CULTURA

L'asino e il battello: l'economia del Mediterraneo nell'XI secolo

Viene qui pubblicato un estratto della lectio magistralis tenuta in occasione della Cerimonia di conferimento della laurea ad honorem in Scienze storiche a Chris Wickham, Emeritus Fellow of All Souls College, Chichele Professor in Medieval History, University of Oxford. Lo studioso è noto a livello mondiale per i suoi lavori comparativi sulle società del bacino del Mediterraneo durante l’alto medioevo e per i suoi studi fondamentali sulle società dell’Italia medievale in ambito urbano e rurale, realizzati con il costante apporto di fonti archeologiche e fonti scritte. Chris Wickham è autore di più di 200 pubblicazioni sulle più importanti riviste internazionali. I suoi libri sono tradotti in tutto il mondo. Ha ottenuto numerosi premi e riconoscimenti da prestigiose accademie di diverse nazioni e dalle più importanti associazioni scientifiche internazionali. Il titolo dell'intervento richiama alle due facce dell'economia del Mediterraneo nell'XI secolo, nei confronti della quale Chris Wickham propone un nuovo approccio.

Mi sono interessato alla vecchia storia dell’espansione commerciale del medioevo centrale solo qualche anno fa, quando mi occupavo della storia socio-politica di Pisa intorno al 1100, perché faceva parte dello sfondo di tanti libri e articoli su quella città nei secoli XI e XII.  Come i Vichinghi nel Mare del Nord nel IX secolo, e i Portoghesi nell'Oceano Indiano nel XVI, Pisa inizialmente diventò ricca intervenendo con la violenza in una rete commerciale mediterranea che non era loro, saccheggiando città musulmane e predando le loro navi. I Pisani del tempo pensavano che questo fosse molto eroico, e scrissero iscrizioni sulla loro cattedrale e lodi poetiche sugli attacchi a (fra gli altri) Palermo nel 1064, Mahdiya nel 1087, e Palma di Maiorca nel 1114-15. I Pisani attuali, che scrivono la maggior parte della storia della loro città, tendono anche loro ad accettare questo eroismo come parte necessaria del successo della città, che riuscì, grazie ad esso, ad assumere un ruolo importante nell’economia mediterranea nel XII secolo, fino a quando il Genovesi li rimpiazzarono nel XIII. 

Personalmente, non apprezzo tali forme di trionfalismo, per quanto temporaneo. E guardando più a fondo, ho trovato la stessa mancanza di analisi quasi ovunque.  Molti storici non sono andati in modo significativo al di là del quadro concettuale del lavoro di Roberto Lopez, riassunto nel suo La rivoluzione commerciale del 1971, per il quale, detto un po’ schematicamente, la crescita demografica causò il progresso agricolo, che a sua volta causò più eccedenze di quante potessero essere scambiate;  questo, più la 'libertà e il potere' delle città italiane – a differenza, apparentemente, di quelle musulmane – e i loro contratti commerciali e operazioni di credito flessibili, sarebbe stato sufficiente per creare la rivoluzione commerciale 'europea' dei secoli centrali del medioevo. Per la verità, quando Lopez completò la sua carriera con questa sintesi, il suo modello era già superato. Fustat e il Cairo non compaiono nel suo indice, ma quattro anni prima Shelomo Goitein aveva pubblicato il primo volume del suo A Mediterranean society, sulle attività commerciali su scala mediterranea delle comunità ebraiche di Fustat, i cui documenti e lettere in giudeo-arabo, soprattutto dai secoli XI e XII, furono gettati nella geniza della sinagoga di Ben Ezra, una delle due sinagoghe principali di Fustat nel nostro periodo. La geniza non è un archivio, ma un enorme bidone di carta straccia, centinaia di migliaia di pezzi di carta, perché molti ebrei dell’epoca ritenevano che ogni scritto fosse parola di Dio, e dunque non potesse essere distrutto. Negli ultimi anni, il libro di gran lunga più significativo sulle questioni economiche della geniza è stato Trade and institutions in the medieval Mediterranean di Jessica Goldberg, del 2012. Sulla base di tutto questo lavoro, è stato possibile stabilire un quadro chiaro di un livello mediterraneo del commercio dei mercanti ebrei, iniziato alla fine del X secolo, ben prima che le città italiane mettessero piede in mare – tranne un po’ (ma solo un po’) Venezia; questo commercio si incentrava sulla vendita di lino egiziano alla Sicilia e alla Tunisia musulmane per essere trasformato in panni di lino e rivenduto, o all'interno di quelle due regioni, o alla Spagna musulmana, oppure di nuovo in Egitto. Tale commercio rimase denso almeno fino ai primi anni del XII secolo, costituendo la rete di scambio dominante sul mare.  Grazie a Goitein e ai suoi successori, dunque, la rete della geniza è stata ormai annessa al quadro storiografico focalizzato sull’Occidente, che Lopez ereditò dai suoi predecessori. È ormai generalmente riconosciuto che i Pisani (e i Genovesi e Veneziani) semplicemente si aggiunsero a questa rete con la forza nei primi anni del XII secolo, e questa fu la situazione degli anni successivi: un mondo mediterraneo dominato dalle navi genovesi e veneziane e dalla produzione egiziana (come anche milanese e fiorentina).

Ora: questa immagine non è di per sé drammaticamente sbagliata. Ma è parziale; e fuorviante perché parziale. Perché anche solo un pensiero ai fondamenti dell’economia vi ricorderà che la maggior parte dello scambio non è trasporto internazionale, ma locale e regionale. Bisogna coltivare prodotti vegetali, allevare animali o estrarre metalli e pietre, a livello locale; solo allora hai in mano qualcosa da scambiare, a livello sia locale/regionale (che è la situazione più comune) che interregionale. Chi produce? Chi vende? Chi compra? Dove si avvia il motore dello scambio, e come continua? Queste sono le questioni che daranno forma all'infrastruttura di scambio. La rete marittima dipende interamente da questa infrastruttura; senza di essa, la merce non arriva nemmeno alla costa. Il livello locale è il nocciolo; è necessario iniziare da lì se si vuole comprendere il sistema economico nel suo complesso. E questo significa studiare l'asino, non il battello. È un cliché della storia medievale che il trasporto sia molto più economico, forse di un fattore di 20:1, in barca che a terra, e questo in generale è vero; ma le merci erano, in ogni parte del Mediterraneo, portate a dorso di asino o mulo, prima di raggiungere i battelli – anche i battelli del Nilo, poiché, naturalmente, dobbiamo riconoscere l'importanza del Nilo nell’economia egiziana. Le lettere arabe sono piene di riferimenti agli asini, e giustamente da lì dobbiamo partire.

Chris Wickham

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