Ursula von der Leyen torna a rimarcare che saranno clima e ambiente i capitoli sui quali si giocherà il destino dell’Europa. «Durante i miei 5 anni di mandato vorrei riuscire a dimostrare che il Green deal conviene a tutti», ha ribadito la presidente della Commissione Europea, fresca di nomina e di entusiasmi, in un’intervista di fine anno a Repubblica. «Prima o poi tutto il mondo si dovrà allineare alla filosofia del Green Deal», ha proseguito. «E allora noi dovremo farci trovare nel ruolo di pionieri, con un vantaggio competitivo sugli altri. Dovremo essere noi a imporci sul mercato mondiale, non a subirlo come troppe volte è successo in passato». Il Green Deal prevede, tra l’altro, di ridurre a zero le emissioni inquinanti nette prodotte dai paesi dell’Unione Europea entro il 2050 (con un calo del 50/55% già entro il 2030).
Come dire: l’unica forma di sviluppo possibile dovrà obbligatoriamente passare attraverso l’assoluto rispetto della sostenibilità. Che soltanto con questo requisito potrà diventare competitivo. Partire per tempo potrebbe offrire all’Unione Europea una posizione di straordinario vantaggio. Teoria corretta, di lungo sguardo (evento che nelle attuali politiche non accade così di frequente). Ma tradurre in pratica i buoni propositi sarà tutt’altro che semplice.
La tassa sulle frontiere del carbonio
Restiamo ancora un attimo alla teoria, all’European Climate Law, la nuova legge europea sul clima che dovrebbe essere varata nei primi mesi del 2020. E che potrebbe far diventare l’Europa il primo continente “climate-neutral” entro i prossimi trent’anni: vale a dire un’area dove le emissioni di Co2 che continueranno a essere prodotte saranno compensate da corrispondenti assorbimenti. Un obiettivo ambizioso che richiederà un’enorme revisione a livello legislativo di una serie di norme connesse alla produzione. A partire dalla proposta di “carbon border adjustment”, per evitare che le aziende europee per risparmiare (le emissioni saranno tassate) “esportino” la loro produzione (e loro emissioni) in paesi con legislazioni più tolleranti, per poi farle rientrare in Europa. In sostanza, prezzi d’importazione legati al contenuto di carbonio prodotto. Norme che peraltro dovranno essere adottate in sintonia con la Wto (l’Organizzazione mondiale per il commercio) per non lasciare spazio a ricorsi e a rivalse. Trovare un punto d’equilibrio non sarà semplice, come sottolinea il Financial Times: «La proposta di un cosiddetto adeguamento delle frontiere del carbonio sottolinea il modo in cui l'UE sta cercando di stimolare sia la politica verde, sia adottando un approccio più muscoloso per proteggere i suoi interessi commerciali di fronte alle minacce competitive degli Stati Uniti e della Cina». L’introduzione di una tassa sulla Co2diventerà comunque un potente strumento per cambiare i modelli di produzione.
Efficienza energetica, traporti, agricoltura
Naturalmente l’European Climate Law non si occuperà soltanto del clima. Sul fronte energetico, diremo addio entro i prossimi trent’anni a carbone e lignite, ma non a gas e nucleare, che il Parlamento Europeo e gli stati membri dell’Ue hanno deciso di “salvare” dalla black list dei combustibili, inserendoli nella categoria della “transizione”, nel rispetto del principio “do not significant harm” (nessun danno significativo). Una soluzione di compromesso che ha trovato il voto favorevole dei paesi che dipendono da quelle fonti d’energia (Francia e Repubblica Ceca per il nucleare, Italia e Germania per il gas). Oltre all’energia pulita, la legge toccherà anche il tema dell’efficienza energetica(con adeguamento a determinati standard per edifici pubblici e privati, compresi quelli già esistenti). Il capitolo trasporti annuncerà auto soggette a nuovi parametri, più severi, d’inquinamento atmosferico. Mentre circa il 75% delle merci che viaggiano su strada dovrebbero essere trasferite su rotaia e su vie navigabili. Per quanto riguarda l’agricoltura, le nuove misure (strategia “farm to fork”)punterebbero a ridurre drasticamente la possibilità di utilizzo di pesticidi chimici, fertilizzanti e antibiotici.
