I Queen posano in uno scatto della fine degli anni Ottanta. Foto: Everett Collection/Contrasto
Decine di pianeti orbitano coloratissimi sulla volta bianca della copertina di un disco a 33 giri. Al centro un giocoliere lancia, sorridente coi baffi e una folta parrucca bionda, tutti i suoi variopinti mondi. In basso, in leggera prospettiva, il titolo, Innuendo.
Usciva trent’anni fa, il 5 febbraio 1991, Innuendo, quattordicesimo album in studio dei Queen, disco epico e conclusivo della grande band rock inglese.
Si inaugurava, è proprio il caso di dirlo, un anno musicale fra i più floridi di sempre. Un ’91 che darà luce ad album celeberrimi come Achtung Baby degli U2, Nevermind dei Nirvana, “Metallica” dell’omonima band americana, “Dangerous” di Michael Jackson, ma anche i REM, i Pearl Jam, e altri.
Il 1991 è anche l’anno della scomparsa di Freddie Mercury, il 24 novembre 1991, oggi, trent’anni fa. La musica sa però avvolgere e coprire ogni cosa, anche le nubi scure, le note più dolorose.
Innuendo significa, in italiano, insinuazione. È un disco maturo, complesso, coinvolgente, e poi certo, a causa della condizione di salute di Freddie, il meno radioso, forse il più “riflessivo” della discografia Queen.
C’era da aspettarsi, da parte di Freddie Mercury, Brian May, Roger Taylor, John Deacon, il solito cambiamento di rotta e le solite critiche, il consueto disorientamento giornalistico. Solcare acque tutte le volte diverse, pur conservando immutata la cifra dello stile, non piaceva a chi preferiva il facile ascolto “accorciato” alla radio o l’omologazione ai fini commerciali. Il pubblico invece premia l’impresa: in brevissimo tempo il singolo (e l’album subito dopo) scala le classifiche d’Europa e d’oltre oceano.
La title track Innuendo è una canzone nata da improvvisazione, ispirazione, commistione di stili, una lunga e moderna Bohemian Rhapsody quindici anni dopo. Una traccia che non avrà mai, e questo è il rimpianto più grande, un’interpretazione dal vivo, per l’impossibilità da parte di Mercury, molto malato, di esibirsi.
Il motivo spagnolo di chitarra da bolero di Steve Howe, chitarrista degli Yes (che si trovava in quei giorni negli Studios per registrare) si fa simbolo di grande autonomia di stile e di accordo fra generi.
Il testo, carico di significati, è un inno alla libertà. La voce di Freddie erompe con un’energia e una potenza che fanno impressione:
While we live according to race, colour or creed
While we rule by blind madness and pure greed
Our lives dictated by tradition, superstition, false religion
[…]
You can be anything you want to be
Just turn yourself into anything you think that you could ever be
Be free with your tempo be free be free
Surrender your ego be free be free to yourself
Quindi l’insinuazione: Show yourself - destroy our fears - release your mask.
Mostriamo il volto, abbandoniamo maschere e costumi; esibiamo la “diversità”, libera da paure e pregiudizi.
Se la copertina si ispira a una celebre illustrazione di Jean-Jacques Grandville, The Juggler, diventando subito un’allegorica e fantasmagorica icona rock, nel videoclip i quattro della band sono rivisti creativamente secondo la matita di Leonardo (a rappresentare Mercury); il pennello di Picasso (Deacon); di Pollock (Taylor); e il segno delle incisioni vittoriane (May).
È, ancora una volta la celebrazione del colore, del valore “creativo” della differenza.
“ Show yourself - destroy our fears - release your mask