Quelli che ricordano la prima missione sulla Luna immaginano il primo sbarco su Marte come una nuova avventura umana nell’esplorazione del Sistema Solare, che si realizzerà nei prossimi anni. In realtà, se risolveremo i problemi del viaggio che mettono a rischio la salute degli astronauti, secondo i progetti l’invio di umani per un mese sul pianeta rosso seguirà delle tappe di circa un decennio. Gli ultimi congressi internazionali ne rivelano alcuni dettagli.
I lettori più anziani ricorderanno l’epopea dell’Apollo 11, la partenza del colossale razzo Saturno V verso la Luna e lo sbarco di Armstrong e Aldrin nel Mare della Tranquillità, il 20 luglio 1969 in diretta mondiale radio e TV. Io ero bambino allora, e ricordo sul piccolo schermo in bianco e nero la cronaca RAI raccontata dal giornalista Tito Stagno e, a Houston, da Ruggero Orlando. Come in un film, tre astronauti raggiunsero la Luna in quattro giorni e due di loro scesero con un lander sul suolo lunare in un continuo svolgersi di avvenimenti. Oggi si parla di sbarcare sul pianeta Marte nei prossimi anni e diverse ditte private e agenzie spaziali collaborano per portare avanti questa impresa. Ma lo sbarco su Marte, previsto intorno al 2035, sarà ben diverso da quello dell’Apollo 11 e potrà comprendere anche 16 lanci diversi in più anni per preparare la partenza e il ritorno. Secondo il documento rilasciato dalla NASA all’inizio di quest’anno, le missioni saranno sviluppate seguendo possibilmente il ciclo di analisi strategica denominato SAC21: preparazione della missione, lancio dei lander senza equipaggio, assemblaggio nello spazio del sistema di trasporto interplanetario (DST), sbarco per una missione di un mese e ritorno sulla Terra. Un insieme di missioni che partirà una decina di anni prima del primo sbarco.
Arrivare su Marte presenta delle difficoltà molto maggiori dello sbarco sulla Luna. Il viaggio di andata interplanetario durerà mesi ed esporrà gli astronauti e la strumentazione al bombardamento radioattivo delle particelle cosmiche, che in orbita terrestre invece sono schermate dal campo magnetico del nostro pianeta. Questo risulta essere il problema principale, poiché una lunga esposizione alle particelle cosmiche genera un’altissima probabilità di sviluppare tumori. Una volta risolto questo problema con opportune schermature (che ancora non ci sono), bisognerà affrontare quello dell’invecchiamento dovuto alla gravità zero nel viaggio. Le condizioni insolite nelle stazioni spaziali influenzano gli organi, abituati a funzionare sulla Terra, e si è scoperto che generano uno stress ossidativo dei mitocondri all’interno delle cellule. Esso produce vari squilibri del corpo umano, noti da un decennio di studi sulla Stazione Spaziale Internazionale. Per essere ottimisti, supponiamo che entrambi le difficoltà siano state superate nel giro di alcuni anni e che la missione possa iniziare – non solo nelle parole di capi politici ed economici – senza grandi problemi alla salute degli astronauti.
Perché inviare esseri umani su Marte, al di là del valore – tutto sociale – di una nuova conquista e del superamento di un altro limite per il genere umano? Diversamente dalle macchine, gli esseri umani possono compiere ricognizioni veloci, fare esperimenti non ripetitivi in base alle precedenti deduzioni, interpretare le caratteristiche geologiche e prendere decisioni sulla missione. Astronauti esperti di Geologia o di Astrobiologia possono decidere quali rocce campionare, quali stratigrafie esplorare estraendone campioni da analizzare, e identificare subito campioni insoliti presenti al suolo. Laboratori di analisi su Marte possono essere usati in modo più efficiente, permettendo di decidere se prelevare altri campioni o andare più in dettaglio in base alle scoperte appena fatte. D’altro canto, i robot compiono meglio analisi ripetitive e con maggiore precisione, e possono andare in ambienti rischiosi per gli umani. Dotati di intelligenza artificiale, possono essere molto utili nell’esplorazione. Inoltre, non hanno bisogno della stessa protezione dall’ambiente marziano né di essere alimentati e non creano rifiuti organici da smaltire né contaminazione biologica. Ma operare con robot comandandoli dalla Terra ha un ritardo eccessivo, fino a 20 minuti; un buon compromesso potrebbe essere operare con robot comandati da astronauti in orbita o su un rover pressurizzato.