D’altra parte i rischi del non agire, del non intervenire, sono ben noti: 400mila morti premature ogni anno in Europa per colpa dell’inquinamento(ma ci sono recenti studi che di fatto raddoppiano la stima, indicando nel continente europeo 790mila decessi l’anno, con un enorme aumento del rischio di malattie cardiovascolari e polmonari). E poi: 2,2 milioni di persone esposte a inondazioni, estinzione del 16% delle specie animali. Uno scenario catastrofico da cui fuggire prima possibile. E magari trasformare questo passaggio in un’opportunità per lo sviluppo e la crescita dell’Europa. Perché la svolta ecologista potrebbe diventare un potenziale toccasana per l’economia in affanno dell’Eurozona: le stime indicano un potenziale aumento del Pil generale pari al 2% e la creazione di oltre 2 milioni di nuovi posti di lavoro.
Una difficile mediazione
Fin qui gli obiettivi, i desideri. La realtà è però ben diversa. Per Ursula von der Leyen si tratterà, nei prossimi mesi, di vincere le resistenze dei paesi che più fanno fatica, per vari motivi, ad accettare di far parte del cambiamento. Nonostante la promessa di un forte sostegno economico ai paesi che più soffriranno nella fase di transizione, con la creazione di un apposito fondo (von der Leyen ha parlato di un piano da mille miliardi di euro). Esempio sia la Polonia, che a livello energetico dipende più di altri dal carbone e che difatti non ha ancora firmato il pre-accordo sulle emissioni zero da raggiungere entro il 2050: se ne riparlerà nel giugno 2020. Ma non è detto che il fronte dei favorevoli sia poi così compatto. Interessante l’analisi degli economisti Marzio Galeotti e Alessandro Lanzasu lavoce.info: «Il coinvolgimento del pubblico e di tutti gli attori interessati in un patto climatico europeo che verrà lanciato a marzo 2020 sembra mirato a fare leva sui movimenti di piazza, ormai molto numerosi e destinati prossimamente a farsi sentire ancora di più, al fine di superare il vero ostacolo alla realizzazione dell’ambiziosissimo piano: il Consiglio europeo. Scontata l’approvazione dell’Europarlamento, il problema sta soprattutto in alcuni stati membri “antagonisti” o per meglio dire “sovranisti” dell’Unionei quali, sfruttando il meccanismo ormai datato di votazione e approvazione, cercheranno di rallentare, annacquare, e in ogni caso ottenere compensazioni. Ai fini dell’intervento a favore del clima, ma non solo, Ursula von der Leyen dovrà dedicare molti sforzi alla riforma delle procedure e del meccanismo di voto degli organi esecutivi dell’Unione».
È tuttavia evidente che un cambio di passo c’è già stato: da una forma di “vigilanza” sul comportamento degli Stati membri, l’Unione Europea è passata alla fase della proposta.Anche scomoda, anche difficile da attuare. Ma indispensabile per attuare una svolta che sempre più appare inevitabile, sia a livello comunitario sia di ogni singolo Stato. Come spiega Cesare Damiano, ex ministro del Lavoro, in un suo recente intervento sul ruolo che dovrà assumere l’Italia: «Gli interessi nazionali esisteranno sempre a fianco della necessità di unire le forze all’interno dell’Unione europea per divenire competitivi mentre, al tempo stesso, si batte il sentiero della neutralità ambientale in concorrenza con chi - quella neutralità - non la persegue affatto», scrive Damiano su Ipsoa. «Ecco perché l’Italia deve assumere un’attitudine nuova e sedersi a quel tavolocon tedeschi, francesi e tutti i “soci” europei che parteciperanno attivamente a questa nuova fase. Si deve andare a “vedere il gioco” e farne parte. Restare al margine di questa nuova fase sarebbe un suicidio».