CULTURA

Venezia 1600: il Ghetto e la città degli ebrei

È forse il quartiere più famoso di Venezia, ma nei secoli è diventato sinonimo di emarginazione e di segregazione. Eppure ghetto – assieme a ciao una delle parole venete più conosciute al mondo – nasce come toponimo: un gruppo di case intorno a una fonderia, geto o getto appunto.

Al di là dei luoghi comuni il ghetto non nasce nel medioevo ma è in qualche modo un’invenzione della modernità. Già nei cosiddetti secoli bui le comunità ebraiche tendevano a concentrarsi in determinate zone delle città, dove venivano predisposti luoghi e servizi essenziali come la sinagoga, il cimitero, il macello kasher e il bagno rituale per le abluzioni. Spesso gli ebrei furono limitati nei movimenti e costretti a portare segni di riconoscimento, ma vi furono anche periodi in cui godettero di una certa libertà, anche perché una comunità ebraica fiorente favoriva i commerci e lo sviluppo economico della città. Inoltre gli ebrei eccellevano anche nell’esercizio della medicina, tanto che nelle fonti veneziane le prime presenze sporadiche registrate alla fine del Duecento sono essenzialmente legate proprio a quest’arte. Va ricordato a questo riguardo che lo Studium patavino permetteva agli stranieri la frequenza dei corsi e numerosi, nel corso dei secoli, furono gli ebrei che conseguirono il titolo di medicus presso l’università di Padova.

Intervista di Daniele Mont D'Arpizio; montaggio di Elisa Speronello

Nella città lagunare le prime comunità furono registrate al Lido, dove nel 1386 fu concesso un terreno presso San Nicolò in cui insediare il cimitero, e a Mestre, dove furono collocati i banchi di prestito al servizio della città capitale e a proposito della quale nel 1483 Marin Sanudo sottolineava: “qui sta molti zudei et à una bella sinagoga”. In città avevano il permesso di entrare solo i prestatori e le loro famiglie e per pochi giorni, in modo da poter svolgere la loro attività.

Le cose cambiarono in modo radicale all’inizio del Cinquecento, quando Venezia si trovò a fronteggiare praticamente tutte le potenze europee nella guerra scatenata dalla Lega di Cambrai. Singoli e famiglie presenti a Mestre e in altri luoghi della Terraferma per fuggire ai saccheggi e alle vessazioni ripararono nella capitale, dove si concentrarono soprattutto nelle contrade attorno a Rialto. A fronte di tale situazione la signoria, in un clima di crescente ostilità religiosa, nel 1516 decise di indicare un luogo specifico di abitazione per la minoranza ebraica: un’isola della parrocchia di San Girolamo a Cannaregio, separata dal resto della città e subito munita di due porte d’ingresso da chiudere durante la notte.

Quella di assegnare alle comunità straniere specifici ambiti urbani in cui risiedere era una politica praticata da sempre dalla Repubblica di Venezia”, spiega a Il Bo Live Stefano Zaggia, docente di storia dell’architettura presso l’università di Padova, che al tema della presenza ebraica nei tessuti urbani ha dedicato diversi studi, tra cui il recente Lo spazio interdetto: il ghetto ebraico di Padova (Padova University Press 2021). Il pensiero corre a spazi come i fondaci dei turchi e dei tedeschi, che fin dal medioevo punteggiavano di presenze esotiche lo spazio cittadino: “Nel caso della comunità ebraica c’è naturalmente anche un aspetto diverso – continua lo studioso –: soprattutto a partire dalla seconda metà del Quattrocento infatti si era progressivamente venuto a creare un clima antiebraico”.

Il Ghetto aveva una duplice faccia: perimetro di reclusione e di interdizione ma anche ambito in cui la comunità poteva vivere secondo le proprie tradizioni e costumi

In particolare dopo la promulgazione della bolla di Eugenio IV Dudum ad nostram audientiam (1442) si moltiplicano infatti le pubblicazioni antigiudaiche da parte di teologi, canonisti, giuristi, ma anche umanisti. Proprio la “laica” Venezia impose allora una separazione tra le due comunità, modificando in modo definitivo il rapporto che sino a quel momento aveva legato presenza ebraica agli spazi fisici urbani: “Il ghetto era un luogo non solo separato, ma anche regolamentato da una precisa normativa che disciplinava l'accesso e l'uscita, la chiusura di notte e il controllo nei confronti delle famiglie che abitavano al suo interno – conclude Zaggia –. Uno spazio dunque dalla duplice faccia: perimetro di reclusione e di interdizione ma anche ambito in cui la comunità poteva vivere secondo le proprie tradizioni e costumi”.

Un modello destinato a diffondersi, prima nelle città della Terraferma e poi in tutta Europa. Il ghetto di Venezia è diventato nei secoli non solo un archetipo di tutti i quartieri sorti per obiettivi affini ma anche – come ci insegna Shakespeare, che qui volle ambientare un capolavoro come Il mercante di Venezia – una pietra miliare dell’immaginario popolare e letterario. Determinante in questo processo è la peculiarità di Venezia come naturale anello di congiunzione tra Mitteleuropa e Oriente, quindi anche tra la cultura ebraica locale e quelle ashkenazite e sefardite. Qui venne stampato per la prima volta il Talmud, mentre nelle cinque sinagoghe principali o scole si pregava con le lingue e i riti di tutto il mondo allora conosciuto. E il ghetto si espande, in larghezza e soprattutto in altezza, stipando fino a cinquemila persone nelle caratteristiche case-grattacielo che arrivano a sette piani.

Nel luglio 1797, all’arrivo delle truppe francesi, le porte vennero scardinate e bruciate pubblicamente: l’antico ghetto, riunito alla città, venne ribattezzato “Contrada dell’unione”. Ma non fu la fine del suo mito. Ancora oggi Campo del Ghetto Nuovo è uno dei posti più caratteristici e incontaminati di Venezia, testimone di una storia secolare e meta di visite e pellegrinaggi da tutto il mondo.

POTREBBE INTERESSARTI

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012