Cosa prevedono i progetti attuali? La missione inizierà tra dieci e sei anni prima dello sbarco. In quel periodo dovranno essere lanciati e montati in orbita lunare il Transit Habitat che ospita l’equipaggio, i serbatoi di propellente, il sistema di propulsione e tre landers. I landers 1 e 2 atterreranno su Marte dopo due anni, mentre un serbatoio e il lander 3, che arriverà due anni dopo gli altri due, resteranno in orbita marziana in attesa degli astronauti. Quattro anni prima dello sbarco verranno lanciati i pezzi di una stazione modulare che conterrà la struttura Deep Space Transport, agganciata al Transit Habitat e al sistema di propulsione. Questi elementi verranno montati nello spazio in un punto di equilibrio tra Terra e Luna (punto Lagrangiano). Una volta che questa “stazione interplanetaria” sarà assemblata, un anno prima dello sbarco una navetta Orion porterà quattro astronauti verso la stazione, con la quale partiranno verso il pianeta rosso. Nel frattempo verrà fatta atterrare sul pianeta la piattaforma di rientro, indispensabile per ripartire. La durata del viaggio nella migliore delle ipotesi e con i mezzi attuali durerà 10 mesi. Nel frattempo poiché i pianeti si muovono nella loro orbita intorno al Sole, la distanza tra la Terra e Marte sarà cambiata. All’arrivo, per una missione al suolo di 30 giorni, metà dell’equipaggio dovrà restare in orbita quasi due mesi. Comunicare con la Terra sarà critico, perché per percorrere il tragitto tra i due pianeti i segnali radio impiegano dai 3 ai 22 minuti, secondo la loro reciproca distanza. Questo ritardo tra i due interlocutori aumenterà la sensazione di isolamento dell’equipaggio durante la missione. Il periodo critico per le comunicazioni sarà quando Marte visto dalla Terra sarà allineato con il Sole, e le onde radio non potranno essere ricevute da nessuna delle due parti. Questo avviene approssimativamente ogni 778 giorni e può durare dai 60 agli 80 giorni. Per evitare questo silenzio radio, sarà necessario inviare un satellite “ripetitore” nello spazio tra Marte e Terra, una ulteriore complicazione. Tenendo conto di questo, si prevede che il periodo giusto per lo sbarco sia nel 2039. Alla fine della missione inizierà il viaggio di ritorno, che può durare anche 17 mesi. La stazione interplanetaria arrivata intorno alla Terra potrà scaricare l’equipaggio e far salire a bordo una nuova squadra per un'altra missione.
Come si vede, la missione non sarà una semplice avventura sul pianeta rosso, ma un insieme di operazioni che durano per più di 10 anni e che sono precedute da robot, landers e altre apparecchiature di supporto e studio del pianeta. Gli astronauti dovranno restare nello spazio per circa un anno e mezzo, con tutte le conseguenze dell’esposizione alle radiazioni cosmiche e alla gravità zero. Se l’espansione umana è davvero inarrestabile e se la sete di esplorazione è stata esaltata nella storia e nella letteratura, da Pitea a Odisseo, da Colombo a Magellano, probabilmente tra meno di 20 anni avremo impronte umane sulle sabbie di Marte nonostante i rischi. Ma una volta raggiunto il pianeta, ci sarà mai una stazione permanente, o le missioni finiranno come il progetto Apollo sulla Luna? Alcuni capi economici e di governo danno per scontato la presenza di una base marziana negli anni ’30-’40 di questo secolo, forse troppo presto. Sappiamo che molte imprese umane di esplorazione sono riuscite con un mix di coraggio nell’affrontare rischi sconosciuti e di capacità tecnica per andare e tornare in sicurezza. Per i primi umani su Marte, sarà la temerarietà a prevalere?