CULTURA

Michelangelo e Leonardo, lo scontro inevitabile

Pare che il successo di pubblico e di critica sia stato molto alto, nei giorni scorsi. Così il 19 e 20 novembre prossimi torna al cinema Michelangelo – Infinito, il film di Emanuele Imbucci (regista) con Enrico Lo Verso che interpreta Michelangelo Buonarroti e Ivano Marescotti nei panni di Giorgio Vasari.

Intanto molti in Italia si apprestano a celebrare un altro grande, Leonardo da Vinci, in occasione del mezzo millennio dalla morte, che cadrà il prossimo anno, il 2 maggio 2019, per la precisione.

Tra questi due giganti dell’arte – e non solo dell’arte – italiana vi sono molti punti in comune. Difficile parlare dell’uno senza fare riferimento all’altro. Intanto è stato proprio Giorgio Vasari, nel suo celebre Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori del 1550, a metterli in connessione. E al più alto livello possibile. Già, perché secondo il personaggio interpretato da Ivano Marescotti in pittura la perfezione assoluta è stata raggiunta a Firenze tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento, a opera di tre grandissimi: Raffaello Sanzio nato a Urbino nel 1483; Michelangelo Buonarroti nato a Caprese nel 1475 e Leonardo nato a Vinci nel 1452. 

Giorgio Vasari non è il solo a pensarla così. Michelangelo e Leonardo sono legati in maniera indissolubile perché, pur nella loro diversità, rappresentano insieme al più giovane Raffaello il genio assoluto – addirittura la perfezione ineguagliabile - in pittura.

C’è una domanda cui non è semplice rispondere: come tre geni assoluti, che da soli potrebbero caratterizzare l’intero Rinascimento, protagonisti sulla scena artistica e, quindi, culturale di ogni tempo e luogo abbiano manifestato la loro creatività nel medesimo periodo e nella medesima (e tutto sommato piccola) città, Firenze? 

Forse non basta dire che esiste una diffusa e potenziale genialità – un potenziale creativo enorme – in tutte le società umane, di ogni tempo e luogo. Ma perché questo potenziale creativo si trasformi in attuale occorre il giusto contesto: una serie di condizioni adatte. I fisici le chiamano condizioni al contorno. Non c’è dubbio: a Firenze, tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento, le condizioni al contorno sono ottimali. E così i tre geni assoluti possono manifestare le loro straordinarie ma latenti potenzialità.

Ma Michelangelo, Leonardo e Raffaello non sono geni isolati. Firenze brulica di grandi artisti. Solo che loro – i ragazzi provenienti da Vinci, Caprese e Urbino – superano tutti gli altri di una spanna. E giustamente è a loro che Giorgio Vasari attribuisce la fondazione della “maniera moderna”, la terza e più evoluta fase dell’arte che si è sviluppata in Toscana e in Europa dopo i tempi (considerati) bui del Medioevo. 

Un altro legame tra Michelangelo e Leonardo riguarda proprio la Firenze culla dell’arte e ospite di straordinari maestri. Le loro botteghe sono autentiche fucine di geni. C’è, per esempio, la bottega di Filippo Lippi, presso la quale nel 1460 entra a lavorare Sandro Botticelli. E c’è la bottega di Andrea Verrocchio, presso la quale sono apprendisti Leonardo da Vinci in persona, oltre a Pietro il Perugino e Domenico il Ghirlandaio. Questi ultimi due diventeranno ben presto a loro volta maestri, tra i più fortunati. Il primo, il Perugino, avrà come allievo Raffaello Sanzio. Il secondo, il Ghirlandaio, avrà come allievo Michelangelo Buonarroti. È dunque dalla “cerchia” del Verrocchio, che emergono i tre titani capaci di raggiungere la “somma perfezione”. Leonardo, Michelangelo, Raffaello. Una simile concentrazione di genio artistico non si è mai vista, probabilmente, in nessun altro luogo e in nessun altro tempo. Nella piccola Firenze questo concentrato emerge tutto in una sola bottega (o, almeno, in una sola filiera di botteghe). 

