CULTURA

Universo: meraviglioso e fragile. Come noi

Bastò una frazione infinitesima di secondo e il nulla divenne tutto. Da un unico, piccolissimo punto partì un fenomeno che in qualche miliardo di anni ci avrebbe portato alle galassie e ai pianoforti a coda. Alla vita. Il perché probabilmente non lo sapremo mai, ma sul come iniziamo a farci un’idea. Grazie anche al lavoro di studiosi come Guido Tonelli, con una carriera passata alla caccia del bosone di Higgs: la cosiddetta “particella di Dio”, teorizzata nel 1964 dal britannico Peter Higgs e dai belgi François Englert e Robert Brout. Un corpuscolo quasi inafferrabile ma fondamentale per comprendere il meccanismo che ha portato l’universo primigenio a differenziarsi in tutto quello che vediamo. Lo racconta lo stesso Tonelli nel libro La nascita imperfetta delle cose (Rizzoli 2016), nella cinquina del premio Galileo per la divulgazione scientifica. 

Lo scienziato italiano è stato infatti Spokeperson, di fatto coordinatore, dell'esperimento Compact Muon Solenoid (Cms), uno dei due grandi progetti di ricerca incaricati di dare la caccia alla più sfuggente delle particelle presso il Cern di Ginevra, il centro di ricerca dove è in funzione il Large Hadron Collider (Lhc), il grande e potente acceleratore di particelle lungo 27 chilometri (l’altro progetto era denominato Atlas ed era condotto in parallelo da un’équipe di ricercatori internazionali coordinati da un’altra italiana: Fabiola Gianotti, attuale direttrice generale del centro ginevrino).

Professor Tonelli, partiamo da quel giorno fatidico: cosa le è rimasto del momento in cui ha capito che ci eravate riusciti?

Non scorderò mai quell’8 novembre 2011, e non solo perché era il giorno del mio compleanno! Quasi non credevo ai miei occhi, ancora adesso sento la pelle d’oca. Per capire l’emozione bisogna immaginare tutte le crisi e le infinite difficoltà che avevamo affrontato nei 20 anni precedenti. Più volte eravamo stati a un passo dal fallimento, ad esempio con il disastroso incidente del 19 settembre 2008 (che danneggiò seriamente l’acceleratore e provocò l’arresto degli esperimenti per oltre un anno, ndr). Ha visto l’ultima partita del Barcellona (la remuntada con cui la squadra catalana si è qualificata al turno successivo della Champions League contro il PSG, ndr)? Le nostre emozioni erano paragonabili a quelle di un tifoso che vede la sua squadra rimontare quattro gol negli ultimi minuti. È proprio così: ci sono alcuni momenti in cui è difficile distinguere uno scienziato da un tifoso di calcio.

Perché il Bosone di Higgs è così importante? 

All’inizio probabilmente l’universo era fatto di gas indifferenziato, molto caldo e affollato di particelle elementari prive di massa. Poi qualcosa ha rotto l’equilibrio ed è nato il nostro mondo materiale. Perché si aggreghi la materia le particelle elementari devono infatti avere massa e questa deve essere specifica per ogni tipologia di particella: interagendo con le altre particelle il bosone di Higgs ha permesso loro di acquistare una massa. Poi, quando l’universo si è raffreddato, i bosoni sono scomparsi; con l’Lhc dopo anni di tentativi siamo riusciti ad estrarli dal vuoto in cui dormivano da qualche miliardo d’anni e ne abbiamo identificato alcune caratteristiche.

Ma come si fa ad “estrarre” qualcosa dal vuoto?

Vuoto non significa il nulla, è anzi un vero e proprio giacimento di materia e di antimateria. Un po’ come lo zero, che può essere visto come la somma di numeri positivi e negativi: il vuoto quantistico in un certo senso è pieno di tutto. Al Cern attraverso la collisione tra particelle elementari assistiamo continuamente alla trasformazione di energia in massa, ma lo stesso fenomeno può essere osservato anche nei ciclotroni oggi in uso in molti ospedali per la medicina nucleare. Estrarre materia dal vuoto è ormai un’operazione di routine: l’energia percuote e scalda il vuoto risvegliando le particelle che ‘dormono’ in esso, ad esempio un elettrone e un positrone. Da questo punto di vista, il nostro universo non è che una manifestazione del vuoto: potremmo dire un pezzo di vuoto ‘vestito a festa’, vario e meraviglioso. Ma sempre vuoto. 

