CULTURA

Bruno Munari. L’arte per tutti, tra aria e terra

Un atleta si dà la spinta, stacca i piedi da un cubo rosso e salta. All’ingresso del palazzo, un film sperimentale del 1964 dilata a tre minuti la durata di un rapidissimo salto mortale. Si apre così, con Tempo nel tempo, la mostra Bruno Munari: aria | terra, curata da Guido Bartorelli del dipartimento dei Beni culturali dell’università di Padova e promossa dalla Fondazione Palazzo Pretorio onlus e dall’associazione Bruno Munari. I due poli scelti, aria e terra, si rivelano già nel video proposto all’entrata, dichiarando le intenzioni di un allestimento che alterna stanze contemplative e stanze del fare. Gli spazi di Palazzo Pretorio a Cittadella accolgono un’esposizione che anticipa il ventennale della scomparsa di Bruno Munari (Milano, 1907-1998) e accompagna sia il catalogo Corraini, che vanta un comitato scientifico composto da docenti dell’ateneo di Padova e verrà pubblicato a giugno 2017 per documentare non solo l’allestimento ma anche le attività svolte durante la mostra, sia la nuova edizione di Fantasia (Laterza), ‘manifesto’ del 1977 in cui Munari attraversa con coraggio i territori dell’invenzione, della creatività e dell’immaginazione nelle comunicazioni visive, regalando pensieri rivelatori della sua anima innovatrice. “C’è un Munari artista, c’è un Munari designer, c’è un Munari della pedagogia e della didattica. Sembrano tanti, in realtà si tratta di un unico percorso”, spiega Bartorelli. Sperimentatore di nuove forme d’arte e di laboratori didattici (per bambini ma anche per adulti), a lui va riconosciuto un precoce superamento dell’opera chiusa a favore della fluente processualità del fare.

“La fantasia è libera di pensare a cose assolutamente inventate, nuove, mai esistenti prima – scriveva Munari – […] L’invenzione usa la stessa tecnica della fantasia, cioè la relazione fra ciò che si conosce, ma finalizzandola a un uso pratico. Si inventa un nuovo motore, una formula chimica, un materiale, uno strumento”. E, così, anche l’allestimento di Palazzo Pretorio si muove tra contemplazione e azione. Nel primo polo espositivo la leggerezza fisica e concettuale definisce il pensiero libero dell’artista e si compone di spazi vuoti, opere e visitatori in movimento: si va dalle Proiezioni dirette degli anni Cinquanta alle opere che nascono come visualizzazione di un teorema matematico, Concavo-convesso degli anni Quarantae le Curve di Peano degli anni Settanta. E ancora, dalle Macchine inutili degli anni Trenta e Quaranta (Munari viene considerato l’ultimo futurista), figure che reagiscono alla nostra presenza, in silenziosa relazione con gli impercettibili spostamenti d’aria, alla lampada Falkland e la serie Filipesi, passando per la documentazione della fase progettuale della Stazione meteorologica di Rende e del Giocattolo per il vento, fino a Far vedere l’aria, due happening del 1969 (documentati dal film di Gianfranco Brebbia e dalla serie fotografica di Ugo Mulas), arricchiti dalle preziose e divertenti “istruzioni per l’uso di forme rivelatrici da lanciare dall’alto di una torre” proposte dallo stesso Munari, semplici forme geometriche da riprodurre per sperimentare l’aria come elemento fisico: “Chiunque può fare questo esperimento – spiega Munari al punto D delle istruzioni -, la carta da disegno è dal cartolaio, le forbici ci sono, le istruzioni pure, anche le mani. Provate”. E al punto E: “Provate a fare altre forme”. Al punto F: “Ancora (poiché le precedenti non andavano bene)”. Infine, al punto G: “Queste sì”.

Il secondo polo si concentra sulla terra e introduce, per la prima volta in una mostra d’arte, le stanze del fare, o meglio del “fare per imparare”: spazi dove accogliere i bambini e realizzare esperienze didattiche brevi, in una dimensione che stimola la sorpresa e la scoperta, “un esperimento – commenta Bartorelli -perché i laboratori duravano di più. Qui invece, in accordo proprio con l’associazione Bruno Munari, abbiamo provato a ridurre il tempo dell’esperienza. In mostra si possono sperimentare delle azioni sulle quali Munari componeva i suoi laboratori”. Ecco allora La strada dei sassi, che invita a trovare legami tra gli oggetti, oppure Lascia la tua impronta, spazio dove lasciare una traccia utilizzando materiali insoliti, Il gioco del filo di lana blu, dove produrre “fotocopie originali” da osservare o con le quali creare una storia partendo da un filo caduto casualmente sul piatto della fotocopiatrice, infine I giochi di luce da scoprire nel buio, utilizzando pile di diversa resa. “Per Munari l’artista deve stimolare al fare. Quello che propone non è semplice pedagogia, ma una sorta di performance. Il laboratorio didattico diventa arte”. L’arte per tutti e di tutti, l’idea di una creatività diffusa, l’esperienza e non il risultato finale, l’opera d’arte come multiplo e non più come pezzo unico: un elenco parziale di atti rivoluzionari, di pensieri tradotti in pratiche concrete, in esperienze messe in atto da un vero innovatore “di cui la storia dell’arte – conclude Bartorelli – è chiamata a rivelare il potenziale ancora inesplorato”. La mostra è a ingresso libero, scelta che sarebbe sicuramente piaciuta allo stesso Munari.

Francesca Boccaletto

 

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