Ma il discorso sulle città creative meriterebbe ben altro spazio. Ritorniamo dunque a Michelangelo e Leonardo, entrambi raffigurati da Raffaello nella celeberrima Scuola di Atene. Ed entrambi espressione di quell’arte rinascimentale che ha nella scienza – in tutta la scienza, dalla geometria all’anatomia – il proprio background culturale. I due, insieme ai tanti altri artisti che lavorano a Firenze, hanno il grande merito di aver spalancato le porte alla scienza nell’unico dei tre continenti connessi (Asia, Africa e appunto Europa) che ancora non l’aveva conosciuta. Michelangelo e Leonardo (e Raffaello) vanno a buon diritto inclusi nel novero dei pionieri della “rivoluzione scientifica” del Seicento. Ma anche in questo caso avremmo bisogno di ben altro spazio per parlarne in maniera sufficientemente approfondita.

Il Bo Live lo farà nel prossimo futuro.

Focalizziamoci, per adesso, sul fatto che i due, Michelangelo e Leonardo, si sono fisicamente incontrati. E scontrati

Il nostro racconto parte quando il governo di Firenze, su suggerimento di Niccolò Machiavelli (toh, un altro genio), dopo anni di incomprensione si ricorda che Leonardo è un pittore e il 24 ottobre 1503 gli offre di dipingere una scena di battaglia su una delle pareti della Camera del Consiglio appena realizzata a Palazzo della Signoria. Il tema del dipinto, dopo accese discussioni, viene infine concordato: Leonardo ricostruirà la battaglia di Anghiari, combattuta e vinta da Firenze contro Milano nel 1440.

Intanto il governo fiorentino incarica un altro pittore – giovane, ma di cui si dice un gran bene, Michelangelodi dipingere l’altra parete della sala, per rappresentare la battaglia di Cascina, vinta da Firenze contro Pisa nel 1364.

È qui che inizia il contrasto. Leonardo, che ha superato i cinquanta, non è convinto della scelta che lo mette in competizione con un ragazzo di soli ventinove anni. Non che Leonardo non abbia un’ottima considerazione del ragazzo. Ma, insomma, c’è pur sempre un limite…

Quanto a Michelangelo, è certo un genio. Ma è anche molto ambizioso e nutre non poca gelosia nei confronti del grande Leonardo. La storia del ragazzo somiglia non poco a quella del pittore da Vinci. Michelangelo è in grado di esprimere il suo grande talento già in giovane età, come ha fatto Leonardo tre decenni prima. I due hanno i medesimi gusti sessuali. E tuttavia non mancano le diversità. Leonardo è figlio illegittimo, sia pure di un influente notaio. Michelangelo è, al contrario, figlio legittimo di una famiglia dell’alta borghesia con pretese di nobiltà. Leonardo soffre per i suoi natali che certa società non gli perdona. Michelangelo invece li ostenta, i suoi natali. E tuttavia rode dentro: perché lui è brutto, al contrario di Leonardo che è considerato ancora un uomo bellissimo. Ciò contribuisce a rendere Michelangelo un misantropo dal pessimo carattere. Leonardo è un uomo di mondo, invece, che ama stare in compagnie allegre. Ancora: Michelangelo è estremamente religioso, al contrario di Leonardo non è certo un baciapile e neppure un uomo che soffre la sua fede.

Lo avrete intuito, lo scontro tra questi due geni così uguali così diversi è inevitabile

Michelangelo ha la lingua lunga. Certo, non nasconde né a se stesso né agli altri che Leonardo è un grande. Ma, va spettegolando: il pittore nato a Vinci è un genio poco professionale, che non rispetta gli impegni. Che non prende sul serio la pittura. È uno che il suo genio lo spreca. E che per questo non è da ammirare. Al contrario, è da disprezzare.