La vostra scoperta ci illumina anche sul destino dell’universo, oltre che sulla sua origine?

Fino all’osservazione del bosone pensavamo che l’universo fosse segnato da un’espansione irrefrenabile, nel corso della quale esso si sarebbe raffreddato e avrebbe progressivamente perso la capacità di rigenerarsi. Oggi, calcolando il valore della massa del bosone di Higgs, abbiamo capito che probabilmente la stabilità di questo meccanismo non è totale né eterna. Questo ‘vuoto speciale’ in cui viviamo un giorno potrebbe lacerarsi e allora l’universo potrebbe tornare alle origini, svanendo in una bolla di pura energia. Una cosa che fa molto pensare: per millenni l’uomo ha creduto che il mondo fosse stabile ed eterno, mentre oggi scopriamo che anche la materia nella sua intima struttura è fragile e caduca, proprio come noi.

C’è anche chi sostiene che potrebbero esistere infiniti universi…

Per ora si tratta di congetture: le teorie dei multiversi non sono ancora verificate, anche se sono interessanti. Certo che, se la materia si origina da un’increspatura o dalla fluttuazione del vuoto, allora di universi potrebbero essercene tanti: alcuni simili al nostro, altri completamente diversi, che magari durano pochi istanti  o che per esempio rimangono allo stato primordiale.

La scienza moderna è davvero troppo difficile per poter essere compresa da tutti?

Ho fatto il liceo classico e al tempo trovavo mortalmente noiosa la fisica che studiavo: quella delle leve, dei fluidi e dei piani inclinati. Invece la scienza, oltre a comprendere una parte tecnica certamente importante, nella sostanza ripropone le antiche domande: da dove viene questa meraviglia che ci circonda, che fine farà? Personalmente credo non ci sia bisogno di competenze specialistiche per capire le questioni fondamentali della fisica: queste anzi potrebbero, dovrebbero essere spiegate fin dalle scuole d’infanzia. Un po’ come per musica, dove per capire grandezza di Mozart o di Verdi non è necessario saper suonare o leggere uno spartito: bastano pazienza ed educazione. Per questo anche gli scienziati devono essere capaci di raccontare a chiunque quello che fanno, sapendo all’occorrenza evitare i tecnicismi. 

Per questa ragione ha deciso di scrivere questo libro?

Sulla ricerca ho letto libri divulgativi anche molto belli e interessanti: spesso però mi sembravano freddi, descrivevano il nostro lavoro in un modo che mi sembrava molto diverso dalla vita reale, come se noi ricercatori fossimo automi razionali. È chiaro che dobbiamo tenere a bada le emozioni, ma l’ambiente scientifico ad esempio è fatto anche di fortissimi rapporti umani. Quando ancora mi incontro con i colleghi con cui abbiamo condiviso i fatti che descrivo i nostri occhi brillano, e insieme ricordiamo quei momenti in una specie di silenziosa intesa. 

Un’ultima domanda personale… Non è frustrante aver contribuito in maniera tanto determinante a una scoperta che porta il nome di un altro scienziato, che per questo nel 2013 ha vinto anche il Nobel?

Le regole del gioco erano chiare fin dall’inizio: quando un fisico sperimentale si mette alla caccia di una particella, sa già che il Nobel lo prenderà il fisico teorico che per primo l’ha teorizzata. Niente però può pareggiare la soddisfazione di vedere per primi uno stato della materia ricercato da 50 anni; di sporgersi sul bordo della conoscenza ed essere i primi a vedere più in là. Vale più dei premi, del denaro e della gloria: è per questo che uno si mette a fare ricerca. Se poi, dopo tanta fatica e un po’ di fortuna,  arriva anche la gloria…

Daniele Mont D’Arpizio

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