UNIVERSITÀ E SCUOLA

La scuola americana alla disfida dei quiz

Tra i tanti “successi” politici riconosciuti all’amministrazione del presidente Barack Obama, dal disgelo con Cuba alla riforma sanitaria, dall’accordo sul nucleare con l’Iran alla nuova più rigida normativa sul sistema finanziario, non figura però l’istruzione. L’agenda riformista portata avanti dalla Casa Bianca negli ultimi anni è stata ideata e poi sostenuta da una strana coalizione di conservatori e liberal che, per motivi molto diversi gli uni dagli altri, avevano perso fiducia nel sistema di scuole pubbliche e ne hanno quindi incoraggiato varie forme di privatizzazione (o perlomeno di forte intervento privato nel contesto locale, statale e federale). Questa spinta ha però sollevato molte critiche e forte opposizione, provenienti anche in questo caso sia da destra sia da sinistra. I conservatori sempre più preoccupati per quello che percepisce come diktat imposti da Washington sui distretti scolastici di tutto il Paese senza alcun riguardo per la loro autonomia e quella dei singoli Stati; i democratici guardano inquieti alla graduale implosione del sistema pubblico e all’implacabile attacco alla categoria degli insegnanti e ai loro sindacati.

Il dibattito sulla riforma dell’istruzione si è fatto talmente intenso negli ultimi mesi che ora Obama ha deciso di fare, in parte, marcia indietro. Oggetto del ripensamento del presidente sono i nuovi standard curriculari del Common Core, che sono entrati in vigore a partire dal 2010 e che impongono obiettivi più ambiziosi rispetto a quello che gli studenti di ogni ordine e grado devono saper fare alla fine di ogni anno scolastico. Più precisamente, l’amministrazione ha deciso di rivedere la grande quantità di test standardizzati che sono scaturiti dall’attuazione del Common Core e i cui risultati sono usati non solo per valutare il livello di apprendimento degli alunni, ma anche per giudicare la performance didattica dei singoli docenti e delle scuole per intero (pena rispettivamente il licenziamento e la chiusura totale).

In una dichiarazione pubblicata sul sito della Casa Bianca, accompagnata anche da un video su Facebook, Obama ha parlato delle ampie opportunità che esistono oggi per “eliminare test ripetitivi e non coordinati gli uni agli altri in modo da creare più spazio per l’insegnamento e l’apprendimento”. Queste le chiavi per la formazione delle future generazioni di americani. “Quando mi guardo indietro e ripenso ai grandi educatori che hanno influenzato la mia vita – ha affermato il Presidente - quello che ricordo non è il modo in cui mi hanno preparato a sostenere i test standardizzati. Quello che ricordo è il modo in cui mi hanno insegnato a credere in me stesso. A essere curioso del mondo. A sentirmi responsabile della mia educazione in maniera da esplorare appieno il mio potenziale”.  Al fine di mettere un freno all’esplosione nel numero dei test, l’amministrazione ha presentato un nuovo piano di azione, che non è coercitivo ma va inteso come guida per i distretti scolastici che faticano a razionalizzarne l’uso. In pratica, questo piano di azione si traduce in una raccomandazione che gli studenti non siano costretti a dedicare alla preparazione dei test più del 2% del tempo di lezione complessivo.

Questa mossa della Casa Bianca è concisa, non casualmente, con la pubblicazione di un rapporto del Council of the Great City Schools che ha rivelato che, in media, i giovani americani devono superare più di 112 test standardizzati da quando iniziano la prima elementare fino a quando si diplomano alle superiori. Il rapporto suggerisce che, quando si confrontano gli Stati Uniti con altre nazioni del mondo, non ci sono prove tangibili che tutti i test organizzati in questo Paese contribuiscano a migliorare la performance accademica dei ragazzi. 

In apparenza, il dietrofront di Obama è molto significativo, in particolare perché arriva in congiunzione alla uscita di scena, prevista per gennaio, del suo fidato segretario all’Istruzione Arne Duncan, convinto riformista e molto criticato dal pubblico. In realtà si tratta più di una mano di vernice fresca sullo stesso muro diroccato di prima che non un vero programma di ristrutturazione. “L’annuncio di Obama è più un pivot che una inversione di marcia – dice Ashley Jochim, analista al Center on Reinventing Public Education dell’università dello Stato di Washington – È una risposta naturale alla pressione in crescita tra i ranghi democratici e probabilmente offrirà copertura politica a quegli Stati che desiderano diminuire l’impatto dei test sulle scuole e sugli studenti”. Ma, come nota giustamente Jochim, il successore designato di Duncan, John King, è anch’egli un fan entusiasta del Common Core. Inoltre, a leggere tra le righe del nuovo piano d’azione della Casa Bianca, ci si accorge che di idee originali e diverse ce ne sono ben poche e, quelle che ci sono, sono molto vaghe (è importante che si amministrino solo i test che “valgono davvero la pena” e che sono di “alta qualità”). Il limite del 2% poi, quello relativo al tempo massimo che gli studenti dovrebbero passare a prepararsi per i test, è appena inferiore a quello che già si nota effettivamente sul campo: pari al 2,34% secondo il Council of the Great City Schools

Infine, bisogna ricordare che il sistema americano di scuole pubbliche rimane fortemente decentralizzato e che l’iniziativa resta comunque nelle mani dei governi statali e dei distretti scolastici. Per Obama, quindi, questo è anche un modo per farsi da parte e lasciare che l’agenda riformista vada avanti comunque a livello locale, indipendentemente dalle critiche avanzate alle sua amministrazione. “In futuro, è certo che la Casa Bianca farà il possibile per minimizzare i propri legami con il Common Core – dice Jochim – Questo per proteggere quelle iniziative statali di riforma che altrimenti sono a rischio per via dell’opposizione che teme l’eccessiva influenza di Washington”.

Una sorta di piccolo mea culpa di Obama e forse una riapertura di quel dibattito sulla riforma della scuola che pareva ormai indirizzato verso una conclusione prestabilita. 

Valentina Pasquali

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