I due, probabilmente, si sono incontrati abbastanza spesso a Firenze. E non hanno mai legato. La competizione per i dipinti delle due battaglie fa aumentare la distanza tra i due. Ma il disprezzo di Michelangelo cresce quando, nel 1504, Leonardo viene nominato nella commissione che deve decidere dove collocare il David realizzato dal giovane e brillante Buonarroti. È un’opera a cui Michelangelo tiene moltissimo. E ne ha ben donde. Avendo poi una discreta autostima, si aspetta che tutti riconoscano la meraviglia di quella scultura e che chi di dovere la collochi in un luogo della città degno di lei. Non ha tutti i torti: non ha fatto in tempo a realizzarla che già molti sostengono che quella statua sia la cosa più bella mai prodotta dall’uomo. Filippino Lippi, che fa parte della commissione che deve decidere, propone che il David venga posto in magnifica evidenza, davanti a Palazzo Vecchio. Ma Leonardo esprime un parere molto diverso. Suggerisce di collocarla in un luogo appartato, sotto la Loggia della Signoria, dove in genere alloggiano soldati. Il motivo ufficiale è per proteggerla, essendo costituita di un marmo delicato. Ma aggiunge, voce dal sen fuggita, sia messa in una nicchia, in modo da non disturbare il passaggio dei soldati

È chiaro: anche Leonardo è geloso del collega.

La sua proposta tuttavia viene respinta. Il David viene collocato nella posizione migliore. Ma Michelangelo, nonostante la vittoria, se la lega al dito. E va proclamando al colto e all’inclita che l’invidioso e disprezzabile Leonardo ha brigato per nascondere il suo capolavoro. 

È evidente che quei due titani sono ormai in rotta di collisione piena. Le voci, non documentate eppure verosimili, dicono che lo scontro aperto tra i due si consuma di lì a qualche giorno. Pare che Leonardo stia passeggiando come suo solito per strada e venga fermato da un gruppo di ammiratori che gli chiedono chiarimenti in merito ad alcuni dettagli dell’Inferno di Dante. Forse il maturo pittore non vuole o si sente in grado di rispondere o forse, chissà, solo per sfida, vedendo dietro un angolo il suo giovane avversario che sbircia la scena, si rivolge ai suoi interlocutori e dice: «Michele Agnolo ve lo dichiarerà egli».

La frase si presta a diverse interpretazioni. Michelangelo opta per la peggiore e la prende per un insulto. Fatto è che sbotta: «Dichiaralo pur tu, che facesti un disegno di uno cavallo per gittarlo in bronzo, et non lo potesti gittare, et per vergogna lo lasciasti stare. Et che t’era creduto da que’ capponi de’ Milanesi».

Il giovane autore del David fa riferimento alla grande statua – la più grande di ogni tempo – dedicata a Francesco Sforza e ordinata da Ludovico il Moro che Leonardo ha progettato ma non ultimata. 

Le parole di Michelangelo colpiscono nel segno. Non è l’unico, Michelangelo, a sostenere che Leonardo è inaffidabile, perché non porta quasi mai a termine un’impresa. Così, colpito, l’artista che viene da Vinci non reagisce e si allontana. L’episodio, però, lo getta nello sconforto. Tra i suoi appunti di quel periodo ne troviamo alcuni in cui prevale il rammarico. Si chiede se i suoi critici non abbiamo qualche ragione, se nella sua vita abbia mai portato a compimento un’opera. Se abbia mai fatto qualcosa di buono.

Ma questa tesi è solo una nostra lettura. Leonardo ha ormai una buona autostima. E infatti decide di non abbandonare affatto i pennelli e di portarla a termine quella che ormai a Firenze è nota come “la battaglia delle battaglie”. 

Così la Camera del Consiglio, lì a Palazzo della Signoria, diventa, per dirla con Benvenuto Cellini la «scuola del mondo»: dove e quando mai si sono trovati a confronto due geni di tale livello? 

Per tre anni Leonardo lavora e alla fine del 1504 porta a termine il cartone della Battaglia di Anghiari, qualche mese prima che Michelangelo faccia altrettanto con la Battaglia di Cascina. Ma, ancora una volta, Leonardo ha difficoltà a completare l’opera. D’altra parte questo è un prezzo che deve pagare a un successo senza precedenti. La Battaglia di Anghiari non verrà mai completata. Ma anche la Battaglia di Cascina resta incompiuta perché anche Michelangelo lascia Firenze per Roma. Lo ha chiamato papa Giulio II per dipingere la volta della Cappella Sistina. 

Nessuno vince la “battaglia delle battaglie”, per ritiro di entrambi i contendenti. Alla “scuola del mondo” si sono tenute poche lezioni.

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