SCIENZA E RICERCA

Ricerca veterinaria: nasce un nuovo test diagnostico per le cardiopatie dei cani

Il cuore, l’intelligenza artificiale e il mondo animale, in particolare gli animali da compagnia per eccellenza dell’uomo: i cani. Tre elementi al centro di un nuovo metodo diagnostico messo a punto dai ricercatori dell'università di Padova.

La scienza veterinaria sta facendo grandi passi in avanti nella cura degli animali. Dimostrazione ne è il nuovo test diagnostico, sviluppato dall’équipe diagnostica per Immagini dell’Ospedale veterinario universitario didattico del dipartimento di Medicina animale produzioni e salute dell'università di Padova, per riconoscere in modo rapido e sicuro le cardiopatie del cane.

Non solo l’essere umano: anche i cani, infatti, soffrono le patologie del cuore che rappresentano una delle principali cause di mortalità. Anche per loro la parola d’ordine è prevenzione attraverso una diagnosi precoce: se la cardiopatia viene individuata in tempo, si possono mettere in atto protocolli terapeutici per migliorare, nei limiti, la qualità della vita dei quadrupedi.

L’esame radiografico è un passaggio fondamentale nell’iter diagnostico delle patologie cardiache canine. Il problema nella diagnosi tramite questa metodologia clinica è l’estrema eterogeneità morfologica del “paziente canino”. Nell’uomo, indipendentemente dalle dimensioni corporee, la conformazione del torace e quindi i punti di repere (le coordinate sul corpo per localizzare aree da investigare) sono standardizzati. Nel cane, invece, non è cosi: il torace delle varie razze canine, che si tratti di un bulldog, di un bassotto o di un pastore tedesco, ha una conformazione diversa e questo richiede delle attenzioni particolari. Uno dei segni radiografici più frequentemente associato alla presenza di una patologia cardiaca, nell’uomo come nel cane, è la cardiomegalia: l’ombra radiografica cardiaca risulta di dimensioni elevate per un aumento del volume o della massa del cuore causato da ispessimento delle sue pareti o a dilatazione abnorme delle sue cavità. Nel paziente canino l’interpretazione della cardiomegalia è piuttosto difficoltosa specie per un medico veterinario non specialista che svolge attività ambulatoriale. Se già dagli anni Novanta i medici veterinari “specialisti” utilizzano un sistema quantitativo per valutare le dimensioni del cuore del cane (vertebral heart score), ad oggi manca un ausilio diagnostico rapido e certo che possa aiutare i veterinari generici nella diagnosi. 

Qui viene in aiuto il nuovo modello diagnostico realizzato dall’Ospedale veterinario dell’università di Padova: “Per sviluppare e testare questo modello diagnostico legato all’intelligenza artificiale sono state recuperate tutte le immagini radiografiche del torace di cane presenti nel nostro archivio e su di ognuna di esse è stato calcolato il vertebral heart score classificandole come normale o affetto da cardiomegalia - spiega Tommaso Banzato del MAPS e autore responsabile della ricerca pubblicata -. L’algoritmo su cui abbiamo lavorato, basato sulle reti neurali convoluzionali cioè sistemi di intelligenza artificiale utili ad analizzare le immagini, è stato allenato per riconoscere la cardiomegalia su un pool di immagini radiografiche acquisite con l’apparecchio radiologico in uso all’Ovud fino al 2018”. Si tratta, per quest’ultimo, di un passaggio obbligato: serve infatti per verificare la reale capacità dell’algoritmo di riconoscere le lesioni su delle immagini radiografiche diverse da quelle usate per allenarlo: “L’algoritmo – prosegue Banzato – è in grado di intercettare le anomalie cardiache con un’accuratezza di oltre il 92%”. Risultati come questo serviranno ad aiutare il veterinario “generico” che si occupa degli animali di compagnia: “L’AI dà la possibilità di creare strumenti sempre più efficaci per assistere il complesso lavoro quotidiano”. 

Non solo: l’équipe sta lavorando anche per implementare questo strumento per individuare automaticamente la presenza di altre lesioni toraciche nel cane e pure nel gatto. 

“Questo lavoro è il frutto di una costante crescita scientifica dei giovani colleghi di MAPS che hanno coniugato l’attività di ricerca senza mai venir meno all’attività assistenziale dell’O.V.U.D. o sul territorio, anche durante il lockdown”, commenta Alessandro Zotti, direttore del dipartimento MAPS.

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