiche.
È necessario, quindi, che ci sia un impegno per fare sì che le scelte didattiche tornino completamente in capo alla libera determinazione del singolo docente, che possa valutare in base alla propria disciplina e alle caratteristiche dei propri studenti e decidere, in base alle sue considerazioni (di cui è responsabile) di avvalersi, ad esempio, anche della didattica a distanza.

Dobbiamo maneggiare con cura, quindi, espressioni come: niente sarà più come prima. Per quanto riguarda la scuola, infatti, c'è da chiedersi: chi è che decide come sarà, e se le effettive decisioni torneranno in capo al singolo docente, ascoltando anche le esigenze degli studenti?

È importante che le modalità didattiche maturate in una situazione emergenziale non diventino, automaticamente, regola generale quando l'emergenza sarà finita. Come fa notare il professor Conte: “servirà almeno uno spazio di discussione in cui valutare le potenzialità di ciò che è stato sperimentato e non procedere per inerzia, rischiando che vengano meno elementi essenziali della relazione didattica, ai quali non è possibile rinunciare, come l'idea del binomio presenza-socialità.
Dobbiamo ricordarci che il progresso migliore si sviluppa quando ci sono condizioni democratiche e quando si mettono al vaglio diverse idee, in questo caso: diverse idee di didattica”.

“Abbiamo tutti dei ricordi, che ci accompagnano nelle nostre vite, di determinate lezioni in cui è accaduto qualcosa. Ma quanto possiamo ricordarci, a lungo termine, di una lezione a distanza? C'è qualcosa in più che succede nelle lezioni in presenza, qualcosa che accade e che ci si porta dietro nella vita. Questi sono gli aspetti che costituiscono la non riproducibilità di quello che accade a lezione. Posso riprodurre una lezione tecnicamente, certo, ma quello che viene perso è ciò che c'è di unico, e magari imprevedibile, che ha una grande potenza didattica e formativa”, conclude il professor Conte.

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