SOCIETÀ
“Via dalla ricerca le mani della politica”: gli storici si appellano a Mattarella
La politica non cerchi di controllare la ricerca. È questo il senso dell’appello rivolto al presidente della Repubblica Mattarella da tre storici contemporanei dell’università di Padova – Giulia Albanese, Filippo Focardi e Carlo Fumian – che dallo scorso 27 febbraio ha raccolto centinaia di firme tra studiosi, riviste scientifiche, istituti ed enti culturali e di ricerca. Motivo della preoccupazione la mozione n. 29 approvata dal Consiglio regionale del Veneto lo scorso 24 febbraio, con la quale si chiede alla Giunta regionale di “sospendere ogni tipo di contributo a favore di tutte quelle associazioni che si macchiano di riduzionismo e/o di negazionismo nei confronti delle foibe e dell’esodo istriano, fiumano e dalmata”.
“Il documento – si legge nel testo dell’appello – ambisce a fissare l’inquadramento storico del fenomeno delle foibe e dell’esodo, riportando però dati numerici in contrasto con quelli su cui converge la storiografia più attendibile e avvalorando una tesi interpretativa univoca, quella della pulizia etnica e del genocidio, anch’essa scientificamente controversa”. Nella mozione contestata, che si ispira a un analogo documento votato dal Consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia nel 2019, viene ad esempio indicato in 12.000 il numero degli italiani assassinati e infoibati e in 350.000 quello di istriani, fiumani e dalmati costretti dal regime di Tito ad abbandonare la propria terra: cifre che però non trovano riscontro nelle ricerche attualmente più accreditate, a cominciare da quelle condotte da Raoul Pupo dell’università di Trieste, già invitato al Quirinale nel 2012 dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano come relatore ufficiale in occasione del Giorno del Ricordo.
“L’appello nasce da una preoccupazione che non è legata solamente a questo singolo atto politico ma a un problema più ampio, diffuso anche a livello europeo, ovvero la possibilità che sulla base di istanze politiche venga limitata la possibilità di fare e raccontare la ricerca storica – spiega Giulia Albanese, docente di storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze storiche, geografiche e dell’antichità ( DiSSGeA) –. In particolare la mozione al Consiglio regionale ci ha subito colpiti perché parte da presupposti non sempre fondati storicamente; a volte i numeri non bastano a restituire l’importanza e la drammaticità di un evento storico, ma quando si parla di riduzionismo e poi si prendono come riferimento dati non sostanziati dalla ricerca storica tutto diventa ancora più problematico. Gli studiosi vogliono parlare di foibe ma chiedono di farlo liberamente, anche con interpretazioni e sfumature diverse da quelle stabilite dal potere politico: cosa che non significa affatto sminuirle”.
“ Gli storici vogliono parlare di foibe ma chiedono di farlo liberamente
Meno di un anno fa il Presidente Mattarella, assieme al suo omologo sloveno Pahor, ha voluto imprimere un’accelerazione al percorso di pacificazione e di condivisione della memoria, sulla base della verità storica e del reciproco riconoscimento delle sofferenze dei rispettivi popoli prima. Un processo culminato nella simbolica riapertura del Narodni Dom, la casa di cultura slovena di Trieste. “La questione non si pone solo per le foibe – chiarisce Filippo Focardi, direttore scientifico dell’Istituto nazionale Ferruccio Parri –, la grande maggioranza degli storici italiani si è sempre pronunciata contro ogni tipo di legislazione antinegazionista”. Il riferimento è alla legge 16 giugno 2016, n. 115, citata nella mozione votata al Consiglio veneto, che attribuisce rilevanza penale alle affermazioni negazioniste della Shoah e, dei crimini di genocidio, contro l'umanità e di guerra, e che a sua volta deriva dalla recezione di una decisione quadro del Consiglio dell’Unione Europea nel 2008. Focardi ricorda che “già dal 2007, quando ci fu una prima iniziativa di legge in questo senso da parte dell’allora ministro della giustizia Mastella, gli storici italiani si schierarono compattamente contro. Si temeva quello a cui stiamo assistendo, ovvero che una lettura estensiva di questi limiti potesse colpire la libertà di ricerca e di espressione”
“La storia ha esattamente lo stesso bisogno di precisione delle altre scienze, sia dal punto di vista quantitativo che lessicale: parlare genericamente di ‘riduzionismo’ e di ‘giustificazionismo’ è al contrario pericolosamente vago”, aggiunge Carlo Fumian, direttore del Centro di Ateneo per la storia della resistenza dell’età contemporanea (Casrec). “Sono favorevolissimo a combattere il negazionismo, ma non a introdurre nel campo della storiografia una verità stabilita a priori, peraltro sulla base di dati poco scientifici. Ora il fatto che enti politici e amministrativi, manifestamente privi di competenze, si dedichino a questa attività di valutazione è estremamente grave: concetti come riduzionismo e giustificazionismo rischiano di essere branditi come una clava per punire chi viene considerato un avversario”.